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Intervista a Serena Bortone   Tutte le interviste tutte le interviste
Serena BortoneTelegiornaliste anno VII N. 33 (293) del 17 ottobre 2011

Serena Bortone: raccontare notizie, non gossip
di Giuseppe Bosso

Incontriamo Serena Bortone, autrice e inviata di Agorà, programma mattutino condotto da Andrea Vianello, nonché scrittrice ed autrice del libro Io non lavoro-storie di italiani improduttivi e felici, edito da Neri Pozza.

Improduttivi e felici: è questo il ritratto dell'Italia di oggi?
«Direi proprio di no. Se l'Italia è improduttiva, non lo è certo per scelta. E quindi dubito possa esserne felice».

Ma allora perché questo titolo?
«I personaggi del libro che ho scritto a quattro mani con Mariano Cirino hanno deciso di non lavorare, compiendo una scelta di libertà e di indipendenza dalle regole comuni alla società. Scelta che, dicono le statistiche, è sempre più condivisa da tanti giovani che non trovando lavoro smettono anche di cercarlo. I cosiddetti né né, quelli che non studiano e non lavorano, sono due milioni. Del resto, spesso il lavoro che si offre loro è precario, talvolta anche inappagante, inadeguato agli studi fatti. Nell'Italia delle rendite, in cui si tassa il lavoro e non i patrimoni, in cui gli ammortizzatori sociali più efficienti sono proprio le famiglie, ecco che il numero di quelli che scelgono di vivere di quanto hanno accumulato i genitori aumenta».

Avverti insofferenza degli esponenti politici nei confronti dei media?
«Più che di insofferenza parlerei di amore e odio. La tv serve al politico, gli dà quello di cui crede avere più bisogno: la visibilità. Allo stesso modo però spesso teme le domande, non comprendendo che, proprio rispondendo a quelle non compiacenti, potrà guadagnarsi la fiducia dei propri elettori. Noi giornalisti abbiamo il dovere di rivolgere le domande, il politico può anche rifiutarsi di rispondere, sapendo però che pure il suo silenzio verrà giudicato dal telespettatore».

Si riparla di legge bavaglio: secondo te quali sono i limiti del diritto di cronaca?
«Nel momento in cui il giornalista entra in possesso di una notizia, ha non solo il diritto, ma il dovere di pubblicarla. Dovere ancora più forte per noi giornalisti del servizio pubblico. La libertà di informazione è un principio costituzionale sancito non a tutela del giornalista, ma del cittadino, perché solo conoscendo i fatti potrà formarsi le opinioni. Ciò detto, bisogna intendersi sul concetto di notizia. Quando anni fa furono pubblicati gli sms d'amore tra Ricucci e la sua futura moglie, Anna Falchi, era evidente che non ci trovavamo di fronte a una notizia ma alla divulgazione di una corrispondenza privata che nessun interesse aveva nell'ambito dell'inchiesta sui "furbetti del quartierino". Quando però le intercettazioni riguardano fatti penalmente rilevanti o comunque utili a far comprendere rapporti tra personaggi pubblici o altre questioni di pubblico interesse, renderle note rientra nel diritto di cronaca. Trovo comunque molto triste, al limite dell'intimidatorio che si vogliano punire i giornalisti per i quali, ripeto, informare è un dovere e non un diritto. Le voci non bastano mai: l'importante è che siano libere».

Un aggettivo per Andrea Vianello?
«Brillante. E soprattutto quello che per me conta più di tutto, una persona perbene».

L'inchiesta che vorresti realizzare?
«Amo raccontare le persone, i loro dubbi, le loro aspirazioni. Mi piace entrare in contatto con gli altri. Come diceva qualcuno, la gente è il più bello spettacolo del mondo. Oggi volerei intorno ai continenti per incontrare una delle tre donne che hanno vinto il Nobel per la Pace, Ellen Johnson-Sirleaf, Leymah Gbowee e Tawakkul Karman. Darei qualsiasi cosa per far tornare quaggiù Josè Saramago. Avrei potuto ascoltarlo - e raccontarlo - per tutta la vita».

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