Telegiornaliste anno XIX N. 31 (747) del
6 dicembre 2023
Francesca
Ghezzani, i Fatti e le Storie
di
Giuseppe Bosso
Laurea in Scienze Linguistiche e Tecniche dell’Informazione e della
Comunicazione, un’esperienza a
Porta a Porta su Raiuno, poi
Canale Italia, la radio e dal 2021 una nuova avventura chiamata
Constructive Network, il primo network italiano di
professionisti dell’informazione dedicato alla comunicazione costruttiva
e al giornalismo delle soluzioni. Chiudiamo il 2023 augurando buone
feste e un felicissimo anno nuovo ai nostri lettori incontrando
Francesca Ghezzani,
che con molto entusiasmo e partecipazione si racconta ai nostri
microfoni.
Benvenuta, Francesca. Anzitutto, partendo dal titolo di una delle tue
trasmissioni su Well Tv, cosa sono per te i
Fatti e le Storie da raccontare?
«Un benvenuto a voi. Entrambi sono per me l’essenza del giornalismo e
dell’intera umanità. Un invito all’ascolto, al sapere che abbiamo in
gran parte perso, e al confronto, auspicabilmente costruttivo. Nella
parola “Fatti” rientra tutto quello che ci accade in senso ampio, nella
parola “Storie” – volutamente con la lettera maiuscola – troviamo il
vissuto di ognuno».
Dalle prime collaborazioni sull’emittente RTB all’esperienza con
Bruno Vespa a Porta a Porta fino ai giorni nostri: nel tuo
percorso hai dovuto affrontare diversi cambiamenti, con quale spirito?
«Sì, pensa che ai tempi di RTB Network lavoravo in redazione con Nadia
Toffa, eravamo giovanissime. Porto con me il suo sorriso, le pacche
sulle spalle, il diminutivo con cui chiamava scherzosamente il nostro
editore suscitando in tutti un’allegra risata, in lui per primo. Ai
tempi ero ancora all’università, poi l’esperienza a
Porta a Porta
è arrivata in vista della mia tesi di laurea. Successivamente, come
freelance, ho collaborato con molte emittenti televisive e anche
radiofoniche e lo spirito è stato sempre quello di fare tutto con la
massima serietà e umiltà. Non ho mai sopportato le prime donne e i
palloni gonfiati e ho avvertito fin da subito una forte responsabilità
nei confronti dei telespettatori e telespettatrici, come se il grande
“privilegio” di poter fare da tramite tra chi era con me in studio e chi
a casa mi avesse investito di un ruolo da adempiere necessariamente con
onestà ed empatia. È tuttora così».
Prima della pandemia e del lockdown su Canale Italia hai condotto
Viaggi Mon Amour, alla scoperta del territorio: hai avvertito anche
tu un “prima” e un “dopo” quel difficile periodo?
«Innegabilmente sì. Vivo, peraltro, in una delle zone più colpite
d’Italia durante il primo lockdown e la terza ondata, quindi ho dei
ricordi che tutt’oggi non faticano a farmi rabbrividire. Ai miei occhi,
ciò che abbiamo patito ha reso più cattive le persone infelici e
irrisolte e ha fatto diventare ancora più gentili e solidali quelle già
da prima aperte e attente al prossimo».
Parliamo anche di Constructive Network, di cui sei membro da ormai
tre anni: com’è nato, come si è sviluppato e a chi è rivolto?
«Si tratta di un approccio all'informazione simile al giornalismo
d'inchiesta che sceglie e predilige l'approfondimento alla velocità di
narrazione. Ovvero, detto con altre parole, punta a raccontare le
soluzioni invece di focalizzare l’attenzione solo sui problemi. La
nascita di questa corrente dell’informazione risale all’inizio di questo
secolo, quando la stampa afroamericana degli USA ha iniziato a
raccontare le storie di chi riusciva a risolvere i problemi delle
comunità afroamericane. Negli stessi anni, la Fundación Gabo a
Cartagena, in Colombia (all’epoca chiamata Fundación para el Nuevo
Periodismo Interaméricano), stava già esplorando il giornalismo delle
soluzioni e aiutando i giornalisti a praticarlo. La svolta è arrivata
nel 2010 quando Tina Rosenberg e David Bornstein hanno inaugurato la
rubrica “Fixes” sul New York Times. L’appuntamento settimanale dei due
giornalisti esaminava le risposte innovative o di successo ai problemi
sociali mettendo in luce cosa separasse il successo dal fallimento. Da
questa esperienza e dall’idea di voler avviare un’organizzazione per
identificare, legittimare e diffondere l’idea, è nato il Solutions
Journalism Network: era il 2013 quando a David e Tina si è unita la
giornalista Courtney Martin per dar vita a questo progetto. Ancora oggi
il network americano, che ha sede a New York City, è attivo con
l’obiettivo di trasformare il giornalismo in tutto il mondo, alimentando
un approccio all’informazione che sia di aiuto e sostegno alla società
fornendo informazioni complete, equilibrate e utili. Il team è oggi
formato da 45 professionisti che operano da diversi Paesi del mondo. In
Italia, il Solutions Journalism Network collabora con il Constructive
Network fondato nel 2019 dai giornalisti Assunta Corbo, Vito Verrastro,
Andrea Paternostro, Isa Grassano, Marco Merola, Mariangela Campo, Angela
Di Maggio e proprio il 26 ottobre scorso si sono celebrati i suoi primi
10 anni di attività. Mi chiedi a chi sia rivolto: a tutti noi
professionisti dell’informazione e ai suoi fruitori o, per meglio dire,
alla società intera».
Per il tuo lavoro lo scorso anno sei stata premiata a Storie di
Donne, Eccellenze in Rosa Cosa ha rappresentato per te?.
«Un gran bel momento, perché il premio mi è stato assegnato in occasione
dell’8
a edizione della kermesse per la Categoria Donna & Informazione TV
dalla giornalista della Stampa Estera Lisa Bernardini, che stimo
moltissimo, e perché insieme a me hanno ritirato gli altri
riconoscimenti delle donne che ogni giorno incarnano alla perfezione i
valori cardine sui cui si fondava l’evento: mestiere, creatività,
talento».
In questa epoca di grandi incertezze, in cui tra conflitti, crisi
economica e cambiamenti climatici, rispetto a qualche anno fa è cambiata
la tua prospettiva di domani o sei più ancorata al vivere al meglio il
presente?
«Se mi baso sui corsi e ricorsi storici è prevedibile che ciclicamente
si incappi in momenti come questo, non è la prima né sarà l’ultima
volta, se però penso al progresso scientifico, alla ricerca, a un
maggiore accesso allo studio almeno in alcune parti del mondo, lo
sconforto è dietro l’angolo, perché mi rendo conto che, nonostante i
passi avanti, dalla Storia non abbiamo imparato niente, abbiamo la
memoria corta e l’uomo, per natura, non riesce a riscattarsi dalla
violenza, dalla brama di potere e supremazia. Fin da giovanissima ho
consapevolezza della caducità della vita, della nostra vulnerabilità, ma
ora - avendo anche una figlia di sette anni - il futuro mi spaventa di
più sia per i macro-eventi sia per la percezione di essere circondata da
tante monadi arroccate su se stesse e attente solo ai propri bisogni».
Il tuo sogno nel cassetto.
«Nella sfera privata godermi al meglio gli affetti più cari in famiglia
e nelle amicizie, sul fronte lavorativo continuare a raccontare
Fatti
e Storie che possano essere di utilità e, perché no, riprendere un
programma sui viaggi. Oltre alla tv, è in cantiere un progetto
editoriale a metà tra il saggio e la narrativa d’inchiesta su temi
sociali. Mi occorrerebbero giornate di quarantotto ore come a tantissimi
di noi, ma ogni cosa arriverà al momento giusto».