Telegiornaliste anno VI N. 29 (246) del 13 settembre 2010
Aly Baba Faye: tutti possiamo contribuire all'integrazione
di
Giuseppe Bosso
Questa settimana ospitiamo sulle pagine di
Telegiornaliste Aly Baba Faye,
sociologo nato in Senegal e arrivato in Italia
nei primi anni Ottanta. Nel suo curriculum,
l'impegno continuo per la promozione dei diritti
civili, l'integrazione degli immigrati e il
dialogo interculturale. Faye è stato insignito
nel 2003 del
Premio Mediterraneo per la Pace
e la Solidarietà. Il filo conduttore del suo
impegno pubblico è la tutela della dignità di
ogni essere umano.
Rispetto al tuo arrivo in Italia, come trovi
cambiato il nostro Paese dal punto di vista
dell’accoglienza verso gli stranieri?
«Più di vent’anni fa non c’erano i giganteschi
flussi migratori dei giorni nostri. Io e i miei
amici eravamo per lo più studenti che
suscitavano negli italiani simpatia e curiosità,
perché l’Africa era ancora vista come un mondo
sconosciuto e misterioso. Poi, prima il caso
degli albanesi allo stadio di Bari, e più in là
l’attentato alle Twin Towers, hanno rotto questo
equilibrio alimentando un clima di paura e
diffidenza. Ma io ho fiducia che prima o poi
questi timori saranno superati».
Chi deve compiere, da questo punto di vista,
il primo passo?
«Non parlerei di passi da compiere. Certo, la
stampa per esempio ha le sue responsabilità
nell’amplificare questo clima di tensione. La
politica, la società e soprattutto i volontari
che a mio giudizio fanno un lavoro splendido,
hanno dei ruoli e delle responsabilità che, nel
loro piccolo, possono contribuire a questo
processo di affievolimento di cui parlo. Non c’è
bisogno né di slogan altisonanti né di
propagande, ma semplicemente di dialogo e di
comprensione».
Si parla di voto anche agli immigrati.
Sarebbe una cosa utile, secondo te?
«Il diritto di voto è importantissimo. Oserei
dire che è la chiave di volta di tutti i
diritti, l'"arma" di cui dispone un cittadino in
un paese democratico. Se gli immigrati avessero
il diritto di voto il rispetto nei loro
confronti, aumenterebbe di molto nel discorso
politico. In Italia si discute di questo tema da
vent'anni, ma non si sono compiuti passi in
avanti. Nonostante vi siano direttive e
convenzioni europee, l'Italia non vuole dare il
diritto di voto. Eppure basterebbe applicare il
principio secondo cui "non c'è tassazione senza
rappresentanza". Chi paga le tasse deve poter
dire la sua sul funzionamento della vita
pubblica. Dunque, se il diritto voto alla
politiche è legato alla nazionalità, è
necessario e urgente riconoscere l'elettorato
attivo e passivo alle elezioni amministrative.
Poi accanto a questa scelta va riformata la
legislazione sulla cittadinanza. Quando si vive
in una comunità, sentirsi membro è importante».
Come operatore dei media qual è il tuo punto
di vista sulla situazione italiana? Le nuove
tecnologie hanno portato a un miglioramento dei
contenuti?
«I media sono dentro la bolla di una grande
mutazione. Con Internet e l'avvento dell'era
digitale è tutta la comunicazione che cambia. I
blog e i social media hanno cambiato il modo di
produrre e di consumare informazione.
L'interattività e il supporto digitale pongono
ulteriori difficoltà alla carta stampa. YouTube
e Dailymotion consentono un nuovo modo fare
televisione. Certo, non occorre confondere ogni
unità di bit come dato informativo altrimenti si
confonde contenitore al contenuto, come avviene
nel modo in cui i politici usano i siti
internet. Insomma, siamo in mezzo a una grande
mutazione che ci costringe a adattarsi, ad
appropriarsi di un nuovo linguaggio per
usufruire al meglio delle potenzialità delle
nuove tecnologie».
Come è uscita l'Africa dal Mondiale 2010?
«Malgrado la delusione per i risultati sportivi,
specie per il Ghana che non è riuscito ad
approdare alle semifinali veramente di
pochissimo, molto bene direi. Dal punto di vista
dell’organizzazione e della sicurezza, a
dispetto dei timori e delle perplessità che
c’erano, il Sudafrica ha saputo essere
all’altezza della manifestazione e direi che è
un bel segnale di ripresa. Ma ovviamente, i
problemi del continente sono ben altri, e non
basta un evento sportivo per risolverli in un
lampo».