Telegiornaliste anno XX N.
12 (759) del
27 marzo 2024
Mjriam Bon, contro i muri del silenzio
di
Giuseppe Bosso
La triste piaga della violenza contro le donne è un fenomeno con il
quale purtroppo da anni abbiamo dovuto imparare a fare i conti quasi
quotidianamente. Ma certamente guai a restare con le mani in mano, e per
quanto possibile non smettere di tenere gli occhi aperti, le orecchie
bene in ascolto e a maggior ragione non restare in silenzio. Insomma,
non essere come le celeberrime tre scimmiette della altrettanto
celeberrima allegoria, ed è proprio con questo spirito che nasce
l’iniziativa che da anni porta avanti
Mjriam Bon:
veneziana, un passato da modella, fino alla decisione di passare
dall’altra parte dell’obiettivo, diventando fotografa ritrattista. Anche
per rompere ‘i muri del silenzio’.
Benvenuta sulle nostre pagine, Mjriam. Anzitutto come nasce il
progetto
I
muri del silenzio e come lo ha sviluppato in questi anni?
«L’idea di questo progetto è nata quando mi sono ritrovata tra le mani
una serie di ritratti che avevo scattato e che non avevo mai consegnato.
In queste foto le persone si coprivano gli occhi, la bocca e le orecchie
come le 3 scimmiette "sanzaru" giapponesi. Sono una fotografa
ritrattista, spesso scatto in studio mettendo il soggetto con le spalle
al muro, cosa non facile per chi non è abituato a stare davanti
l’obiettivo. Quindi, per mettere le persone a proprio agio, chiedevo di
fare una serie di espressioni, tra queste il non vedo, non sento, non
parlo. Quando le ho ritrovate e viste tutte insieme, mi sono resa conto
della forza che avevano ed ho deciso di far diventare questi scatti un
progetto sociale contro la violenza».
Non vedo, non sento, non parlo: a prima vista potrebbe
sembrare un controsenso questa rappresentazione in ottica di un
messaggio contro la violenza sulle donne: perché proprio questa
modalità?
«Perché l’omertà è sempre complice della violenza. Perché parliamo di
muri e silenzi. I muri di chi non vede o di chi fa finta di non vedere.
I silenzi di chi non parla perché ha paura, perché si vergogna. È questo
il focus del mio progetto. Un progetto che nasce dalla volontà di
rappresentare, attraverso volti, espressioni, personalità diverse, una
delle problematiche più difficili del nostro tempo: l’omertà. Non intesa
nel senso comune a cui siamo abituati ad associare questa parola, bensì
nel senso più profondo ed intimo, quell’omertà uditiva e visiva che
porta chi subisce violenza a tacere, non riuscendo ad abbattere quei
muri che oltre a non far parlare, non fanno sentire né vedere».
Un progetto che nasce anzitutto dall’unione di due storie, lei e
Giusy Versace.
Come è avvenuto l’incontro tra lei e la campionessa paraolimpica e
senatrice e cosa l’ha colpita in lei?
«Giusy è innanzitutto una cara amica da tanti anni, è poi per me una
donna straordinaria, una guerriera ed un grande esempio. Lei mi ha
aiutata a realizzare il progetto nel 2019 con una prima mostra a Roma,
dandomi poi una serie di spunti e consigli: sua per esempio l’idea di
trasformarla in un libro nel 2020 in piena pandemia, di avviare una
raccolta fondi e di donare il ricavato a 3 associazioni che abbiamo
visitato insieme, facendoci spiegare come avrebbero utilizzato i soldi.
».
Molti volti di spettacolo, da Alberto Matano a Lorella Cuccarini,
hanno aderito e si sono fatti fotografare, ma non solo, anche moltissima
gente cosiddetta “comune”, tante persone che si sono fatte fotografare
nelle tre pose: un ulteriore segno che è una battaglia più che mai di
tutti?
«Sì, lo è. Credo che oggi più che mai sia una battaglia che va fatta
insieme agli uomini e che si debba portare nelle scuole, con l’obiettivo
di formare giovani consapevoli. Fotografare così tante persone diverse è
stato per me molto emozionante. Questo è un progetto contro la violenza,
contro l’omertà. Il mio “non vedo, non sento, non parlo” è una foto
unica, un urlo comune, un NO alla paura e alla vergogna; è abbattere i
muri, è avere coraggio, è l’unica via per aiutare ed aiutarci».
Nonostante iniziative come la vostra gli episodi di violenza contro
le donne, anche tragici, sono purtroppo all’ordine del giorno: è un dato
che la scoraggia?
«È sicuramente un dato che fa riflettere: le denunce si sono
moltiplicate, specie durante e dopo la pandemia, il che significa che
campagne come la nostra, possono solo avere effetti positivi sulle donne
e sulla consapevolezza che si può essere ascoltate, protette e salvate».
Quali sono le prossime iniziative legate al progetto e come reperite
i fondi per sostenerlo?
«La mostra è itinerante e continuiamo a portarla in giro per l’Italia
per sensibilizzare e cercare di attuare una vera e propria rivoluzione
culturale, un processo educativo e comportamentale. È stata a Roma alla
Camera dei Deputati, a Palazzo Lombardia e a Palazzo Pirelli, a Gorla
Maggiore, ad Assago, a Monza presso l’Orangerie di Villa Reale, a
Treviglio, al monastero di Cairate, a Venezia con un flash mob di
gondole lungo il Canal Grande e poi presso la Domus Civica, a san
Raffaele Alto (To). Abbiamo fatto 3 delle 5 tappe previste nei centri
commerciali Il Gigante, luoghi inusuali per una mostra, con l’intento di
portarla in mezzo alla gente, nella quotidianità della spesa e dello
shopping: da Cinisello Balsamo a Curtatone (MN), a Castano Primo, dal 5
aprile a Somma Lombarda e dal 10 maggio a Daverio. Dal 20 settembre al
26 ottobre saremo a Peschiera Borromeo nel centro commerciale Galleria
Borromeo e dal 9 novembre al 1° dicembre a Bresso, per le vie della
città In tutto quello che facciamo è sempre prevista una donazione per
un’associazione a scelta nostra o di chi ci ospita. Abbiamo chiuso la
raccolta fondi in agosto perché abbiamo finito i libri e donato 10 mila
€ a 3 associazioni intorno a Milano. Ora continuiamo donando una cifra
simbolica ogni volta che un Comune o un centro commerciale o un
privato/galleria o altro ospita la mostra».