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Intervista a Benedetta Palmieri   Tutte le interviste tutte le interviste
Benedetta PalmieriTelegiornaliste anno V N. 37 (208) del 19 ottobre 2009

Un, Due, Tre... Stella! di Pierpaolo Di Paolo

Un Due Tre Stella è il secondo libro di Benedetta Palmieri, giovane giornalista e scrittrice napoletana. Il romanzo, edito da Tullio Pironti, è un percorso visto da quattro prospettive diverse. Quattro storie di donne scrutate nella loro interiorità, nelle loro riflessioni più intime, manie, debolezze, segreti. Quattro giovani protagoniste messe a nudo.

Il titolo richiama un gioco dell'infanzia. Una scelta casuale?
«Spesso rimpiango dell’infanzia il senso di fiducia, di sicurezza che si prova nell’abbandonarsi alle braccia dei genitori, e credo di non avere un rapporto del tutto chiuso o risolto con quella fase della vita. Ma, detto questo, più che i giochi infantili io amo molto i giochi di parole, le associazioni o le dis-sociazioni di idee, usare parole in contesti diversi da quelli cui appartengono. Una sera ero con mio fratello e degli amici a bere qualcosa, parlando con loro si è chiarito in me che ciò che stavo scrivendo si sarebbe trasformato in quattro racconti, che una delle protagoniste si sarebbe chiamata Stella… e il titolo era fatto».

Napoli con le sue stradine, i quartieri, il modo di interagire dei personaggi, sembra il centro del suo romanzo. Quanto è importante nel suo lavoro questa città?
Un DueTre Stella Benedetta Palmieri«Napoli è importantissima, per la mia vita prima ancora che per il mio lavoro. So che è una città con molti problemi e, in qualche modo, persino con delle colpe. Una città che fa anche male e fa vivere in maniera complicata, ma io la amo con la stessa passione con cui si ama una persona. E le persone si amano anche con e per i loro difetti».

I personaggi che lei crea sono molto reali, veri, profondi. Le sensazioni che le protagoniste vivono sono raccontate, trasposizioni della sua interiorità, o puramente inventate?
«Sono un po’ tutte queste cose. Sono dei collage prodotti dalla mia esperienza e dalla mia fantasia, dalle mie sensazioni e dai miei desideri».

Quanto c'è di autobiografico nel suo lavoro?
«In un certo senso tutto. Io intendo l’autobiografia non necessariamente come vissuto, ma anche come pensato. Quella roba appartiene a me, al mio bagaglio di vita anche se non è accaduto, perché quei pensieri e quella fantasia sono comunque scaturiti da ciò che ho vissuto».

In quale delle quattro protagoniste si rivede di più?
«Mi sento Brigida, vivo come Alessandra, credo di assomigliare più a Stella, e forse vorrei essere Anna».

Ma la storia delle Grazie è vera? Esiste davvero un convento dove le monache pregano - dietro pagamento - anche per le richieste più strampalate dei fedeli?
«Non strampalate come quelle che racconto nel libro, ma sì, esiste. Si trova in uno dei Decumani, in quella parte di Napoli tanto bella e tanto densa che sembra sempre sobbollire. E ha davvero un soprannome curioso, legato alla vita di Cristo e alle prime monache che vi vivevano. In questo senso la storia delle grazie è vera, ma non è – per fare un passo indietro – autobiografica».

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