Telegiornaliste anno XVIII N.
15 (699) del 4 maggio 2022
Liselotte Parisi, i miei petali nel fango
di
Giuseppe Bosso
Incontriamo Liselotte Parisi, direttrice del doppiaggio che ha
riscontrato grande successo con la pubblicazione del libro
Petali nel
fango, edito da
PandiLettere,
una storia bella e coinvolgente fin dalla sua creazione, che ci racconta
a cuore aperto.
Benvenuta tra noi Liselotte, anzitutto parliamo del tuo libro,
Petali nel fango: com’è nato e perché hai scelto questo titolo?
«Non sono una scrittrice, voglio premettere, ma una direttrice del
doppiaggio, mai avute velleità di questo tipo. Il libro è nato in tre
notti, era più uno sfogo, un diario, dopo l’ennesima mazzata della vita
che mi ha fatto dire, tra le lacrime, “ma perché capitano tutte a me?”;
e così mi sono resa conto di averne passate abbastanza, ho iniziato a
scrivere pensando di trovare risposte, in maniera molto semplice. Mi
sentivo più libera e sentivo che mi stavo conoscendo meglio a poco a
poco, più di quanto non avessi mai fatto in tutti gli anni della mia
vita. MI sono voluta più bene, più stimata, e così ho pensato che poteva
essere qualcosa che potesse aiutare altre persone nella mia stessa
situazione, a trovare quella rivincita, quel riscatto, quell’energia per
far tirare la testa fuori. Ho trovato per mia fortuna questa
meravigliosa casa editrice che si caratterizza per dare voce soprattutto
a chi non è conosciuto, a chi è alle prime armi, ma con un riscontro da
parte del pubblico. Ed è quello che ho percepito dai lettori».
Scrittura quindi terapeutica per te?
«Assolutamente, un diario che è diventato terapia, per togliere fuori
qualcosa che non riuscivo a riconoscere. Mi sono fidata di più; se ti
fai vedere perdente, la vita così ti tratterà. Se ti fai vedere più
sicura, non dico arrogante, la gente ci pensa due volte prima di
trattarti male, o almeno non glielo permetto. Con mia grande meraviglia
posso dire davvero che mi sento rinata, ho trovato davvero energie che
non avrei immaginato di avere, come una bambina in un corpo da donna,
almeno così mi sento psicologicamente ed emotivamente. Ma non solo
questo: da due anni, per la serie “le cose non vengono mai per caso”, ho
iniziato ad insegnare proprio sulla scia dell’effetto che mi ha portato
il libro, in una scuola di doppiaggio, con centinaia di ragazzi che
durante le lezioni possono avere momenti di sconforto, dirmi che non se
la sentono di fare determinate scene, ed è qui che interviene la
Liselotte “kamikaze” – ride, ndr – che li sprona a non desistere, di non
essere succubi come lo sono stata io. Io sono io, non c’è un’altra
Liselotte nel bene e nel male, perciò dobbiamo accettarci, vivere la
vita su questa terra per quello che durerà nel migliore dei modi. Eccomi
qui, ho subito quello che ho subito ma sono riuscita a non darla vinta
alle avversità».
A chi è indirizzato e quali riscontri hai avuto dai lettori?
«Un amico mi ha detto che sarebbe stato forse più corretto intitolare il
libro “petali dal fango” perché ero riemersa. Con mia grande meraviglia,
sebbene le mie esperienze non facciano fare certo bella figura agli
uomini di cui ho parlato, ho potuto riscontrare sui commenti pubblicati
su youtube, sono tutti di parte maschile, ragazzi e meno ragazzi che
hanno letto il libro e hanno voluto dire la loro, al punto che qualcuno
ha persino detto “mi vergogno di essere uomo”. Andrea Ward, noto
doppiatore mio caro amico, mi ha detto che l’avrebbe fatto leggere ai
suoi figli, visto che certe cose magari un ragazzo le apprende meglio da
un’altra persona che non da un genitore. Ha avuto riscontro tra gli
allievi, ragazze che si sono riconosciute nelle mie esperienze e che mi
hanno detto, in lacrime, grazie perché non mi sento più sola».
E hai scelto un momento storico non da poco, con tutto quello che
abbiamo passato prima e ancora adesso con il covid e poi con questa
terribile guerra che sta entrando nel nostro quotidiano: l’aver voluto
dare questo tuo ‘segno’ proprio adesso è la tua più grande
soddisfazione?
«Sì, proprio perché essermi scoperta ‘diversa’, e se non avesse avuto
successo sarei tornata con le mie insicurezze, e trovare questo
riscontro mi ha fatto raggiungere l’obiettivo di entrare nel cuore delle
persone, che non credo sia semplice. Anche salvare una ragazza o un
ragazzo, essergli vicini, rappresenta l’avercela fatta; la casa editrice
non ha voluto cambiare una virgola, nonostante l’avessi portato così
come l’avevo scritto, come ti ho raccontato, buttando sulle righe le
emozioni del momento senza correzioni. Avevo proposto di farlo
correggere da una scrittrice esperta, ma l’editrice mi ha detto “no, non
voglio pubblicare un libro di ‘fuffa’, mi hai emozionato così come l’hai
elaborato e mi va benissimo”. Ed è stato il primo successo. Pensavo ne
avrei vendute sì e no una decina di copie tra i parenti e gli amici, ed
invece ne sono state acquistate circa quattrocento».
Lavorando nel mondo del doppiaggio, come hai vissuto questi due anni
segnati dalla pandemia per come ha inciso sul settore?
«Posso dire di aver vissuto poco le restrizioni, perché è arrivata
proprio in concomitanza questa proposta di insegnare che ti dicevo, che
mi ha impegnato ogni giorno. Ho vissuto le difficoltà connesse alla
riapertura negli studi a partire da giugno del 2020, le complicazioni e
il caos organizzativo del momento, e pe fortuna ho accantonato quella
parte; insegnare mi gratifica, vivere direttamente il contatto con i
ragazzi è il riscontro più bello, il riscontro umano di cui abbiamo
bisogno in questo momento, dando loro la carica che serve per affrontare
la giornata».
Il libro e i riscontri che hai trovato hanno cambiato la tua
percezione della parola ‘domani?
«Sì, io sono molto ‘controcorrente’ perché questi due anni così
terribili e negativi per tanti, a me invece hanno portato cose belle, il
libro, la gioia dell’insegnamento… sto scrivendo già un altro libro, una
storia completamente inventata che parlerà di una ragazza africana. Vedo
davvero un bel futuro, anche perché posso dire, egoisticamente, che per
la mia età non ho certo la percezione che può avere una ragazza di
vent’anni, che deve confrontarsi con le mille incertezze che la vita le
pone. Spero per i miei figli che possano vivere con i valori che abbiamo
cercato di trasmettergli, nella maniera più giusta possibile senza farsi
influenzare dall’umore negativo degli altri, ma perseguendo gli
obiettivi che si porranno, come ha fatto mia figlia laureandosi,
seguendo da casa gli ultimi due anni su tre del suo corso. Non ci
nascondiamo, se le cose le vogliamo possiamo raggiungerle, per quanto
complicata possa essere la strada che affronteremo. Dipende tutto da
noi, anche trovare nelle avversità piacevoli scoperte, come è stato per
me con la cucina, con la mia famiglia con cui abbiamo imparato a fare il
pane e la pasta in casa, e dedicandomi al lavoro a maglia, che ho
appreso da bambina dalla mia meravigliosa tata e che in questo periodo
ho ampliato».