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Intervista ad Alice Guerrini   Tutte le interviste tutte le interviste
Alice GuerriniTelegiornaliste anno XIX N. 13 (729) del 5 aprile 2023

Alice Guerrini, tè, crime e YouTube
di Giuseppe Bosso

La piattaforma YouTube si è progressivamente diffusa e ha permesso l'emergere di persone che hanno saputo, partendo da zero, sviluppare progetti di grande interesse con ingegno e creatività. E la protagonista della nostra chiacchierata, Alice Guerrini, con il suo canale L'ora del tè va a pieno titolo annoverata tra questi. Un divano, una tazza di tè e storie di clamorosi casi giudiziari legati sia al mondo dei vip che di gente cosiddetta comune, ma che hanno sconvolto l'opinione pubblica.

Ciao Alice, benvenuta sulle nostre pagine: anzitutto chi sei e come nasce il tuo canale YouTube, e come mai questo nome ‘L’ora del tè’, abbinato ai temi a cui sono dedicati i video che settimanalmente pubblichi?
«Grazie mille, per me è un piacere. Io sono Alice, ho 30 anni e da 3 anni vivo a Benidorm, in Spagna. Seguo YouTube da sempre, dal 2008, ho visto tante persone partire da zero e costruirsi una community grandissima nel corso degli anni e l’anno scorso mi sono fatta coraggio e ho preso anche io la decisione di aprire un mio canale. Volevo farne parte anche io. L’idea del canale nasce dai miei interessi, gli argomenti che tratto sul canale sono argomenti che seguivo e seguo tutt’ora e quando ho deciso di aprire il canale ho pensato magari questi argomenti interesseranno anche ad altre persone. Il nome del canale viene da una mia abitudine: la sera apro YouTube e guardo i miei creator preferiti con una tazza di tè in mano quindi ho semplicemente riportato questa abitudine sul mio canale perché YouTube è la mia “ora del tè”».

Come nascono i tuoi video, dalla scelta degli argomenti alla loro elaborazione? C’è qualcuno che ti aiuta anche nella raccolta di materiale e di informazioni?
«Molti argomenti come ho detto prima sono di mio interesse, sono casi che seguo da anni e che ho seguito con piacere, altri vengono da richieste della mia community. Spesso le persone mi chiedono di trattare alcuni argomenti e se rispecchiano il mio campo e i miei interessi, li approfondisco. Faccio tutto da sola, dalla raccolta delle informazioni, alla stesura del testo, alla registrazione e all’editing. Un giorno spero di poter ampliare il mio team, guadagni permettendo ».

Qual è stato il riscontro che hai avuto dagli utenti che a poco a poco si sono accumulati?
«Il riscontro che ho avuto è stato piuttosto positivo, anche un po’ fuori dagli schemi. Le persone online non si fanno scrupoli nel criticare noi creator, spesso anche in maniera maleducata, però devo ammettere che io ricevo pochi insulti. La maggior parte sono complimenti e questo mi spinge ad andare avanti. Leggere commenti in cui le persone mi dicono aspetto le 2 solo per vedere i tuoi video è un qualcosa che mi riempie di gioia, è davvero gratificante».

Ti presenti così: Non mi definirei un canale True Crime perché tutto quello che raccontiamo si basa sulle carte processuali: accusa e difesa sono i protagonisti delle nostre storie: un monito che, ahimè, se vogliamo essere sinceri non sempre seguono i professionisti dell’informazione o comunque coloro che in televisione e negli altri media ‘tradizionali’, per così dire; YouTube e in generale il web sono un passo avanti da questo punto di vista?
«Penso di sì. YouTube e gli altri social sono composti prevalentemente da persone comuni, con delle capacità, che per emergere devono portare contenuti fatti bene. Il fatto che i social diano la possibilità a chiunque di creare contenuti, fa sì che l’offerta sia altissima quindi per emergere devi distinguerti. E l’unico modo che hai per distinguerti è fare le cose seriamente e con precisione. I media tradizionali sembra si siano un po’ persi di fronte a tanta innovazione. È difficile per loro avere un linguaggio che attiri anche i giovani, perché con i social la concorrenza è aumentata, il modo di comunicare è cambiato e loro sono rimasti indietro, spesso schiacciati da influenze politiche che non gli permettono di sbilanciarsi nel raccontare alcune cose. Il calo nelle vendite del cartaceo li ha portati ad usare espedienti come titoli “clickbait” cioè titoli accattivanti (spesso finti) che spingono l’utente a cliccare sul loro sito che gli fa, in un certo senso, perdere di credibilità. Su YouTube ci sono creator davvero competenti che spiegano notizie di attualità senza filtri, senza paura di esprimere una propria opinione».

Non avere un editore o comunque un ‘capo’, per così dire, a cui rispondere, ti garantisce maggiore libertà d’azione?
«Sì assolutamente. Mi ricollego a quanto detto prima. Io sono libera di scegliere gli argomenti da portare e di raccontarli a modo mio, senza vincoli. Io cerco sempre di mantenere un alto grado di obiettività quando parlo di un qualsiasi argomento ma sono libera di trattare qualunque cosa, di esprimermi come voglio e questo rende il contenuto molto più genuino ».

Negli ultimi tempi hai dato molto spazio alle vicende, spesso tragiche e dolorose, delle cosiddette ‘baby star’, cioè i giovanissimi attori che da una grande celebrità legata a serie di successo nella loro infanzia o giovinezza sono progressivamente passati a un declino anche personale in età adulta: cosa ti ha spinto a puntare su queste storie?
«Sono cresciuta con molte delle baby star che oggi purtroppo sono finite in un vortice di sostanze e comportamenti eccessivi senza riuscire a riprendersi. In parte penso sia il legame affettivo che provo nei loro confronti che mi spinge a trattare le loro storie. In parte sto cercando, attraverso il mio lavoro, di far capire che i loro comportamenti non sono capricci di persone che hanno tutto, bensì il frutto di vite tragiche. Lo show business è un qualcosa che è molto lontano da noi, non riusciamo a comprenderlo, lo vediamo distante e quindi tendiamo a sminuire i problemi e le conseguenze che la fama e l’esposizione fin da tenera età a questo sistema possono portare. Ho fatto anche un video a riguardo: la decisione di lavorare anche 8 o 10 ore al giorno non è mai del bambino, bensì sempre del genitore. Questi bambini vengono costretti a recitare da genitori che non sanno come uscire dalla povertà e quindi puntano tutto sui figli. Le baby star non vivono un’infanzia normale, la passano lavorando, la passano esposti a critiche, a orde di fan, a paparazzi che li aspettano all’angolo. Vivono una vita che non hanno scelto e spesso non possono smettere perché la famiglia vive dei loro guadagni. Vengono buttati in pasto ad un sistema contro il quale non possono vincere. Senza una guida molti di loro si perdono e finiscono nel classico cliché delle droghe. Con i miei video cerco di sensibilizzare le persone su questo argomento, su come la fama sia in realtà spesso una prigione più che una via d’uscita. Io dico sempre è meglio essere ricchi e sconosciuti che ricchi e famosi».

Molto spesso i problemi di questi giovanissimi o ex giovanissimi protagonisti del cosiddetto star system hanno origine dal loro contesto familiare che in loro, per così dire, trova la ‘gallina dalle uova d’oro’: eppure, ancora adesso, purtroppo, è un fenomeno tutt’altro che scomparso: ma gli esempi del passato non rappresentano proprio un monito per nessuno, anche in termini di maggiori tutele legali per questi poco più che giovanissimi minorenni?
«Purtroppo ad oggi non ci sono grandi tutele. Durante il corso degli anni è stata introdotta qualche legge come un massimo di ore lavorative a giornata ma le grandi case di produzione possono arginare queste regole senza problemi. Per lo star system questi bambini e ragazzi rappresentano solo una fonte di guadagno e non hanno alcun interesse nel tutelarli. L’importante è spremerli al massimo per un maggiore guadagno. È un sistema basato sulla standardizzazione delle persone: io prendo dei bambini e gli insegno a diventare delle star da milioni di dollari. Ma proprio perché li vediamo così distanti da noi, non si sono formati dei movimenti e delle proteste che li aiutino a conquistare dei diritti. La loro condizione è molto lontana da quelle di persone comuni. Alcune ex baby star stanno provando a sensibilizzare il pubblico raccontando le proprie esperienze ma non sono mai riuscite a creare dei veri e propri movimenti. Quando esci da una setta puoi trovare persone intorno a te che ti aiutano a superare brutte esperienze, che siano parenti o organizzazioni nate appositamente per questo scopo. Per le baby star non c’è nulla perché il sistema è così ben consolidato che è difficile sradicarlo. Quando una star decide di uscire dal sistema, trova persone intorno a sé che vivono dei suoi guadagni e che farebbero di tutto per non farla smettere. Hanno due scelte: o rimangono e continuano a lavorare o spariscono nel nulla. E anche quando decidi di sparire, la stampa non ti lascia in pace. Ma non puoi ribellarti e portare alla luce il marcio che si nasconde dietro le quinte. Non te lo permettono. I giornali scriveranno che te ne sei andato perché sei finito nel mondo delle droghe, perché hai disturbi mentali o perché non sei abbastanza bravo. È un sistema contro il quale non si può vincere. Un mezzo che hanno trovato le ex baby star per raccontare le proprie storie ed essere creduti è stato proprio YouTube. Canali americani da milioni di follower li intervistano portando alla luce il tutto. Cosa che i media tradizionali non fanno. In questi canali, molte ex baby star possono finalmente raccontare le loro storie e mostrare il mondo dello show business sotto tutt’altra prospettiva e penso che con il passare del tempo questa cosa non potrà essere più ignorata da sistema. Forse sarà proprio YouTube a portare un cambiamento e una nuova narrativa sul mondo di Hollywood».

In futuro come pensi di espandere questa tua iniziativa?
«Per il momento continuerò attraverso YouTube, TikTok e Instagram. Sto preparando anche un podcast, ma essendo da sola i tempi si allungano. Probabilmente tra non molto aprirò anche un canale Twitch e porterò questi argomenti in collaborazione con altri streamer, più qualificati di me dal punto di vista psicologico per fornire un panorama più completo sul mondo di Hollywood e dello show business ».

Grazie dell’attenzione, Alice, e un saluto ai nostri lettori.

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