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Ilaria IacovielloTelegiornaliste anno XVIII N. 27 (711) del 26 ottobre 2022

Ilaria Iacoviello, i ragazzi e la pandemia
di Giuseppe Bosso

Ilaria Iacoviello, volto veterano di Sky Tg24, torna in libreria con una interessante opera che, come ci racconta, è il risultato di un lungo lavoro iniziato a ridosso di un periodo molto difficile per tutti noi, quello in cui abbiamo dovuto iniziare a convivere con il covid.

Bentrovata Ilaria. Anzitutto parliamo di Due settimane, forse un anno. Come nasce questa tua fatica letteraria?
«Ciao Giuseppe. Due settimane forse un anno è la fine di un percorso incominciato molti anni fa. Sono appassionata di scuola e giovani da molto tempo e sono stata fortunata perché per lavoro mi occupo principalmente di questo settore. Nel 2021 per Sky Tg24 ho curato la trasmissione Ragazzi Interrotti che raccontava la vita dei ragazzi in pandemia. Interrotti perché i giovani si sono dovuti abituare ad una vita totalmente diversa da quella che avevano prima. Interrotti principalmente nella loro quotidianità. La trasmissione ha avuto molto successo e la scorsa primavera sono stata contattata da Giunti Editore. Da lì è nato il libro. Un romanzo, ci tengo a sottolineare, che racconta la storia di tre ragazzi, amici da sempre, diversissimi fra loro che affrontano i difficili mesi della pandemia e… non aggiungo altro: a me, scriverlo e leggerlo è piaciuto tantissimo ma sono di parte! So solo che sta andando molto bene nelle vendite quindi mi fa doppiamente piacere».

Quanto c’è di inventato e quanto di reale nelle storie dei tre protagonisti?
«I tre protagonisti inevitabilmente rispecchiano i tanti ragazzi che ho incontrato in questi anni e con i quali continuo a parlare quotidianamente perché alle presentazioni del libro sono associati anche incontri nelle scuole che sono davvero molto interessanti e formativi. Poi c’è tanto di me, e dei miei amici, dei giovani che ho incontrato grazie a ScuolaZoo che con il direttore Valerio Mammone ha partecipato al progetto assieme al curatore del libro Lorenzo La Porta».

Durante il lockdown era tutto un “ne usciremo migliorati” e simili. Dopo quasi tre anni secondo te è stata una previsione fin troppo ottimistica?
«Secondo me sì, siamo stati troppo ottimisti. A mio avviso ognuno ha estremizzato il proprio carattere. Non è stato facile vivere e affrontare la pandemia e non è stato facile rapportarsi ad una vita totalmente capovolta. Anche ora prendere le misure con la realtà diventa difficile».

Perché proprio adolescenti protagonisti del tuo libro?
«Te l’ho detto. Il mondo dei giovani mi appassiona. Non smetto di ripetere che sono molto migliori di come li descriviamo e raccontiamo. Certo, la cronaca è cronaca e la conosciamo tutti, ma ho incontrato giovani che non si arrendono. Che hanno imparato a chiedere aiuto. Anche se i problemi come bulimia, anoressia, droga restano purtroppo e i ragazzi sono sempre più esposti».

Quando ti intervistai la prima volta evidenziasti la tua particolare sensibilità alle tematiche sociali legate soprattutto ai bambini figli di immigrati: la tragedia ucraina ha amplificato questo dramma, cosa può fare il mondo dell’informazione per sensibilizzare l’attenzione della gente, forse molto incattivita in questi anni?
«Dobbiamo continuare a parlarne. Fare cadere l’attenzione è un errore, umano prima che giornalistico. Io so che nelle scuole di Roma, in primis quella di mio figlio, presidi e professori hanno fatto un lavoro eccezionale. Bisogna continuare su questa strada che è quelle giusta».

Pensi che il tuo libro potrebbe anche diventare un prodotto video, film o fiction che sia?
«Chissà. Per prima cosa spero che il libro piaccia. Ho ricevuto tanti messaggi di ragazzi entusiasti perché mi dicevano che l’impressione più forte è quella di un libro veritiero. E quello era il mio primo obiettivo. Esseri riuscita, come spero, mi fa davvero felice».

In futuro conti di cimentarti nuovamente in questa veste editoriale?
«Chissà, qualche idea ce l’ho, vediamo che succede. Ma, ripeto, è un percorso che ho appena iniziato. Un percorso che mi emoziona davvero e mi fa sentire viva».

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