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Telegiornaliste anno X N. 37 (425) del 10 novembre 2014
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TGISTE Valentina
Caruso: serietà e professionalità tengono alla larga le proposte
indecenti di Giuseppe Bosso
Cagliaritana, laureata con lode in archeologia, nel panorama delle
telegiornaliste Valentina Caruso è sicuramente tra i volti emergenti con
grandi prospettive per il futuro.
Da
Videolina a
Sky
Sport: punto di arrivo per te?
«Sky Sport è sicuramente un punto di arrivo per qualunque giornalista
sportivo, il top nel settore».
Qualcuno ti ha soprannominata 'la nuova Canalis': ti ha
infastidito?
«No, assolutamente; anche se lei è una showgirl e io non ho mai avuto
queste velleità, e quindi il paragone è un po' azzardato. Apprezzo molto
il fatto che continui a sentirsi legata alla nostra magica Sardegna».
Da madrina del
Cagliari a Quelli che il calcio cosa credi potrà dare Zeman
alla squadra rossoblù e alla tifoseria sarda?
«Sta già dando tanto secondo me, ha riportato insieme al nuovo
presidente del Cagliari, Giulini, quell'entusiasmo che mancava da un po'
tra i tifosi. Sono stati anni difficili per noi, per le vicende legate
allo stadio, agli arresti dell'ex presidente e a tutto ciò che ne è
derivato… Zeman è un grande allenatore e già con la vittoria dopo 20
anni a San Siro sull'Inter, ha acceso ancora di più la passione».
Come hai vissuto, da tifosa e da giornalista, la questione-stadio che
per mesi ha tediato la tifoseria cagliaritana?
«Chiaramente l'ho vissuta male, ho seguito in prima persona per il
quotidiano per cui scrivo, L'Unione Sarda, tutte le proteste e
manifestazioni dei tifosi rossoblù. Non dimenticherò mai il momento in
cui anche sotto la pioggia loro sono andati fuori dal carcere per
sostenere l'ex presidente del club. Così come non dimenticherò mai il
momento in cui, in occasione della vittoria contro la Sampdoria, a Is
Arenas, Cossu si è arrampicato nelle inferriate dello stadio chiuso al
pubblico per abbracciare i tifosi che facevano sentire il loro tifo
caloroso da fuori. Sono stati momenti molto emozionanti che vanno oltre
lo sport...».
Laureata e diplomata col massimo dei voti: Valentina è più pupa o più
secchiona?
«Nessuna delle due!».
Hai mai ricevuto proposte indecenti?
«Ho sempre lavorato con persone serie e professionali. Penso che le
proposte indecenti forse vengano fatte a chi non ha nulla di
professionale da mettere a disposizione: quando c'è professionalità e
serietà da entrambe le parti, non ci sono simili richieste».
Sei stata testimonial della tua regione per una campagna
istituzionale che ha riscontrato molto successo anche all'estero: cosa
ha rappresentato per te questa responsabilità?
«È stata una bellissima esperienza per me, molto sentita, anche perché
sono laureata in archeologia e fa parte del mio DNA apprezzare tutto ciò
che attraverso quella pubblicità è riuscita a trasmettere. Archeologia,
arte, cultura, natura, tradizione e sardità».
Ti senti realizzata?
«Sono molto soddisfatta di quello che ho costruito finora, ma è
sicuramente presto per sentirsi realizzati e si può fare sempre di più». |
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NONSOLOMODA Report
Speciale Moda il giorno dopo:
siamo tutti oche? Forse da oggi no! di
Francesca Succi
dal blog
TheGlossyMag del 3 novembre 2014
Oggi non vorrei essere il Social Media Manager di Moncler.
Perché da ieri sera, durante la puntata rivelatrice di
Report (#TeamGabanelli
tutta la vita!), piovono critiche su critiche a causa delle
politiche aziendali di questo brand denunciate proprio dal
programma in questione.
Politiche che di etico purtroppo hanno poco: dalla manifattura
in cui vengono reperite le piume delle oche fino
all'assemblaggio del capo affidato ad aziende estere a
discapito di quelle italiane per un risparmio di appena 20/30
euro a piumino! Tutta Italia grida alla vergogna.
E allora dopo ieri sera forse c'è una consapevolezza in più
visto che proprio tutti hanno potuto assistere ad un trend che
le aziende, e non solo quelle che operano nella moda,
ultimamente adottano per guadagnare di più tagliando però le
gambe all'artigianalità di questo paese.
Ora, non vi starò a riassumere la puntata di Report,
perché se vi collegate alla pagina facebook è linkata e a
disposizione di tutti, piuttosto voglio analizzare alcuni punti
che rinfrescano il ruolo di consumatore al giorno d'oggi. E non
starò neanche a puntare il dito ad uno dei pochi: perché,
pensateci bene, è da tanto tempo che si sentono scelte
aziendali simili da molte attività; con tutti i 'contro' del
caso!
Mi limiterò solo all'analisi da consumatrice, che nel day
after, prende più consapevolezza e forse - avendo il coltello
dalla parte del manico - può salvare il mercato italiano. Non
solo nella moda ma anche nel cibo, nei servizi e tutto quello
che troviamo in vendita.
I valori di brand: dall'appartenenza al gruppo ad un
concetto etico
Una volta acquistavi un capo o un accessorio perché faceva
figo. Non eri fuori contesto ma parte integrante di un gruppo
ben preciso. Oggi in alcuni territori è ancora così, ad esempio
nella ristretta provincia, ma si nota generalmente una
consapevolezza diversa nei confronti dell'acquisto. Sarà che a
causa della depressione economica il denaro scarseggia o c'è
più volontà nel ricercare il pezzo esclusivo (perché questo fa
veramente figo!), ma la voglia di investire i propri soldi in
maniera giusta per una serie di valori è più sentito. In fin
dei conti il bombardamento delle informazioni in cui viviamo è
servito a qualcosa!
Quindi, se prima i valori di brand erano legati alla massa o al
sogno che comunicava lo stesso con tutto l'advertising, oggi i
valori di brand sono legati più ad un concetto etico.
Tu, marchio, sei veramente quello che proclami? Il prodotto che
mi stai vendendo è il risultato di una serie di processi che
rispettano il lavoro delle persone che lavorano per te e
l'ambiente? Il prezzo che trovo sul cartellino è rincarato da
un margine giusto legato soprattutto alla qualità?
Perché io sono disposto a comprare il tuo capo solo se mi
fornisci una serie di certezze e non me le racconti solo per
abbindolarmi! Mi puoi fregare una volta, ma la seconda no. Il
rischio dell'effetto boicottaggio-domino è troppo alto.
Se è Made in Italy deve essere fatto interamente in
Italia
Troppi veramente in troppi oggi abusano di questa etichetta che
per noi, e soprattutto all'estero, è garanzia di qualità. Se tu
brand me la metti in bella vista come valore aggiunto devi
prima di tutto crederci, perché il Made in Italy è prima un
valore di testa, e poi mettere in pratica tutte quelle
procedure che ti permettono di utilizzare questa dicitura.
Come? Semplicemente producendo in Italia. In questo modo avrai
a cuore il tuo prodotto e il futuro dei tuoi figli. Anche se
costa di più! Perché un consumatore è disposto a pagare
qualcosa in più sapendo di non rovinare il mercato nostrano.
Tra il dire e il fare c'è di mezzo... il prezzo
riportato nel cartellino
Pur di averlo siamo disposti a pagare cifre folli. E loro lo
sanno! Ma da ieri sera niente di nuovo sotto il cielo: credo
che fossimo tutti consapevoli della differenza sostanziale tra
il costo a prodotto finito e quello in negozio riservato al
consumatore finale. Il lusso è anche questo.
C'è però da dire che, siccome i tempi sono decisamente
cambiati, il consumatore finale è disposto a spendere una cifra
folle solo se viene venduto il sogno ad una qualità eccellente.
Pertanto c'è da chiedersi, in qualsiasi capo o accessorio che
supera i 1000 euro in negozio, quanta qualità c'è?
Ad ogni persona la sua risposta con l'azione diretta se
acquistare o meno.
Tra il low cost e il lusso quali differenze ci sono?
Poche settimane fa è stato pubblicato un articolo che ha
provocato altrettanto scalpore. Si trattava di una blogger che
è riuscita a visionare i metodi di lavorazione non proprio
corretti, a suo parere, del brand low cost più conosciuto al
mondo, H&M.
Dopo la pubblicazione del post H&M mi ha gentilmente informato
che:
"L'immagine ritratta di H&M, nel programma web-TV è
imprecisa e nessuno degli stabilimenti visitati nel programma
produce capi di abbigliamento per H&M. Né i produttori né le
ragazze ci hanno contattato per chiedere informazioni quando
hanno registrato il programma. Ma è importante che i nostri
clienti e gli azionisti abbiano un corretto quadro della nostra
azienda e delle responsabilità che ci prendiamo.
Abbiamo fatto da molti anni grandi sforzi nei paesi di
produzione esistenti per migliorare le condizioni di lavoro e
rafforzare i diritti dei lavoratori. H&M ha uno dei più alti
standard di sostenibilità nell'industria al mondo nei confronti
dei propri fornitori. È da sempre nella nostra visione
aziendale che i lavoratori dell'industria tessile debbano
vivere con i propri salari. Tutto ciò è evidenziato anche nel
nostro Codice di Condotta".
Greenpeace nel progetto Detox Fashion li ha indicati con nome e
cognome. Ad esempio Zara, dopo una class action intensa, si è
impegnato a ripulire la propria filiera produttiva (secondo il
sito GreenPeace).
Da lì è partita una denuncia e la stessa indignazione generale,
ma domandiamoci, a questo punto tra il capo low cost e quello
di lusso quali sono le differenze?
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Jenny
De Cesarei: mi sento sempre la ragazza che sognava di fare
la doppiatrice
di Giuseppe Bosso
Al pubblico dei giovanissimi la sua voce risulterà familiare
come quella, nella versione italiana, della vulcanica
Jennette McCurdy, protagonista di popolari sit com quali
ICarly e Sam & Cat: ma
Jenny De Cesarei, oltre che doppiatrice, è anche
un’apprezzata interprete teatrale.
Ricorda il suo primo doppiaggio?
«Io e una mia carissima amica e collega, fresche di corso di
doppiaggio, avevamo da poco iniziato ad assistere molto
timidamente ai turni di lavoro sotto consiglio della nostra
insegnante Donatella Fanfani, quando un giorno la segretaria
della Merak film venne a chiederci la disponibilità per la
settimana successiva. Rispondemmo immediatamente: tutta
libera!. Nel nostro ambiente di lavoro le segretarie dei
vari studi chiedono al doppiatore una settimana prima circa
la disponibilità per fissare dei turni di lavoro da tre ore.
Io e Francesca eravamo talmente emozionate e tese che non ci
siamo neanche guardate, siamo rimaste immobili aspettando
che la segretaria ci confermasse il lavoro. Dopo qualche
minuto tornò e ci disse: "allora, vi inserisco in un
turno di brusio con Federico Danti nella serie Slayers"».
Come reagiste?
«Aspettammo in silenzio che la segretaria andasse via, senza
dire una parola andammo in bagno per non essere viste da
nessuno e una volta chiusa la porta ci abbracciammo, urlammo
e piangemmo dalla felicità… era il febbraio del 1997, mi
avevano appena assegnato il primo turno di doppiaggio della
mia vita! L'emozione poi di entrare in sala con Federico
Danti in direzione si è ovviamente quintuplicata, fu un
turno emozionante e non privo di difficoltà: mi tremava la
voce, facevo fatica a gestire i toni, il sinc era un
incubo... ma avevo una forza dentro, una convinzione che
questo fosse il mio lavoro, che non mi scoraggiavo, né mi
arrendevo, di fronte a nulla, accettavo tutto, critiche,
sfuriate, rimproveri, tutto pur di imparare, migliorare e
far brillare quel fuoco che avevo dentro. Sono cambiate
molte cose da allora, i prodotti che doppiamo, il modo di
lavorare... eppure scalpita sempre in me, ogni qualvolta
entro in una sala di doppiaggio, quella ragazza timida ed
emozionata che sognava di fare la doppiatrice».
C’è un’attrice o un personaggio che le è rimasto
particolarmente impresso?
«Da quel giorno i gradi di difficoltà di questo lavoro sono
ovviamente aumentati, come le soddisfazioni e a volte,
ahimè, anche le frustrazioni. Sono diversi i personaggi da
cui ho tratto grandi soddisfazioni, ma ne scelgo due:
l'attrice più brava che ho doppiato e che porterò sempre nel
cuore è Jennette McCurdy; le ho dato la voce per tanti anni
nella sitcom ICarly, poi in Sam & Cat e in
diversi film: è stato molto stimolante per me seguire le
performances di questa giovane, ironica, imprevedibile e
talentuosissima attrice, anche e soprattutto perché a
dirigermi c'è sempre stata la grandissima doppiatrice e
direttrice di doppiaggio Loredana Nicosia: insieme abbiamo
formato un team di lavoro straordinariamente creativo».
E invece in ambito animazione?
«Passando poi ai cartoni animati un personaggio che ho amato
molto e in cui ritengo di aver dato l'anima è quello di
Ophelia dell'onda in Claymore: un personaggio intriso
di amore, passione, follia, rabbia e dolore, tutto sempre
presente, la rabbia non era mai solo rabbia; c'erano anche
tutti gli altri sentimenti che ho citato, ma soprattutto
c'era sempre questo fortissimo substrato infantile, vedevo
sempre in questa creatura malvagia e terrificante la bambina
ferita, è questo il contrasto su cui ho lavorato per trovare
una linea interpretativa».
Quali sono le difficoltà che ha maggiormente incontrato,
non avendo – come molti altri suoi colleghi – un cognome
‘pesante’ alle spalle?
«Non avere un cognome "pesante" alle spalle credo possa
essere solo di vantaggio; trovo la possibilità nella vita di
cercare e creare da soli la propria strada una fortuna. Sono
sicura di questo percorso, non mi è stato suggerito,
agevolato, imposto: io avevo delle attitudini e i miei
genitori (papà concierge di un albergo e mamma commerciante
di corredi per la casa) mi hanno dato la possibilità di
assecondarle ed esprimerle e oggi sono orgogliosi di me,
questo mi rende profondamente felice, consapevole e
dignitosa».
Cerca di caratterizzare i personaggi a cui presta la
voce?
«Sono un'attrice caratterista di default, quindi la maggior
parte delle volte tendo a modificare la voce, questo mi
diverte molto, mi appartiene e mi consente di avere nel mio
bagaglio personaggi molto diversi tra loro».
Al teatro Litta di Milano ha avuto modo di insegnare a
giovani attori: cosa le ha dato questa esperienza e cosa ha
cercato di trasmettere?
«Come doppiatrice ritengo che la preparazione teatrale dia
sicuramente una marcia in più nell'approccio al personaggio,
ma sono comunque due ambiti diversi: nel teatro è previsto
l'uso della persona intera, quindi corpo e voce,
l'interazione e la complicità con altri attori sulla scena e
un lavoro sul testo lungo e approfondito. Il doppiaggio è un
lavoro più immediato, in cui anni di studio teatrale possono
aiutare nel tradurre rapidamente i sentimenti del
personaggio, ma è basilare la padronanza dell'uso della
voce, della dizione e della tecnica del sincrono. Quello che
da 15 anni cerco di trasmettere ai miei allievi in teatro è
senz'altro il fatto di non prendersi troppo sul serio,
perché a mio avviso chi si prende troppo sul serio rimane
ancorato a se stesso e non sarà mai un attore credibile. La
capacità di gioco tipica dei bambini dovrebbe accompagnare
ogni attore nel momento in cui si cimenta in un ruolo, i
bambini non si prendono sul serio ma giocano seriamente.
Pronti a cambiare tutto da un momento all'altro e a ridere
di sé i bambini trasformano il mondo circostante al servizio
dello show e credono così fortemente che il tappeto sia una
zattera che dai loro occhi riesco anch'io a vedere squali,
balene e sirene. In questo calarsi giocosamente nelle
situazioni ci vogliono poi la dolcezza e la cura di un
pittore esperto che sapientemente mette insieme i colori
sulla tela, quindi in sintesi lo studio delle regole che
organizzano il gioco scenico e la capacità di gioco sono i
due ingredienti fondamentali che servono per accedere alla
scena teatrale».
Negli ultimi mesi la vostra categoria ha dato vita a uno
sciopero sostanzialmente ignorato dai media: come ha vissuto
questa fase?
«Quello dello sciopero è un argomento ancora caldo, dato che
le trattative per il rinnovo del contratto nazionale sono
ancora in corso. Ho scioperato anch'io insieme alla
maggioranza dei miei colleghi della piazza di Milano, che si
è dimostrata una piazza molto coesa e combattiva. Il nostro
contratto nazionale di lavoro risale al 2008, non è mai
stato rinnovato e molto spesso non è stato rispettato.
Questo ha portato gradatamente a situazioni lavorative
sempre più difficili in merito alla qualità del lavoro e
alle condizioni economiche. Personalmente credo che se non
andasse in onda proprio più nulla di doppiato per un tempo
prolungato forse la cosa avrebbe un impatto mediatico
decisamente più consistente».
Prossimamente dove potremo ‘ascoltarla’?
«Al momento stanno andando in onda i nuovi episodi di Sam
& Cat su Nickelodeon in cui sono Sam; America's got
talent come voce di Heidi Klum su Sky Uno; su Disney
Channel sono Sophia in Cata e i misteri della sfera;
sto doppiando in questo periodo i nuovi episodi di
Littlest Pet Shop in onda su Fresbee in cui interpreto
Brittany, una delle perfide gemelline milionarie; ho appena
cominciato una nuovissima serie di cartoni animati per Dea
Kids di cui ancora non posso divulgare il titolo; dico solo
che sono una delle tre protagoniste, lo stesso vale per la
mia recente collaborazione con Riot Games per il famosissimo
gioco League of Legends».
Cosa farà da grande?
«Da grande vorrei fare la dottoressa o l'attrice... per
adesso continuo a giocare alle attrici».
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non sei mia non sei di nessuno!
La violenza maschilista contro le donne
parte 2 -
di Maria Tinto
[segue da
parte 1]
Il potere del genere maschile si sente indebolito
dall’affermazione sociale della donna? Allora si arma
e distrugge il nemico, la donna: è una guerra,
siamo in guerra. La guerra dei generi.
Curare il sintomo va bene, ma bisogna debellare
l’epidemia: creare un antidoto per fermare il massacro
del genere femminile.
E l’antidoto è nelle donne, nel loro modo di amare e
di affidarsi all’altro; l’errore è nel credere che
l’appartenenza sia un fatto fisico, l’appartenersi è
un atto spirituale, un segno del reciproco “sentire”
il mondo all’unisono.
L’errore è nel permettere all’altro di decidere della
propria vita: amare è un sentimento e come tale
attiene al mondo interiore di ciascuno, pertanto non va
confuso con la logica ordinaria della vita; l’errore è nel
lasciare all’altro la possibilità essere rispettate: il
rispetto è insito in ogni persona e non è una
“possibilità” bensì un diritto, per cui non deve mai
essere messo in discussione, né da sé stesse, né da
chiunque altri.
L’errore è pensare che amare voglia dire soffrire:
amare è gioia, condivisione di emozioni belle, di
momenti in cui la felicità di donare all’altro il piacere è più
grande del riceverlo, ma anche consapevolezza di saper
ricevere dall’altro attenzioni e bene. L’errore è non
ritenersi importante, quando l’altro cerca di sminuire
ciò che si fa e ciò in cui si crede: sta deliberatamente
distruggendo l’immagine di noi stesse, ai nostri occhi,
agli occhi degli altri ed a quelli del mondo.
L’errore è pensare di essere sola: non si è mai soli,
la famiglia, i figli, gli amici, ma anche gli altri, gli
sconosciuti sono in ascolto. L’errore è sentirsi in colpa
per quello che accade: una scelta sbagliata non può e
non deve pregiudicare tutta una vita, ci sono altre
scelte in attesa a cui bisogna concedere altre
possibilità.
L’errore è pensare di tenere “unita” la famiglia per i figli:
ma per i figli assistere a violenze e vessazioni subite
dalla propria madre è una forma di violenza terribile che
segnerà le loro vite per sempre, cesellando sulla loro
pelle il dolore, il male, la rabbia, realtà più
grandi di loro con cui dovranno fare i conti.
Bisogna avere ben presente che un uomo violento è violento
sempre, non può mascherare la sua natura e ad un
occhio attento la violenza traspare, dai movimenti del
corpo, dal tono della voce, dalla mimica facciale.
Una donna innamorata se è vero che non può vedere con gli
occhi della mente, può imparare a difendersi, avendo gli
strumenti adeguati.
Allora insegniamo alle nostre figlie, sorelle, madri, amiche
a difendersi dagli sguardi che feriscono; insegniamo loro a
prendere le distanze dai gesti che celano aggressività
dietro un fascio di rose; insegniamo a ricevere amore e
rispetto, ma soprattutto educhiamole a volersi bene. A
capire che l’amore per noi stesse è sempre il più grande bene
che possediamo.
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May-Britt
Moser,
undicesima donna a ricevere il premio Nobel di
Maria Cristina Saullo
Luminari nello studio delle cellule cerebrali che si
occupano di farci capire dove ci troviamo e la
direzione in cui ci stiamo dirigendo. Quest’anno, il
premio Nobel per la Medicina è stato assegnato, tra gli
altri, ai coniugi May-Britt Moser, psicologa norvegese,
ed Edvard Moser.
May-Britt Moser, ha studiato psicologia all'Università di Oslo
dove ha conosciuto Moser, suo futuro marito. Dopo il
dottorato in neurofisiologia nel 1995, ha lavorato all'Università
di Edimburgo e all'University College London, prima
di trasferirsi nel 1996 alla Norwegian University of Science
and Technology di Trondheim. Ha ottenuto il titolo di
Professore in Neuroscienza nel 2000 ed è attualmente
direttrice del Centre for Neural Computation di Trondheim.
Grazie allo studio congiunto con il marito si è compreso
come funziona il nostro sistema di navigazione interno,
cioè come il cervello permette di orientarsi nello spazio,
una delle funzioni cognitive più importanti.
Nel 2005 May-Britt Moser e suo marito scoprirono insieme
un altro elemento fondamentale per il sistema di
posizionamento del cervello: identificarono una cellula
nervosa, che chiamarono cellula grid, cioè
cellula a griglia, che costruisce una serie di
coordinate per permettere a ognuno di avere idea non
solo di dove si trova, ma del percorso ideale per
raggiungere un altro posto. Il loro studio, fu integrato
con le scoperte di O’Keefe e permise di avere un
quadro più chiaro sul funzionamento delle “cellule
di posizionamento” e di quelle a griglia.
La scoperta del sistema di posizionamento del cervello ha
costituito un passo avanti fondamentale per capire meglio
come si organizzano alcune cellule cerebrali molto
specializzate, per eseguire determinati compiti; ha permesso di
approfondire le conoscenze su come funzionano i processi
cognitivi, la memoria, la capacità di progettare e in
generale di pensare.
May-Britt è l'undicesima donna a ricevere il premio Nobel;
ne ha avuto notizia mentre si trovava all'università di
Trondheim, in Norvegia.
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