Intervista a Titti Festa | tutte le interviste |
Telegiornaliste anno VI N. 22 (239) del 7 giugno 2010
Titti Festa: il giornalismo, un amore viscerale di Giuseppe Bosso Nata ad Avellino, Titti Festa è giornalista professionista dal 2007. Volto di punta del canale Irpinia Tv e corrispondente da Avellino de Il Mattino, conduce il tg sportivo, realizza servizi per il telegiornale e si occupa, con il collega Norberto Vitale, della trasmissione Bianco e Nero dedicata all’attualità. Com’è la giornata tipo di una telegiornalista irpina? «Piena. Sveglia alle 8, lettura dei quotidiani e poi, alle 10, si inizia in redazione con la riunione con i colleghi e il direttore per decidere il da farsi. Poi esco, ed è la parte che amo di più del nostro lavoro: andare in cerca di notizie per la strada. Rientro poi in redazione per realizzare i servizi e alle 13 sono in onda con il tg sportivo. Nel pomeriggio poi, dopo essere tornata a casa, sono al Mattino o esco per il programma Bianco e nero». Avellino è reduce da un anno calcistico terribile, culminato con il crac della società che aveva quasi raggiunto il centenario. «È stato un duro colpo per la città. Per fortuna, grazie alla nuova dirigenza formata da giovani oltre che dall’esperienza del ds Nicola Dionisio, ora sta giocando bene e non escludiamo di poter rientrare, nella prossima stagione professionistica, nei ripescaggi che ci riporterebbero in Seconda divisione (l’ex C2, ndr)». Cosa ha determinato, secondo te, il crac e cosa deve fare la società nuova per non ripetere gli stessi errori? «La cattiva gestione dei Puglisi è stata sicuramente il fattore decisivo. Per anni i vecchi proprietari avevano manifestato un grande impegno, ma avevano anche ottenuto non pochi vantaggi, tra cui l’elezione del presidente al Parlamento. Poi, nel tempo, abbiamo assistito ad una rottura tra loro e tutto l’ambiente, dalla squadra ai tifosi. Le colpe le abbiamo tutti, ma la responsabilità maggiore è di chi non si è voluto impegnare per trovare quei 3 milioni necessari per l’iscrizione, che volendo potevano saltare fuori. L’U.S. 1912 è morta e purtroppo così si sono cancellate anche le pagine splendide degli anni ’80, quelli della serie A. Paradossalmente, però, per me è stata anche una grande occasione professionale perché ho avuto modo di reinventarmi, per così dire, occupandomi anche di altre cose oltre al calcio». Si torna a parlare di Moggi e di Calciopoli. Ritieni che il calcio italiano abbia ancora bisogno di questo personaggio? «In realtà Moggi ha continuato, sia pure sottobanco, ad essere presente nel nostro calcio, sia in tv che nelle società, in gran parte formate da uomini della sua ‘scuderia’. Da juventina ritengo che le punizioni siano state pesanti e giuste, ma non capisco perché se ne torni a parlare proprio ora. Questa strumentalizzazione che coinvolge una persona perbene come il povero Facchetti non mi piace anche se ritengo che, se si fosse fatta chiarezza fin dall’inizio sulle posizioni di tutte le società coinvolte, magari l’Inter non ne sarebbe uscita così pulita». In provincia un giornalista che lavora in tv tende a diventare un punto di riferimento per la sua collettività: è stato così anche per te? «Sì, e lo dico senza presunzione. Magari all’inizio nei miei confronti c’era un po’ di diffidenza, come capita alle donne che si occupano di calcio. Maliziosamente si pensa lo facciano per frequentare i calciatori, cosa che io non ho mai cercato. Lavorando a Italia Mia ed essendo visibile sul satellite, mi è capitato di andare negli stadi e venire riconosciuta, ed è una cosa che mi ha fatto non poco piacere». Mai ricevute proposte indecenti? «Talvolta la mia solarità può essere fraintesa. Sì, sono capitate persone, anche calciatori, che lo hanno pensato, e per questo nel tempo ho imparato a tenere un po’ le distanze». Da tempo, però, le donne iniziano anche ad assumere ruoli di responsabilità, anche nel giornalismo sportivo. Secondo te, di fronte a una ‘direttora’, c’è più diffidenza maschile o invidia femminile? «In questi giorni un mio amico, l’ex calciatore Salvatore Sullo (attualmente vice di Ventura sulla panchina del Bari, ha giocato nell’Avellino e nel Messina, ndr) mi ha detto "Ci sono due categorie di persone che non capiscono di calcio: i giornalisti e gli allenatori". E gli ho risposto "Beh, per gli allenatori è più grave". Questo per dirti che, nella battuta, si capisce come la diffidenza maschile sia ancora forte. Per il resto, ho molte amiche colleghe come Carmen Fimiani, Rosaria Caramiello e Carla Polverino, e almeno da loro non avverto poi tutta questa invidia. Anzi, siamo molto solidali». L’esperienza che ha segnato la tua carriera? «Non lo dico per piaggeria, ma mio zio mi ha dato tanto. Io l’ho sempre chiamato direttore, proprio per far capire che non ci sarebbero stati favoritismi o nepotismi per me. Mi ha insegnato ad amare il mestiere, a farlo con passione. Un giornalista non è un impiegato, con tutto il rispetto per la categoria degli impiegati, lo è nelle vene e soprattutto deve vivere il suo mestiere a contatto con la gente, imparare ad ascoltarla perché ha tanto da dire. Ultimamente sto seguendo il caso dei 1200 operai di Pratola Serra che rischiano di trovarsi in mezzo alla strada. Poi, ci sono personaggi che ho avuto modo di intervistare, come Don Vitaliano della Sala, il prete rosso di Sant'Angelo a Scala: profondo, controverso ma molto umano. E Zeman, un allenatore unico e mai banale». C’è spazio per l’amicizia nel nostro lavoro? «La competizione c’è, e inevitabilmente sei costretta a sorridere sempre per non far capire a chi è pronto ad approfittare di una minima defaillance che è il momento di colpire. Ma tanto lavorando in un quotidiano quanto in un'emittente tv si capisce che il lavoro di squadra è il solo modo per risolvere anche le maggiori avversità. Gli amici ci sono, ma per il resto sto attenta a distinguere questi rapporti dalla collaborazione sul lavoro». E per gli affetti? «Cerco la persona giusta, a condizione che capisca i miei ritmi e i tempi difficili che richiede il nostro mestiere. In passato ho avuto un fidanzato molto comprensivo che sopportava il fatto che talvolta mi toccasse rimanere in redazione anche a tarda notte». Dove sarà il tuo domani? «Il mio sogno è lavorare a Sky, un’emittente seria e in crescita in cui si punta davvero sulla meritocrazia nella scelta dei giornalisti e senza raccomandazioni. Ma anzitutto voglio migliorare ancora, credo che la gavetta sia una fase importante, e farla in provincia con sacrificio e volontà è di grande stimolo». Qual è il tuo ritratto? «Appassionata, testarda e puntigliosa. Studio le cose e amo il mio lavoro in modo viscerale, non mi fido delle apparenze. A volte ‘rompipalle’, ma prima di tutto con me stessa! Per fortuna sono sempre stata abbastanza libera sul lavoro». |
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