Telegiornaliste anno XIX N. 28 (744) del
15 novembre 2023
Michela Ponzani, raccontare la storia
di
Giuseppe Bosso
Abbiamo il piacere di incontrare Michela Ponzani: docente di storia
all'Università di Roma Tor Vergata, saggista e volto della trasmissione
Storie contemporanee, giunta alla quarta edizione, in
onda su Rai Storia.
Trasmissioni come Storie contemporanee e quelle che ha scritto
e condotto in passato possono sopperire alle lacune dell’insegnamento
scolastico della materia?
«No. Possono rappresentare una buona opera di divulgazione, raccontare
attraverso ricerche svolte su argomenti inediti, ed è questo lo spirito
che fin dalla prima edizione ha accompagnato la mia esperienza a Storie
contemporanee, che viene utilizzata anche come materiale didattico. Ma
certamente non può colmare le lacune dell’insegnamento, che al più può
essere coadiuvato dal nostro supporto, stimolare un approfondimento
maggiore e un lavoro di ricerca ulteriore, facendo appassionare i
ragazzi e soprattutto facendogli capire che la storia non è una materia
noiosa come potrebbero pensare».
Ma non ritiene in parte penalizzante la collocazione nel palinsesto
di
Rai Storia?
«Andavamo in onda in prima serata l’anno scorso, siamo passati alla
seconda adesso, ma non ritengo che sia una diversa collocazione a
stabilire se una trasmissione sia o meno penalizzata. Il pubblico
continua a seguirci con interesse e affetto e premia il nostro lavoro».
In questa ultima edizione Storie contemporanee ha dedicato
molto spazio al Novecento e in particolare all’Italia durante il regime
fascista e la resistenza: quali riscontri ha avuto?
«In questa nuova edizione io e Marco Mondini (che con me scrive e
conduce il programma) abbiamo ribaltato completamente i ruoli,
scambiandoci gli ospiti e i testimoni in ogni singola puntata. E abbiamo
voluto concedere spazio a ricerche assolutamente inedite e
multidicisplinari, come dimostra la puntata dedicata a El Alamein. In
questo caso, abbiamo portato in televisione i lavori di un gruppo di
geologi militari che hanno scavato fra le sabbie del deserto per cercare
di capire come realmente vivevano le truppe italiane, mandati a
combattere senza acqua, con temperature che sfioravano i 50 gradi.
Abbiamo poi dedicato una puntata all'80 anniversario del rastrellamento
del 16 ottobre 1943, la razzia del ghetto di Roma, quando oltre 1000
ebrei romani vennero deportati nei campi di sterminio. è stato un lavoro
di recupero della memoria, che ha incrociato diverse testimonianze di
vittime (Mario Mieli, fra gli ultimi sopravvissuti che all'epoca aveva 2
anni e che si salvò perché sua madre lo gettò via dal camion che la
stava portando via) con la voce dei carnefici: spie, delatori italiani,
confidenti delle questure processati nel dopoguerra per aver denunciato
migliaia di ebrei, finiti nei campi di sterminio».
La figura del divulgatore nei nostri palinsesti è ancora appannaggio
principale di uomini come Alberto Angela: lei potrebbe rappresentare in
qualche modo una svolta per la crescita anche di divulgatrici esperte?
«Quando iniziai a condurre
Il Tempo e la Storia, anni fa, la
presenza di una storica di professione che facesse divulgazione era
ancora concepita come una cosa bizzarra. Nel tempo il settore della
divulgazione e della Public History ha preso piede anche in Italia e
oggi Rai Storia dà spazio a diverse voci di donne che aspirano a fare
questo mestiere. Ci tengo però a dire una cosa: per raccontare la storia
in Tv ci vuole competenza. E in un paese in cui tutti si autoproclamano
storici, lo storico può essere solo un professionista della ricerca.
Qualcuno che ha conseguito un dottorato, che ha ricevuto una valutazione
critica da altri accademici, come l'abilitazione scientifica nazionale.
In assenza di questi criteri non sei uno storico, al massimo sei un
appassionato. Dunque chi si addentra nel campo della divulgazione deve
avere anzitutto una solida preparazione da studioso e certo anche saper
comunicare. Ma questa è una dote che si può anche affinare con il
tempo».
Oltre a Storie contemporanee a cosa sta lavorando?
«Sto lavorando a due documentari che continuano la mia esperienza di
autrice, un po' sull'esempio di
Caro Presidente, il docu film
ideato e scritto da me per Indigo, trasmesso in prima serata su Rai 3».