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Telegiornaliste anno X N. 41 (429) del 8 dicembre 2014
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TGISTE Chiara
Ruggiero. Scrivendo, ballando e…
di Giuseppe Bosso
Milanese, una lunga esperienza nelle tv meneghine e un presente
all’insegna soprattutto del suo grande amore: il ballo. Ecco
Chiara Ruggiero.
Come ti sei avvicinata al giornalismo?
«Un po’ per caso in realtà: ho sempre amato scrivere, e i miei primi
articoli - ai tempi dell’Università - sono stati di basket su una
rivista che si chiama SuperBasket, che per un po’ ha chiuso i
battenti e ora è tornata, con un unico numero cartaceo, e il resto on
line; intervistavo i giocatori stranieri in Italia, sulla loro vita nel
nostro Paese; esperienza molto piacevole, durata troppo poco, perché il
direttore è cambiato e la mia collaborazione è stata interrotta. Dopo la
laurea ho fatto uno stage di tre mesi in una TV locale,
Antenna Tre
Lombardia; ma in quel momento non avevano bisogno di giornalisti e
sono andata a lavorare all’Ufficio Stampa di SMAU, Salone
dell’Elettronica; dopo un anno e mezzo però avevano bisogno di una
giornalista, si sono ricordati di me e mi hanno richiamata. Da lì,
praticantato, esame, giornalista professionista!».
Hai spaziato dalla cronaca allo spettacolo, dallo sport ai motori: ma
dove pensi di esserti espressa al meglio?
«Lavorando in una tv locale tutti ci si occupa un po’ di tutto, ma è
ovvio che ognuno ha i campi che lo attraggono di più, in cui si esprime
meglio: nel mio caso è sicuramente lo spettacolo, in particolare la
parte che riguarda il ballo e il musical che amo immensamente! Ma anche
gossip e sport, non calcio, perché ne ho fatto poco o nulla, ma il
basket, come dicevo prima; e i motori, dato che dopo l’esperienza
televisiva sono stata per 5 anni responsabile dell’ufficio Stampa di
Eicma».
Come ti sei trovata al Salone del Ciclo e del Motociclo di Milano?
«Molto bene, soprattutto all’inizio. I primi quattro anni in cui sono
stata lì eravamo una bella squadra, e credo che quando si fa squadra il
lavoro sia più piacevole e più redditizio, non in senso pecuniario! La
politica aziendale ci metteva in condizione di rendere al meglio: una
sciocchezza, ma ad esempio l’orario elastico permetteva magari di
arrivare un po’ dopo o andare via un po’ prima, purché si facesse il
proprio lavoro, tanto sicuramente ci sarebbe stato modo di recuperare,
fermandosi di più o lavorando nei weekend; è una questione di fiducia e
responsabilità. Uno sa quello che deve fare: se un giorno finisci prima
e vuoi goderti un’ora di shopping non è un delitto, e il giorno dopo
torni più motivato. Molto meglio che star lì a scaldare la sedia,
aspettando che arrivi l’orario di uscita, perché quel giorno hai finito
prima quello che dovevi fare. Purtroppo non tutti i datori di lavoro lo
capiscono, e danno importanza più al “timbrare il cartellino” che al
lavorare con impegno. Lavorando per una Fiera, poi, sai anche che ci
sono intere settimane, sotto evento, in cui lavori sette giorni su
sette, magari anche fino alle 9-10 di sera o mezzanotte, se devi portare
a cena i giornalisti stranieri ad esempio. Ma se ti piace il lavoro, non
ti pesa: lo fai con entusiasmo e anzi ti dispiace quando l’evento è
finito e si torna alla normalità».
Qual è stata l’esperienza che ti ha maggiormente coinvolta?
«Quando lavoravo in tv, ricordo due episodi: l’intervista a Marco
Pantani per uno speciale su Eicma; in realtà però l’intervista è stata
molto lunga, lui ed io da soli (gli altri giornalisti mi hanno odiata!)
perché una televisione americana mi aveva chiesto di intervistarlo per
loro in italiano, e mi aveva mandato le domande; ho un bellissimo
ricordo di lui, che non è stato modificato dalle sue tristi vicende
personali che lo hanno portato alla morte. E poi quando ancora ero
stagista e mi hanno detto “senti, la ragazza che segue lo spettacolo,
è malata, potresti andare ad intervistare Daniel Ezralow, Moses
Pendleton e David Parson, sai chi sono?“ ho risposto ”ma mi state
pigliando in giro?”. Credevo fosse uno scherzo: tre dei più grandi
coreografi e ballerini della danza contemporanea, tre dei miei idoli…
tutti insieme! Quando lavoravo all’Eicma, ogni Salone, di quelli che ho
seguito, è stata un’emozione, soprattutto quando è venuto Silvio
Berlusconi; e poi senza dubbio i viaggi all’estero, per promuovere il
Salone ed Eicma China: Cina, Singapore, Sudafrica…».
La tua scheda nel nostro sito dice: quando smette i panni di
giornalista, Chiara Ruggiero indossa quelli di ballerina. Quanto c’è
della Chiara ballerina nella Chiara giornalista, e viceversa?
«Tanto, soprattutto adesso che collaboro con tre testate che si occupano
di ballo: LATINO!, Vida Latina Magazine e Radio
Danza.it; il ballo è la mia passione più grande, soprattutto quello
caraibico, di cui ho il diploma di Maestra, e insegno anche; ma ho
studiato anche danza classica, jazz e hip hop. Come dice Sherley McLaine
– non cito le parole esatte perché non le ricordo - “chi si sente
ballerino, qualunque cosa faccia: mangiare, parlare, camminare, lo fa da
ballerino”. Nel mio caso, anche scrivere».
Segui degli accorgimenti dal punto di vista del look?
«Quando devo “”andare in onda” cerco di essere carina, ma non
eccessivamente appariscente; classica, ma non banale. Nella vita di
tutti i giorni ho un look abbastanza casual, se non addirittura
sportivo! Quando esco la sera, o vado a ballare, mi lascio andare un po’
di più: amo i colori vivaci, “estivi” anche per l’inverno: si addicono
meglio alla mia solarità».
Che idea ti sei fatta del nostro sito?
««Lo trovo molto carino, e piacevole da leggere. Mi piaceva, molto ai
tempi in cui lavoravo ad Antenna Tre e
Telelombardia, avere il mio
“filo diretto” coi lettori; sono passati diversi anni, ma con alcuni
di loro sono in contatto ancora adesso».
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NONSOLOMODA Ora
le mezze stagioni si combattono con 100 grammi
d'imbottitura (eco!) di
Francesca Succi
dal blog
TheGlossyMag del 08 novembre 2014
Se pensate che voglia riprendere il tema con cui ho iniziato la
settimana per concludere in bellezza vi sbagliate. Il caso
Report Gabanelli versus Moncler è finito, anche le cronache
del momento parlano d'altro.
Voglio piuttosto farvi vedere una comodità che mi attira
parecchio. Infatti sono alla ricerca del piumino - o meglio
giubbotto - eco con imbottitura a 100
grammi. Magari anche ad un costo contenuto.
Si tratta di un trend che oramai va avanti da quasi un anno. No
non è nuovo perché già dall'autunno scorso - proprio in questo
periodo - codesti giubbottini cominciavano a girare.
C'è da capire che le mode tendenzialmente scoppiano con un po'
di ritardo, perché vanno metabolizzate, per poi andare avanti
qualche stagione. E perdersi per un altro po' e ritrovarsi anni
dopo.
L'altro giorno, mentre ero in treno, una ragazza indossava il
giubbottino 100 grammi con naturalezza su un blazer e un outfit
casual (ma da lavoro!).
Il suo era leggermente svasato a forma di cappa con maniche
ampie a tre quarti. Magari lo trovassi così!
Non sono stata proprio fortunata perché online c'è poco:
l'unico carino a buon prezzo per me è questo di Benetton ma non
è in magazzino. Nella descrizione il sito lo chiama piumino ma
la composizione è 100% artificiale.
Il giubbottino 100 grammi è entrato nella lista dei miei
desideri, devo però darmi una mossa ad acquistarne uno perché
il rischio di far arrivare il freddo gelido è alto.
A quel punto 100 grammi d'imbottitura sarebbero pochi ma ne
sarei ancora così innamorata da indossarlo per altre (mezze)
stagioni.
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TUTTO TV
“Ricomincio
da Tirana”.
La seconda vita delle star televisive e dello spettacolo
di Antonia del Sambro
Quando la nuova direzione di La7 in Italia aveva
cominciato a chiamare alla corte dell’editore locale
più famoso e coraggioso i nomi dello showbiz più
importanti e noti tutti avevano pensato che forse
tornava la tv generalista e un po’ leggera che tanto
successo aveva avuto negli anni ’80 del secolo scorso, e
tanto era piaciuta a molti telespettatori, senza contare
(e diciamola tutta!) che proprio per questo aveva fatto
guadagnare fior di soldi ad addetti ai lavori, imprenditori
e pubblicitari.
E invece no: la nostra La7 si è trasformata pian
piano sulla brutta fotocopia di Rai 3, racimolando pochi
ma pochi soldi, altrettanto pochi spettatori e
consensi e facendo letteralmente fuggire la
maggior parte dei conduttori blasonati di vecchia e nuova
generazione.
E così mentre l’auditel italiana continua a sfornare dati
di ascolto che puniscono le trasmissioni fotocopia,
pseudo intellettuali e anche un po’ stucchevoli e
moralistiche, un imprenditore italiano ha pensato che
alla fine l’America è dove te la sai fare e con armi e
bagagli prima e chiamando volti noti e bravi professionisti
poi ha fondato una nuova televisione in Albania,
Agon
Channel.
L’imprenditore in questione al secolo è Romano Becchetti,
e tralasciando da dove arriva e di chi è amico bisogna
dargli il merito di aver pensato bene di occupare veri
talenti dello spettacolo italiano con trasmissioni
ben fatte e ben pensate e altri vari conduttori e
artisti al momento senza occupazione fissa con
altrettanti progetti televisivi e di comunicazione che
potrebbero piacere al pubblico italiano e che non
mancheranno di affascinare il pubblico albanese.
E allora via a palinsesti curati da personaggi del calibro
di Sabrina Ferilli, Simona Ventura e Maddalena Corvaglia
e Enzo Ghinassi, in arte Pupo, che si occuperanno
dell’intrattenimento allo stato puro; ma c’è anche
molta informazione di qualità con giornalisti
professionisti come Antonio Caprarica e
Luisella Costamagna
(proprio lei che dopo aver fatto di tutto per lavorare bene
a La7 si è vista defenestrare a vantaggio di Filippo
Facci) e infine largo allo sport e alle rubriche di
approfondimento con Giancarlo
Padovan e Fulvio Collovati.
In tutto Romano Becchetti ha dato vita a due canali,
uno completamente di lingua italiana e uno di lingua
albanese, con una squadra di giovani e di volenterosi che
credono in questo progetto in maniera totale e
ottimistica.
C’è chi parla di fuga a Tirana dei nostri volti più
noti; in realtà è più un’occasione che tutti questi divi
nostrani desiderano darsi perché è vero che la tv
trasmette dall’Albania ma di fatto si vede e anche bene sul
digitale terrestre italiano al canale 33 e poi la terra
in questione è talmente vicina che certo non si può
parlare di espatrio nel vero senso del termine.
Ciò che invece stupisce è che ci sia voluto un
imprenditore che di televisione non si era mai occupato
per capire che proprio in tempo di crisi, di corruzione e
di precarietà la gente la sera a casa almeno di fronte al
televisore vuole sorridere e svagarsi.
Come andrà? Ai posteri l’auditel sentenza.
Intanto un bravo a Becchetti e agli italiani che lo
hanno seguito.
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PINK NEWS I
capelli delle donne: 5 miti da sfatare di
Veronica Speranza
La cura della chioma è essenziale per la maggior parte delle
donne.
Strappare un capello bianco ne fa crescere altri.
Si tratta di una credenza che ha condizionato milioni di
persone, soprattutto donne. Quando compare è abitudine non
strapparlo, al massimo coprirlo con la tinta.
In realtà eliminare un capello bianco non porta alla comparsa
di altri capelli bianchi, ma è comunque bene evitare di
strappare i capelli per non indebolirli.
Cento colpi di spazzola per capelli sani.
È una diceria che è meglio evitare. Spazzolando troppo i
capelli infatti, non rendiamo i capelli più sani ma al
contrario rischiamo di indebolirli e di aumentare la caduta dei
capelli.
Meglio pettinare i capelli solo con spazzole in legno per non
stressarli troppo ed evitare di pettinarli troppo
frequentemente.
Tagliare i capelli li fa crescere più in fretta.
I parrucchieri consigliano di tagliare i capelli una volta al
mese per renderli più sani e forti.
In realtà i capelli non crescono più in fretta, ma solamente
più robusti. Con il taglio inoltre vengono eliminate le
antiestetiche doppie punte, di conseguenze anche lo styling
sarà più uniforme ed ordinato.
Le doppie punte si possono curare.
Una volta che la parte finale del capelli sdoppia, non c’è
niente da fare. L’unico rimedio funzionante per eliminare le
doppie punte infatti è tagliare, ma se volete prevenirle potete
provare i rimedi naturali come le maschere fai da te all’olio
di oliva, uovo e aceto di mele.
Lo shampoo deve fare schiuma per lavare bene i capelli.
La credenza che ricoprire la testa di schiuma sia
indispensabile per pulire a fondo la chioma non è assolutamente
vera.
Al contrario, uno shampoo eccessivamente schiumogeno spesso non
pulisce come dovrebbe i capelli, rendendoli solamente più
pesanti; gli agenti chimici contenuti all’interno infatti,
spesso possono essere dannosi per il cuoio capelluto.
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DONNE
Carmen
Cretoso: alla scoperta dell’Europa
di Giuseppe Bosso
L'Europa: nemica o amica? Causa di tanti mali o fonte di
opportunità? Ce lo chiediamo da tempo, non solo per l'andamento
della nostra economia; ma per qualcuno l'Europa è stata una
piacevole scoperta; Carmen Cretoso, giovane giornalista
napoletana, ci racconta l'esperienza che ha vissuto a Parigi, e
non solo.
La tua storia a Parigi come nasce?
«Collaboravo da sei anni con un quotidiano di Salerno, La
Città, gruppo de L'Espresso, e lavoravo a settimanali di
approfondimento televisivi quando smanettando su Internet ho
scoperto l’esistenza di uno Europe Direct, un Centro Europeo di
informazione, cultura e cittadinanza europea a Napoli, chiamato
Ceicc. Mi ci sono recata per capire quanto potesse arrivare
l’Europa all’ombra del Vesuvio, cosa che mi affascinava da
sempre; ho partecipato a diversi workshop, seguito laboratori
di scrittura, come una studentessa universitaria, e ho scoperto
che c’era la possibilità di fare esperienza all’estero; nel
2011 vinsi uno stage a Bruxelles, al Parlamento Europeo, della
durata di una settimana, che consisteva nel partecipare a
simulazioni di conferenze stampa; ho conosciuto tanti ragazzi
che, al di là dell’Erasmus e degli altri programmi standard che
conosciamo, avevano alle spalle svariate esperienze; mi ha
affascinato l’idea di condividere il modo di pensare, il modo
di vivere e di fare cittadinanza attiva di altri Paesi, al di
là dell’esperienza formativa nel Parlamento; ho deciso così di
cercare lavori che andassero al di là del giornalismo locale.
Ho capito che l’Europa viene vista come qualcosa di lontano, ed
è invece molto più vicina a noi di quanto possiamo immaginare
Alla fine ho scoperto questo tirocinio, che era legato al
semestre europeo, con colleghi che ciascuno rappresentavano uno
degli Stati membri, per seguire le elezioni municipali e le
elezioni europee in Francia. Ho partecipato alla selezione,
ricordo che mi spaventava il fatto che fossimo più di
duecentocinquanta, ma alla fine mi sono classificata prima, con
orgoglio e soddisfazione».
Perché la Francia?
«A Bruxelles ho capito che la conoscenza della lingua
d’Oltralpe ti può far andare molto più in avanti dell’inglese,
e io mi sono trovata ad apprendere una lingua nuova, che non
avevo mai studiato nemmeno a scuola. È la lingua ufficiale
‘amministrativa’. Al di là della ‘fuga’ all’estero ho scoperto
l’Europa vivendola, coabitando con ragazzi spagnoli, tedeschi,
inglesi e condividendo momenti quotidiani come l’organizzazione
della cena, della casa e del tempo libero scoprendo usi e
costumi dei loro Paesi. Certo è stata dura, mi mancavano i miei
affetti, la mia famiglia, e il clima freddo non era proprio
l’ideale per una napoletana calorosa come sono io – ride, ndr –
per non parlare del cibo… ma le soddisfazioni lavorative mi
ripagavano».
Cos’ha cambiato questa esperienza nel tuo modo di essere
giornalista?
«La mia esperienza ha accresciuto la mia ‘rabbia’, nel senso
positivo del termine, sento di poter pretendere di vivere bene,
con il lavoro che deve assolutamente essere retribuito. Ho
fatto tantissime volte volontariato in Italia, anche al
Festival del giornalismo a Napoli; attenzione, non vorrei
sembrare una che ‘se la tira’ solo perché ha vissuto
all’estero, l’esperienza mi ha insegnato che è giusto
pretendere che il proprio lavoro venga valorizzato e, quindi,
pagato come merita di essere. È una rabbia che mi indica la
strada del ‘no’; mi rendo conto che qualcuno potrà pensare e
va beh, ma per te che hai detto no qualcun altro dirà sì al
lavoro non pagato; e invece dobbiamo dirlo tutti questo no.
Iniziare a far capire ai direttori e agli editori cosa
succederebbe se non si trovassero più con questi poveri
disperati che lavorano per strada gratis; lo dico soprattutto a
chi ha toccato i 30 anni come me; è da noi che deve partire il
vero cambiamento. Mi rendo conto che sono stata la prima a dire
sì al lavoro gratis, nella speranza che il tempo avrebbe
portato miglioramenti; invece è successo proprio il contrario,
il passare del tempo mi faceva solo sentire peggio, fin quando
non ho trovato la forza di dare una svolta alla mia vita ».
Pensi di tornare lì o di provare, anzi riprovare, a
costruire il tuo futuro professionale in Italia?
«Continuo a lavorare con un giornale francese dall'Italia,
provando a migliorare la lingua. Ma io voglio credere ancora di
potermi affermare nel mio Paese, scrivendo nella mia lingua
madre, che considero essere la più bella in assoluto».
Cosa consigli a giovani, anche non operanti nel tuo settore,
che volessero tentare la strada europea?
«Di partire subito, zainetto, taccuino e cuore aperto, ad
accogliere tutto ciò che si incontra lungo il cammino. Il
semestre europeo non capita tutti gli anni, per cui non sempre
è possibile contare su questa opportunità, ma c'è un mondo di
altre, non meno interessanti, possibilità da non trascurare.
Per me lavorare un periodo all'estero dovrebbe divenire
obbligatorio. Auguro a tutti di partire, per poi tornare più
formati e arricchiti come è successo a me. Non si può tollerare
di dover partire per disperazione, non è giusto e la mia
generazione, quella che ha la quotidiana forza di reinventarsi
sempre un lavoro, merita di poter viaggiare per conoscere,
esplorare, migliorarsi; non di essere costretti a scappare».
Cosa hai trovato di diverso tra Italia e Francia?
«Beh, anzitutto un rispetto per il lavoratore che non ho
riscontrato in Italia, a cominciare dalla retribuzione; quello
che ho guadagnato mi ha permesso di muovermi in maniera
indipendente e dignitosa. Dal punto di vista squisitamente
politico-amministrativo le elezioni municipali che ho seguito
sono completamente diverse da quelle italiane, non sono
frazionate per territorio di anno in anno ma si svolgono nello
stesso periodo in tutto il Paese ed è dunque un appuntamento
nazionale».
E dal punto di vista del giornalismo?
«Sia in Francia che in Germania dove ho vissuto uno scambio
culturale in radio passando otto giorni on the road, tra freddo
e gelo, a fare interviste per strada c’è una maggiore
considerazione del ruolo del giornalista! Da noi vedo un
po’troppe persone che si fregiano del titolo, persone che
conducono i programmi di intrattenimento, presentano a mo' di
veline, sfilano, fanno di tutto, mentre in Francia la
moderazione dei dibattiti è lavorio sobrio ed elegante, il
resto è destinato alle donne di spettacolo. Altra cosa, non
esiste la figura del ‘corrispondente’, come ero abituata a fare
al quotidiano salernitano che mi pagava al pezzo, subordinata
al caposervizio. No: la figura del direttore è parte attiva del
lavoro di redazione, compreso quello in strada, fin dal
mattino, dove si trovano le notizie da raccontare. L’Unione
Europea proprio sulla base dell’esperienza che ho vissuto mi ha
finanziato un festival di giornalismo, che mi ha permesso di
organizzarlo proprio nella regione dove ho seguito il semestre,
che ad ottobre è stato premiato a Parigi come evento culturale
più interessante».
Cosa vorresti portare di Napoli in Europa e viceversa?
«Dirò una cosa forte, ma credo che ai francesi servirebbe la
nostra intraprendenza; per quanto mi abbiano accolta benissimo
nella loro concezione nazionalista; il ragazzo francese, finita
l’università a 24 anni ci impiega un anno a trovare lavoro,
seguendo un percorso lineare. Noi il lavoro ce lo inventiamo,
giorno dopo giorno, e per questo forse meriteremmo di più;
oltre alle ‘classiche’ cose, dal sole al cibo. Porterei, come
ti dicevo, la concezione del lavoro e dell’Europa, il modo di
approcciarsi alla vita che già alle sei di sera li porta a
staccare dal lavoro e vivere i piaceri della vita, mentre noi
viviamo per lavorare».
La tua esperienza dunque ‘riabilita’ quell’immagine
negativa che si ha dell’Unione Europea, soprattutto alla luce
della crisi economica che continuiamo a vivere?
«Assolutamente. Credo nel federalismo vero, quello che apre la
porta dell’Europa fin da casa nostra. Sta a noi capirlo. Se non
entriamo nell’ottica dell’Europa, come possiamo dire di
entrarci?»
Cosa vedi nel domani?
«Sarò una pazza, ma mi vedo ancora giornalista, ho una gran
voglia di raccontare storie belle, di gente che ce l’ha fatta,
che è andata avanti magari partendo dalla povertà, che però in
questa ha trovato la sua forza».
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