Telegiornaliste anno V N. 41 (212) del
16 novembre 2009
Raffaella, l'avventura e la
fotografia
di
Chiara Casadei
Per chi ama l’avventura, gli spiriti liberi e
indipendenti, ma sensibili e generosi, troverete
pane per i vostri denti leggendo le righe che
seguono.
Raffaella Milandri ha scelto: no
routine, no stereotipi, no cliché, ma vera e
propria simbiosi con il mondo intero. Un amore
nato da qualche anno a questa parte e che ha
tutta l’aria di essere uno di quelli che durano
tutta una vita. E dopo aver sentito i suoi
racconti, avreste il coraggio di dire che non
provate nemmeno un po’ d’invidia?
Da cosa è nata la passione per il viaggio e
per la fotografia?
«La molla determinante è stata la mia passione
per viaggiare. Fin da piccola sognavo di fronte
a cartine geografiche, come se fossero mappe del
tesoro e terre inesplorate. Leggevo fumetti -
Tex - e guardavo film d'avventura -
Indiana Jones. Quando ho iniziato a
viaggiare, la passione per la fotografia è nata
spontanea. E da lì, il viaggiare in solitaria e
fotografare è stata una naturale evoluzione. Una
dimensione unica, una sensazione di libertà:
mondi nuovi e il mio terzo occhio, la macchina
fotografica, con cui catturare l'anima e i
volti, gli occhi di un Paese.
Per rispondere meglio alla tua domanda, la
svolta determinante è stata quando ho deciso,
nel 2004, di lasciare il mio lavoro di
amministratore d'azienda: fuori dagli schemi,
fuori dagli orari, con tutti i pro e tutti i
contro. Mi sono presa un anno sabbatico e sono
andata in giro in fuoristrada per l'Australia,
in solitaria. Un’esperienza illuminante. Ho
percorso ogni pista in fuoristrada e ogni
sentiero a piedi, mettendomi alla prova e
andando fino in fondo, ma essi erano, comunque,
simboli delle varie prove della vita con tutti i
bivi e i rischi. Ho provato cosa vuol dire
essere "nessuno", lontano da casa, senza lavoro
e fissa dimora, senza legami a formalismi
tipicamente europei, abbigliamento,
comportamento, nonché desiderio di possesso di
beni mobili e immobili».
Che cosa intendi con "fotografia umanitaria"?
«Per me viaggiare non vuol dire solo visitare
luoghi, ma soprattutto percepire l'animo dei
popoli e riportarlo nelle mie foto. Il forte
interesse che ho sempre nutrito per
problematiche sociali e razziali, per i popoli
indigeni e tribali - dai nativi americani agli
eschimesi, ai boscimani, agli aborigeni, ai
pigmei, ai masai - ha fatto il resto. Quando
viaggio cerco la compagnia di persone semplici,
cerco di capire le loro esigenze, e se trovo
delle sofferenze mi adopero per alleviarle, nel
mio piccolo. Da qui la fotografia umanitaria,
come testimonianza e sensibilizzazione ma anche
come mezzo, attraverso aste di beneficenza e
campagne umanitarie, di aiuto concreto».
I viaggi in solitaria sembrano una sfida per
veri duri: bisogna sapersela cavare in
situazioni imprevedibili e senza contare
sull'aiuto dei propri cari. Ha riscontrato
problemi in quanto donna?
«I
viaggi in solitaria sono una sfida, certo, una
sfida con me stessa, a cui chiedo sempre molto.
Ma ogni viaggio è un’esperienza unica, è una
scuola di formazione per affrontare gli
imprevisti, per acquisire elasticità mentale,
per apprendere da culture diverse, per imparare
ad adattarsi a tutto. Ho affrontato sentieri con
orsi e lupi in Alaska, cantando da sola a
squarciagola per tenerli lontani; ho catturato
scarafaggi nelle camere d'albergo in Nepal; nel
Kalahari ho incontrato un leone all'alba, il
ruggito mi ha fatto vibrare i polmoni; in
Alaska, oltre il Circolo Polare Artico, ho
dovuto abbandonare l'auto in un fiume rischiando
l'ipotermia e camminando nella tundra fino a
trovare soccorsi. Sono fiera di poterlo
raccontare. In quanto donna, la cosa
fondamentale per evitare problemi è tenere un
profilo basso: vestiti accollati, approccio
semplice, mai in giro di sera e sesto senso
sempre all'erta. Camaleonticamente, mi adatto
alla cultura del luogo e se occorre faccio la
finta tonta. Quindi, i problemi come donna
spesso sono più legati alla fisicità: cambiare
una ruota, trasportare bagagli, affrontare
percorsi faticosi».
L'ultimo viaggio in solitaria che hai
compiuti è stato in Botswana, pochi mesi fa.
Cosa ci puoi raccontare di questa terra, e
soprattutto delle persone che hai incontrato?
«Il Botswana è incredibile. Zebre, leoni,
giraffe, ippopotami, elefanti, un’enorme
ricchezza di fauna allo stato selvaggio e
incontaminato. Al di fuori di cinque cittadine
principali - il Botswana ha meno di due milioni
di abitanti in tutto - il resto sono villaggi di
capanne. La gente, divisa in diversi ceppi
etnici, è gentile, disponibile e sorridente. Io
ho avuto come primo obiettivo in Botswana la
conoscenza della situazione dei Boscimani del
Kalahari. Come molti popoli indigeni, sono
seriamente minacciati di estinzione: esiliati
dalle loro terre in nome di interessi economici.
Solo 300 Boscimani vivono oggi ancora nelle loro
terre ancestrali, nel deserto del Kalahari, dove
negli anni '80 sono stati trovati i diamanti.
Hanno chiuso i pozzi d'acqua e queste famiglie
vivono ai limiti della sopravvivenza. Sono stata
a trovarli, il loro villaggio è a 200 km dalla
prima strada degna di questo nome, all'interno
del deserto, solo una stretta e desolata pista
sabbiosa li collega al mondo civile. Ho portato
loro latte, zucchero, caffè e acqua: quando
hanno visto l'acqua, in religioso silenzio, si
sono messi in fila con una tazza per poterne
bere. L'acqua è fondamentale per ogni essere
vivente.
Sto organizzando una mostra fotografica sui
Boscimani del Kalahari, che possa sensibilizzare
l'opinione pubblica sui loro gravi problemi. Poi
in Botswana ho conosciuto Hilda: vicino ad Etsha
6, un villaggio vicino al Delta dell'Okavango,
ho dato un passaggio a Hilda e al fratellino: è
una ragazzina di 12 anni che ogni giorno per
andare a scuola si fa tre ore di autobus. Era
molto stupita che un "bianco" desse un passaggio
a dei "neri" e mi ha fatto tante domande. Questo
la dice lunga su tante cose. Siamo rimaste in
contatto, ci scriviamo. Vorrei darle la fiducia
nel futuro che merita».
Non solo attraverso il tuo blog, ma anche sul
profilo di Facebook, mantieni i contatti con
tantissime persone che ormai seguono
appassionati le tue ricerche e i tuoi
innumerevoli viaggi. Il social network si è
rivelato soprattutto un tramite per
sensibilizzare sempre più gli italiani riguardo
i problemi dei più deboli, come ad esempio
sostenere la ratifica della ILO 169. A questo
riguardo, quali miglioramenti hai potuto
appurare da quando hai condiviso online il tuo
diario di bordo?
«Innanzitutto questi due viaggi "in diretta su
Facebook" , dal Tibet e dal Botswana, mi hanno
dato modo di scoprire tante, tante persone
"vere", in gamba, oneste e piene di valori
umani. Quando sono stata derubata del
portafoglio a Lhasa, in tantissimi si sono
offerti di aiutarmi materialmente, spedendo
soldi. Per fortuna non c'è n'è stato bisogno, me
la sono cavata da sola, ma è stata una
bellissima dimostrazione di affetto e
solidarietà. Adesso con la campagna per la ILO
169 su Facebook siamo circa 1300, in crescita.
La campagna consiste nel sensibilizzare il
Governo, attraverso lettere al ministro
Frattini, alla ratifica dell'Italia alla ILO
169, una convenzione internazionale
importantissima per la salvaguardia dei diritti
umani dei popoli indigeni (maori, boscimani,
indios, aborigeni, eschimesi e tanti altri,
circa 300 milioni di persone nel mondo)».
La valigia probabilmente è sempre pronta e la
voglia di visitare posti nuovi costantemente
viva. C'è però un luogo, o semplicemente uno
scorcio che hai visitato, e in cui non vedi
l'ora di ritornare?
«Il Tibet, in particolare i piccoli villaggi.
Paesaggi strepitosi, gente meravigliosa. Ma i
tibetani vivono un grande disagio sotto gli
occhi del mondo intero. Le strade di Lhasa sono
pattugliate dai militari giorno e notte e i
tibetani hanno paura a parlare della loro
situazione. La fede buddhista li sostiene, sono
un popolo sereno nel dolore».
Raffaella Milandri: una donna che sa
adattarsi, amalgamarsi con popoli di diverse
etnie e alla ricerca di emozioni ed esperienza
forti. C'è qualche cosa che manca per completare
il puzzle o puoi affermare una completa
soddisfazione personale?
«La soddisfazione sta nella continua ricerca di
una crescita personale, sono solo all'inizio di
un lungo cammino e mi auguro di avere la
possibilità di dare un aiuto concreto ai popoli
che soffrono attraverso le mie immagini e le mie
testimonianze.
Inoltre, la mia curiosità è infinita e vorrei
esplorare il più possibile prima che la
globalizzazione cancelli le varietà di sfumature
nelle diverse culture. Ad oggi, per quello che
ho visto, spesso nei paesi in via di sviluppo,
progresso non vuol dire benessere ma consumismo,
con l’ansia di acquistare beni secondo il
modello occidentale, tralasciando aspetti vitali
come assistenza sanitaria, istruzione pubblica,
garanzia dei diritti umani».