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Intervista a Marzia Roncacci (7)   Tutte le interviste tutte le interviste
Marzia RoncacciTelegiornaliste anno XXI N. 8 (787) del 5 marzo 2025

Marzia Roncacci, tra Freud e la storia
di Silvia Roberto

Marzia Roncacci, giornalista romana e conduttrice del programma di informazione Tg2 Italia Europa tutte le mattine su Rai2, diventa autrice di un libro che mescola emancipazione privata e lavorativa, amore, sesso e matrimonio, raccontandolo secondo il proprio vissuto personale e con gli eventi storici e politici dal '68 in avanti. Noi di Telegiornaliste l’abbiamo incontrata e intervistata sulla sua ultima opera L’invidia del pene e sul suo lavoro che la vede essere uno dei volti più noti del giornalismo televisivo.

Marzia, anzitutto come sta e come è iniziato questo nuovo anno?
«Sto bene. Lavoro molto ma con soddisfazione e questo è importante. Il nuovo anno è iniziato bene. Ho presentato il mio libro a fine dicembre e mi dicono stia andando forte nelle vendite ed è molto apprezzato. Ne è valsa la pena. Scrivere un libro è cosa impegnativa, molto. Ho impiegato più di un anno. Però sono contenta del contenuto. Un romanzo che racconta la grande storia della Donna attraverso alcuni spunti della mia vita vissuta, che fotografa molto bene il nostro paese Italia dal punto di vista politico, culturale di costume, dagli anni ’60 ad oggi. Ogni lettore può ritrovarsi o ritrovare elementi di vita vissuta che gli appartengono».

Entro subito nel cuore di questa intervista chiedendole cosa l’ha spinta a scrivere il libro L’invidia del pene di fresca uscita, il 16 dicembre scorso?
«La verità è che mai avrei pensato di scrivere un libro. E invece… mai dire mai, un grande insegnamento di mia madre. E invece, quando mi è stato chiesto, più volte, mi sono convinta quando ho pensato che potesse essere un “manifesto” soprattutto per le nuove generazioni e così mi sono messa al lavoro. Sono partita da un titolo forte, provocatorio, a volte divisivo, ma che è soltanto uno spunto, Freud e la sua teoria sull’invidia del pene, infatti non è affatto un testo psicologico, tantomeno filosofico, ma la narrazione di un’epoca dai grandi cambiamenti sociali, storici, politici, di costume, in cui la donna ha tentato anche di mascolinizzarsi per essere più credibile, più forte, più importante. Il libro è uscito il 16 dicembre, qualche mese fa, sta andando molto bene nelle vendite, ma a parte questo mi fa piacere perché è davvero un romanzo che, attraverso il mio vissuto, fotografa il nostro Paese, quindi quello che siamo stati e, di conseguenza, quello che siamo oggi».

Quali sono i temi che ha voluto sviluppare nel suo libro, mettere in luce e far conoscere ai lettori?
«I temi che sviluppo nel libro sono molti e diversi. I riferimenti alla storia che abbiamo vissuto sulla nostra pelle, dagli anni di piombo, alla rivoluzione femminista, alla scuola, le Università politicizzate. I riferimenti al costume come l’arrivo della minigonna, simbolo di libertà e autonomia della donna. Riporto storie legate a grandi personaggi come Anna Magnani che lottò perché suo figlio avesse il suo cognome, come Franca Viola che non cedette al matrimonio “riparatore”. Tanti temi e spunti di riflessione, per gli adulti di oggi e per i giovani che devono conoscere il loro passato e magari la storia dei loro genitori».

Nella copertina della sua opera scrive “Oggi, ha ancora senso questa teoria di Freud?”. Le pongo la stessa domanda, oggi ha ancora senso la teoria di Freud?
«Nel sottotitolo, in copertina, c’è la domanda “se ha ancora senso la teoria di Freud”, che spiego alla fine del libro in che cosa consiste. Credo di no, o meglio, apparentemente no. Troppo spesso, ancora oggi, accade che la donna tenda a mascolinizzarsi nei comportamenti, per essere più credibile specialmente nel mondo del lavoro. E racconto anche questo. A me è successo. Sbagliato, sbagliatissimo».

Nel libro si intrecciano episodi del suo vissuto personale. In che modo? C’è stato un avvenimento della sua vita che l’ha fatta particolarmente riflettere? E cosa le ha lasciato vivere determinate situazioni in un contesto storico tormentato, come quello degli anni 60, in particolar modo dal 1968, dalla rivoluzione femminile, ma anche gli anni 70 (con la nascita di un nuovo costume e l’imposizione di un diritto di famiglia). Anni che avrebbe portato a un cambiamento significativo nel concetto di società, di donna e famiglia…
«È inevitabile che il mio vissuto si intrecci con gli anni ’60 ad oggi, un periodo di grandi cambiamenti. Essendo nata negli anni ’60, mi sono presa la coda della rivoluzione femminista, ho vissuto il periodo delle ideologie, dell’Università, nel mio caso La Sapienza di Roma, in cui c’erano manifestazioni, occupazioni. Tanti cambiamenti dai diritti civili, come l’aborto, il divorzio, i diritti civili spesso nei riguardi della donna. Nella mia professione, come giornalista, le cose sono cambiate molto. La stragrande maggioranza erano uomini “giornalisti”. Oggi ci sono molte donne anche se siamo carenti nelle stanze dei bottoni. Inconsciamente e anche in modo inconsapevole, ho vissuto questi anni bene anche se capivo che erano anni di grandi cambiamenti culturali».

La donna, e il ruolo della donna nella società si è evoluto, è maturato, è cambiato fino ad arrivare alla manifestazione di oggi, in una società dove la donna è indipendente, libera, autonoma ma fino a che punto?
«Sì, il ruolo della donna nella società si è evoluto, è maturato, è cambiato fino ad arrivare alla manifestazione di oggi, in una società dove la donna è indipendente, libera, autonoma. Però credo che ci sia ancora da fare. I ruoli apicali, nella stragrande maggioranza, sono in mano agli uomini. I salari, inferiori, in alcuni casi, con le stesse mansioni. Un professionista, un lavoratore, sia esso donna sia essa donna, conta per la preparazione che ha e non per il genere che è».

Cosa si auspica per le presenti e future generazioni? Su cosa dovrebbero “lottare” per vincere stereotipi e convenzioni oramai obsolete e cosa vorrebbe dire lei ai giovani?
«Io sono sempre dalla parte dei giovani, sebbene mi rendo conto che è una società difficile per loro e ahimè troppo spesso assistiamo a giovani che pretendono “tutto e subito”. È un grande grandissimo errore. La Gavetta, lo studio, la passione, il percorso per raggiungere un obiettivo, sono fondamentali, per dare al giovane quella forza, quella struttura che aiuta ad affrontare le difficoltà della vita in tutti i campi. Il mio libro, l’ho scritto proprio con l’intento che possa diventare un “manifesto” per le nuove generazioni. Perché c’è la grande storia della Donna, attraverso la mia vita, dagli anni ’60 ad oggi, che si forma attraverso un processo lungo e tortuoso. I giovani devono sapere, devono conoscere chi e che cosa c’è stato prima di loro. La società di oggi, nel bene e nel male, è anche il risultato del nostro passato. Ecco, attraverso esempi di personaggi della cultura, dello spettacolo, della politica, e attraverso alcune fasi della mia vita, viene fuori un romanzo anche storico, che offre spunti di riflessione alla nuova generazione, anche errori da non commettere».

Nonostante l’uso smisurato dei social la televisione rimane ancora oggi il mezzo per eccellenza di diffusione di massa. Lei che è giornalista nota del mondo televisivo, quale ruolo dovrebbe ricoprire la televisione come strumento di informazione e diffusione del “fatto” in quanto tale senza scendere però nella propaganda?
«I social oggi la fanno da padrone. La televisione però, secondo me, rimane ancora oggi il mezzo per eccellenza di diffusione di massa. Perché ha il supporto delle immagini, perché tutti gli Italiani hanno in casa la televisione e la guardano. I giovani molto meno ma una sbirciatina la danno. La televisione è un mezzo importante e resta tale, come strumento di informazione e diffusione del “fatto” in quanto tale. I telegiornali hanno un ruolo fondamentale e sono anche molto seguiti. La gente vuole sapere, vuole essere informata. Non trovo giusto quando la notizia si spettacolarizza. Il telespettatore deve essere rispettato sempre. Quindi l’informazione deve essere il racconto dei fatti. Veicolare, voler spostare l’attenzione del pubblico, convogliare dove vuole il giornalista, è sbagliato. Non deve accadere».

Come è vista oggi la donna, giornalista, nel mondo della televisione? Esistono disparità, differenze, discriminazioni con gli uomini per incarichi apicali?
«Nel mondo della televisione, la giornalista ha sempre più spazio. Ci sono inviate bravissime e determinatissime, così come conduttrici, corrispondenti, insomma grandi passi sono stati fatti nel mondo del giornalismo. Al tempo stesso, stando da molti anni nel mondo del giornalismo, circa ventotto, ancora qualche retaggio culturale ce lo portiamo dietro. Ma sono molto fiduciosa. Qualche direttrice di giornale in più ci starebbe molto bene, sono ancora poche. Spero presto, ma perché brave e non per altre ragioni, tipo le quote rosa».

Ci ha raccontato nelle prime domande quale è il messaggio che ha voluto trasmettere ai lettori scrivendo questo libro, le chiedo invece cosa ha rappresentato per lei intraprendere questa esperienza da scrittrice e cosa le ha lasciato mettere nero su bianco anche pensieri personali?
«Scrivendo questo libro, è stata come una lunghissima seduta terapeutica. Ho ripercorso tutta la mia vita, dalla mia nascita, e man mano che mi raccontavo, ho capito quanti sforzi la nostra società, quella impegnata, ha dovuto fare. Io mi sono presa la coda della rivoluzione femminile, essendo nata io negli anni ’60. In quel periodo è stata necessaria e fondamentale. E poi gli anni dei diritti civili, quanto lavoro c’è stato dietro, dagli attivisti alla politica, e gli anni di piombo, le ideologie all’Università, le scelte coraggiose. Sono stati più importanti e rivoluzionari della nostra Società. Li racconto, snocciolando episodi della mia vita, usati come strumento per riportare all’attenzioni alcune fasi sociali troppo spesso dimenticate».

Sta già pensando al secondo libro o ha in cantiere altri progetti?
«Una mezza idea c’è. E sarebbe un altro bel testo da leggere. Per il momento ho tante presentazioni da fare di questo, in tutta Italia. La grande soddisfazione di ricevere inviti in rassegne importanti, senza che io chieda. Sta andando molto bene, perché come ho già detto non è un libro di psicologia o di filosofia, ma un romanzo storico autobiografico. Si fa leggere bene, mi dicono, e questo è un altro obiettivo raggiunto. Quindi per adesso, concentriamoci su L’invidia del pene e poi procederemo. Il mio lavoro è molto impegnativo. Sono tutti i giorni in onda con Tg2 Italia Europa, dalle 10 alle 11 su Rai2. Mi piace tantissimo quello che faccio, con la passione del primo giorno, ma implica tanto impegno, studio, attenzione, concentrazione, costanza, essere aggiornata su tutto e, come ho detto sopra, in virtù del fatto che per me il telespettatore "deve" essere sempre rispettato e mai ingannato, dedico gran parte della mia giornata al programma, che continua a riscuotere ottimi ascolti. E di questo vi siamo grati».

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