
Telegiornaliste anno XIX N. 10 (726) del 15 marzo 2023
				
		
Remo 
					Croci, la mia nuova vita 
					di 
Giuseppe Bosso  
					
					Incontriamo nuovamente
					
					Remo Croci che ha deciso di chiudere con un anno 
					di anticipo la sua carriera giornalistica per iniziare un 
					nuovo percorso in cui abbraccerà a tempo pieno una delle sue 
					grandi passioni, la pittura. 
					
					
Cosa ti ha portato a questa decisione? 
					«Non è stata una decisione semplice. Ho pensato a quando Il 
					direttore Enrico Mentana mi scelse per far parte della sua 
					squadra si corrispondenti al tg5. Dei tanti sacrifici 
					compiuti. Dovevo però rispondere alla mia coscienza di 
					professionista. E così quando ho avuto la consapevolezza di 
					non aver più gli stimoli necessari per continuare a svolgere 
					la mia professione ho capito che dovevo avvicinarmi alla 
					porta ed uscire. Il vantaggio è che sono stato io ad 
					aprirla, nessuno mi ha obbligato! Sarò sempre riconoscente 
					alla grande famiglia di Mediaset». 
					
					
Con quali sensazioni stai vivendo questo passaggio, che 
					possiamo paragonare a un navigatore esperto che è giunto 
					all’ultimo approdo? 
					«No, non direi che sono all’ultimo approdo. Da amante del 
					mare invece ho la prua della mia barca che naviga a vista e 
					laddove dovesse arrivare un segnale di nuova accoglienza 
					andrei a verificare. La curiosità c’è sempre così come la 
					voglia di affrontare nuove sfide». 
					
					
Com’è nato e come si è sviluppato il tuo rapporto con la 
					pittura? 
					«Oggi dipingere quadri è la mia passione e anche un modo 
					diverso di comunicare con gli altri. Prima il microfono e le 
					telecamere erano gli strumenti per farlo ora sono i pennelli 
					ed i colori i miei nuovi attrezzi del mestiere. In un anno 
					ho cambiato i soggetti dipinti. Ho scelto prima il Crime, 
					poi il mare e le vele passando da tecniche diverse. Amo 
					dipingere con la spatola che mi consente una maggiore 
					libertà sulla tela». 
					
					
Con quali colori, metaforicamente, dipingeresti il tempo 
					che stiamo vivendo, tra incertezze e timori legati a un 
					conflitto spaventoso? 
					«Il primo colore è il nero. Perché rappresenta il buio, 
					l’incubo e la tragedia assoluta. Poi indicherei il verde per 
					alimentare la speranza. Infine il blu per estendere a tutto 
					il mondo una vita serena e di pace assoluta». 
					
					
Riguardando indietro alle tue esperienze da giornalista, 
					quali sono le cose che più ti sono rimaste impresse e quali 
					non ripeteresti? 
					«In 40 anni di professione ho tanti momenti che sono dentro 
					di me. I casi di cronaca sono quelli che mi hanno formato e 
					completato come giornalista e uomo. Direi che le morti dei 
					bambini e la loro insegnante nel terremoto di San Giuliano 
					di Puglia e la tragica fine dei fratellini Ciccio e Tore 
					Pappalardi sono molto presenti in me. Non rifarei quelle 
					cose che mi hanno comunque aiutato a migliorare la mia 
					professione. Errori figli dell’inesperienza. Il pregio che 
					mi riconosco è quello di non averli ripetuti. Sarebbe stato 
					grave ed imperdonabile». 
					
					
Tuo nipote inizia a crescere. Se un giorno ti dicesse 
					voglio fare anch’io il giornalista, cosa gli diresti?
					
					«Ho già una nipote Jessica Balestra che ha intrapreso questa 
					strada e le auguro il meglio. Poi ho l’altro nipote Leonardo 
					che a 4 anni ha la curiosità di conoscere il mondo. Se vorrà 
					seguire il nonno ben felice per lui. Non lo obbligherò certo 
					a farlo. Ho inseguito la libertà assoluta, sarebbe assurdo 
					negarla proprio a lui».