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Intervista ad Adele Grossi   Tutte le interviste tutte le interviste
Adele GrossiTelegiornaliste anno XX N. 25 (772) del 9 ottobre 2024

Adele Grossi, soltanto una giornalista
di Giuseppe Bosso

Abbiamo il piacere di intervistare Adele Grossi, volto di Rai News e da poco in onda con lo spazio di approfondimento Pomeriggio 24.

Sei tra le telegiornaliste più seguite e apprezzate dai nostri lettori: questo seguito nei tuoi confronti cosa ti ha suscitato?
«Non lo immaginavo e ne sono lusingata. Vi ringrazio molto, li ringrazio molto e sarei felice e onorata se tutti quelli che apprezzano il nostro lavoro continuassero a seguirci in questa avventura in cui stiamo cercando di offrire uno sguardo nuovo e attento sulle cose, di approfondirle il più possibile, perché è questo il senso del giornalismo e del servizio pubblico. Vogliamo dare maggiore attenzione alle storie, alle persone e ci piacerebbe anche ricevere il contributo di chi ci segue».

Ti sei finora caratterizzata come autrice di inchieste, anche scottanti: l’approdo a Rai News e alla conduzione delle edizioni ha cambiato qualcosa nel tuo modo di essere giornalista?
«No, assolutamente. Credo che il mio modo di essere giornalista non potrebbe mai modificarsi. C’è da dire che in questi mesi a Rai News mi è stato possibile fare entrambe le cose: continuare a fare inchiesta con il programma Spotlight e affiancare a quella, la conduzione del telegiornale. Sono sicuramente due momenti diversi del nostro lavoro, ma la ricerca della verità, il dovere di rappresentarla e di raccontarla, il costante sforzo di renderla al meglio: ecco, tutto questo è per me essere giornalista e non smetti di esserlo anche quando conduci un’edizione del giornale. Anzi, ti confesserò che c’è una tensione spesso più pregnante. Avverti, tocchi da vicino la responsabilità che hai verso chi ascolta, chi guarda, chi in qualche modo si affida, si fida di te».

Nel tuo percorso hai avuto modo di lavorare a stretto contatto con Milena Gabanelli e anche con Sigfrido Ranucci: cosa ha rappresentato per una giovane emergente giornalista la possibilità di affiancare colleghi di questo spessore?
«Sarò sempre enormemente grata a Sigfrido e a Milena per quello che mi hanno dato. Moltissimo lo devo a Sabrina Giannini, grazie alla quale sono approdata in Rai anni fa e che considero la mia maestra sul piano dell’inchiesta. Da lei ho cercato di apprendere il più possibile. Milena resta un faro per quelli che, come me, amano quello che è molto più che un lavoro. Professione a parte, mi è stata umanamente vicina in momenti complicati della mia vita professionale e privata, anche in situazioni in cui ho dovuto fare delle scelte. Le sono perciò particolarmente legata. Essere una giornalista del suo calibro e nello stesso tempo una persona incantevole e di grande spessore morale, ecco, non è scontato. Milena è così».

Per Spotlight grande interesse hanno suscitato le inchieste che hai realizzato su Roma, sul Giubileo e sulla gestione dei rifiuti: ti sei posta (o ti hanno imposto) dei limiti sul versante degli argomenti da trattare?
«Assolutamente no. Mi sconforta molto leggere sempre di una Rai o in generale di un mondo del giornalismo affossato dal clientelismo, dalla politica, dai diktat che arrivano da destra o sinistra. Non dico che sia tutto oro, ma spesso siamo noi stessi ad auto limitarci, siamo noi stessi a mancare gli obiettivi, a non pensare a 360 gradi. Io mi sono sentita sempre libera. Fra l’altro, sono piuttosto impertinente e ostinata. Impossibile addomesticarmi».

Il rapporto tra media e politica è costantemente nell’occhio del ciclone: ma questo non finisce per avere ripercussioni anzitutto e soprattutto sul cittadino, come dimostrano i dati sull’astensionismo alle consultazioni elettorali costantemente in aumento?
«Assolutamente. È per quello che prima ti parlavo di fiducia. La fiducia che dovremmo onorare. C’è una frase di Giuseppe D’Avanzo che mi ripeto costantemente: Il giornalista porta alla luce i fatti e sa che i fatti non sono mai al sicuro nelle mani del potere; per questo se ne fa custode, nell’interesse dell’opinione pubblica. Ecco, io sento sempre questa tensione di dover far bene, di dover non tradire la fiducia. Noi dovremmo incessantemente raccontare e soprattutto spiegare. Non amo molto i salotti fini a loro stessi o le notizie urlate. Spesso la gente, ma in effetti un po’ tutti noi, non sappiamo davvero cosa accade intorno. Non conosciamo i dettagli di un tema. Penso che noi giornalisti dovremmo offrire proprio questo valore aggiunto. La notizia in sé è ormai offerta dai social più rapidamente di qualsiasi lancio d’agenzia; figurarsi da un tg o da un giornale. Noi però possiamo offrire l’approfondimento, la comprensione. Quelli, i social, non possono darli. Così ricostruiremmo la fiducia; con la fiducia, la responsabilità e quindi poi la volontà di andare a votare. Con consapevolezza, finalmente».

Guerre, crisi economica, violenza sulle donne: potendo sceglierne solo una, quale di questi argomenti non vorresti più dover affrontare nelle edizioni che conduci?
«Vorrei non dover parlare dei bambini. Delle violenze che hanno loro come vittime. La notizia di una mamma che muore, di un bambino che rimane solo. Le immagini della sofferenza dei più piccoli, vittime principali dei conflitti in atto, confesso che sono devastanti per me. Quando rientro in studio dopo un servizio in cui vedo scorrere quelle immagini, o quando devo dare una notizia che ha loro come protagonisti, faccio un’immensa fatica a mantenermi centrata, formale. Vorrei abbracciare chi resta, avere il potere di fare qualcosa».

Al di là della giornalista stimata e apprezzata, chi è Adele Grossi?
«Ahia, questa è tosta come domanda. Difficilissimo parlare di sé. Vorrei poter ribattere chiedendo cosa, in particolare, tu voglia sapere; insomma, rispondere con una domanda: deformazione professionale! Chi sono? Sono un’innamorata cronica: dell’universo che ho intorno, della vita, delle persone. Mi entusiasmo facilmente e facilmente mi batte il cuore, sia per le cose belle, sia per le cose brutte. Rispetto a quelle brutte, però, cerco di vedere sempre il lato positivo. Ecco, sono anche questo: un’ottimista. Testarda, tendenzialmente irriverente, appassionata, protettiva, romantica nella visione del mondo, delle cose. Odio profondamente ogni forma di ingiustizia: da qui probabilmente la passione per l’inchiesta; non so stare zitta. Questo fa di me una persona sfortunatamente poco diplomatica e assai poco incline ai compromessi. E cos’altro poi… sono una mamma: questo fa parte di me; amo profondamente il mio lavoro, ma ho sempre cercato di non perdermi un attimo delle mie figlie. E per il resto, sono una giornalista. Soltanto una giornalista».

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