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Intervista a Valeria De Vitis   Tutte le interviste tutte le interviste
Valeria De VitisTelegiornaliste anno XIX N. 21 (737) del 20 settembre 2023

Valeria De Vitis, il mio gabinetto letterario
di Giuseppe Bosso

Un’idea simpatica, magari non propriamente convenzionale, ma che ha riscosso molto successo. Valeria De Vitis, leccese doc, ci racconta come ha creato e sviluppato il suo Gabinetto letterario, in cui scrittori e scrittrici, da lei accolti a casa sua, in bagno, parlano dei loro libri.

Benvenuta Valeria. Anzitutto ci racconti com’è nata la tua idea del gabinetto letterario?
«Nasce da una notte insonne, in un’epoca successiva al mio cambio di lavoro (dopo 9 anni in una libreria, per la quale mi occupavo di eventi): avevo sviluppato un senso critico, che mi portava a leggere non solo per lavoro, ma anzitutto per passione; avevo creato un bel gruppo di amici, che si rivolgevano a me per idee e consigli di lettura; queste persone apprezzavano il fatto che io avessi sempre cercato di andare oltre le semplici recensioni, ma che volessi andare a fondo del libro, capirlo io stessa prescindendo dalle considerazioni degli esperti. Quando poi ho vinto un concorso pubblico, tante di queste persone si sono dispiaciute di non poter contare più sul mio supporto, e questo mi ha spronata in qualche modo a elaborare qualcosa che potesse mettere a frutto in maniera più espansiva questa occasione, per arrivare a più persone possibili. Ma fin da subito ho capito che a parlare di libri sui social già c’è tantissima gente, chi fa videorecensioni, chi intervista… io volevo fare qualcosa di diverso; e allora mi è venuto in mente che potevo conciliare questa idea con un’altra mia passione, quella per i bagni (avevo anche pensato di creare un trip advisor a tema, ma mi hanno anticipata…), da assidua frequentatrice di questo luogo in cui spesso si legge, e tanto; ed è un luogo in cui ci dedichiamo alla nostra cura. E allora mi sono detta: “perché non creare un format divertente, con un senso dell’ironia molto alto (e io sono una persona ironica e autoironica) in cui, facendo qualcosa che nessuno aveva mai pensato di fare, intervisto persone nel bagno di casa mia?”, approfittando del fatto che la mia è una casa di recente costruzione che quindi rappresenta una ideale location».

Perché ‘Gabinetto letterario’? Chi è stato il tuo primo ospite?
«Ho pensato anche a come chiamare il format, ma dopo aver scartato varie opzioni ho scelto “Gabinetto” perché è un luogo che ha importanza anche dal punto di vista istituzionale; ho realizzato una puntata zero, nata proprio per scherzo, con Roberto Emanuelli, un autore molto popolare che avevo conosciuto negli anni del mio lavoro di libraia. L’ho incontrato ad una presentazione, gli ho proposto la cosa; c’è stata una grande risata sul momento, pensava scherzassi, invece poi è stato disponibilissimo; e l’intervista è stata molto apprezzata, nonostante qualche piccola complicazione di tipo tecnico come l’audio, che in gabinetto come sappiamo quando si registra viene diffuso in eco. Mi è stata d’aiuto anche la mia esperienza radiofonica, visto che per anni ho preso parte a delle conduzioni, che sono state un’ottima infarinatura per quello che poi ho messo in pratica. È stato un continuo ridere e scherzare ma anche una partenza incoraggiante. Tengo a ringraziare il bravissimo videomaker Matteo Brandi che collabora con me e che ha sposato questo progetto».

Gli autori e i personaggi che hai invitato in questi anni hanno sempre accettato il particolare ‘format’ che hai proposto?
«Sì, non ho mai avuto difficoltà nel reperire persone disponibili. Molti li conoscevo già per la mia esperienza lavorativa precedente, e si fidavano di quello che avrei potuto sviluppare, tanto che non sono mancati anche autori e autrici che si sono autoinvitati nel corso del tempo. Solo una volta con un giornalista che aveva il timore di screditarsi ho avuto un rifiuto, ma che è più che compensato dal riscontro quasi sempre positivo che ho trovato con altri. Il format è arrivato chiaro, nessuno si è scandalizzato».

Promuovere cultura e lettura passa anche attraverso iniziative, diciamo, “non convenzionali”?
«Certamente. Il mio obiettivo era arrivare a più persone possibili con un messaggio culturale: divulgare i contenuti che può trasmettere non solo un libro ma anche un’opera teatrale, una canzone. Coloro che entrano nel mio gabinetto non necessariamente devono essere personalità popolari, ma anche gente comune che è in grado di dare consigli. Si può trasmettere cultura anche da luoghi come hai detto “non convenzionali”, l’importante è arricchire le persone, in varie forme».

Puoi darci qualche anticipazione sulla nuova stagione del ‘gabinetto’ letterario?
«Ho stretto un accordo con il bookstore di Mondadori via Cavallotti Lecce
che mi darà la possibilità di recensire libri. Nella prossima stagione ho deciso di non solo condividere i miei consigli attraverso le interviste, ma ampliare i contenuti. Torno a fare la libraia in un contesto diverso, consigliare le letture che a mio avviso sono di qualità. Solo che stavolta attraverso gli schermi sono io ad entrare nelle loro case e non loro a venire da me. La lettura è il plus, la bella sensazione di essere ricchi prescindendo dai soldi e dai beni materiali, perché ci consente di migliorare, di aprire la mente…».

C’è ancora spazio per la lettura nell’epoca dei social e dell’immagine?
«Sì. Posso dirti con certezza, ed è una cosa negativa, che probabilmente si comprino libri più per un bisogno compulsivo, e io sono la prima a commettere questo errore con cui cerco di soddisfare un desiderio dii impulso. Anche in quest’epoca non esiste un oggetto più importante di un libro, e lo dico da egocentrica. La sera mi impongo di staccare il cellulare e dedicarmi alla lettura. È sempre un tempo migliore perché consente di dormire meglio, di stare meglio. I social ci hanno un po’ falcidiato».

Hai fatto una scelta di cuore o di incoscienza nel decidere di restare al sud?
«Domanda interessante, alla quale oggi istintivamente ti rispondo “di cuore”: avrei voluto studiare psicologia, ma a Lecce non c’è la facoltà, e questa cosa mi ha messo un po’ in crisi. Facevo già radio allora, a Radio Manbassa, oltre a collaborare con emittenti che coprono non solo la Puglia, ma anche Calabria e Basilicata. Questo ha influito sul non partire, anche il mio impegno in teatro recitando in dialetto stretto. Lavorando nell’ambito delle librerie, a contatto con il pubblico e con gli artisti, ho capito che era quello che volevo fare da grande; la vita mi ha insegnato che ai sogni non bisogna mai rinunciare, anche se arrivi a un’età in cui hai smesso di farlo».

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