Telegiornaliste anno XVIII N.
19 (703) del 1 giugno 2022
Cinzia Scaffidi, il profitto e la cura
di
Giuseppe Bosso
Edito da Slow Food,
Il profitto e la cura. La sostenibilità e le voci che non abbiamo
ascoltato. Riflessioni più che mai attuali in questo momento
storico. Ne parliamo con l’autrice,
Cinzia
Scaffidi.
Benvenuta Cinzia, anzitutto perché questo titolo, Il profitto e la
cura, e come ha realizzato quest’opera?
«Sono i due grandi filoni della nostra storia - di tutto l’Occidente e
di un altro bel pezzo di mondo - che è andata costantemente alla ricerca
del profitto come principale obiettivo, tralasciando la cura per la
natura, le risorse e anche quella per le persone. Il libro è una
rassegna di tematiche affrontate da autori che ci avevano messo in
guardia sul disastro, in epoche e con maniere diverse, anche attraverso
poesie e romanzi. Ho provato a mettere insieme questi ragionamenti. La
cura, se viene scelta come obiettivo principale, può generare un
profitto equo, lungimirante e duraturo; altrimenti saranno sempre in
pochi ad avvantaggiarsi, ma a grave discapito della maggioranza delle
persone. Oggi questi limiti stanno emergendo, per i gravi danni che
questa visione ha procurato al mondo».
Siamo ancora in tempo, per così dire, per prevenire la totale
catastrofe a cui sembriamo avviati per non aver dato ascolto agli
‘inascoltati’ di cui ha parlato nel libro?
«Dobbiamo farcela. Siamo nel momento in cui ci siamo resi conto che
avrebbero dovuto essere ascoltati e finalmente iniziamo a parlare di
transizione ecologica, di leggi anche a livello europeo, di terzo
settore. Ci sono state associazioni e imprese che hanno provato ad
attenuare i danni che la terra ha subito, ma serve di più: dobbiamo
cambiare completamente il nostro modo di operare, in senso positivo,
facendo attenzione a quella che Papa Francesco ha chiamato “Humana
Communitis”. Non possiamo nemmeno badare alla nostra sostenibilità
facendo danni ad altri. Per cambiare atteggiamento dobbiamo riscoprire
proprio cosa dicevano all’epoca questi uomini e queste donne, prendere
in considerazione i loro avvertimenti per fare proposte più concrete e
radicate. Ho voluto anche dare un supporto agli insegnanti per inserire
queste tematiche all’interno dei programmi scolastici. Il pensiero
ecologista ha alle spalle almeno tre secoli di vita, di sicuro non nasce
oggi all’improvviso».
Senza alcuna intenzione politica è possibile, le chiedo, un
‘capitalismo sostenibile’ che ci consenta di invertire la rotta?
«Possibile è un modo diverso di intendere l’impresa; molti imprenditori
stanno già lavorando in modo straordinario. Non solo alcune imprese
grandi, ma tantissime imprese di piccole e medie dimensioni stanno
cambiando il loro modo di lavorare, ponendo attenzione sia all’ecologia
sia alle persone. Hanno raccolto davvero l’eredità di personaggi di cui
parlo nel libro, come Adriano Olivetti, che in passato avevano sempre
messo al primo posto di ogni ragionamento di sviluppo la cura della
persona. Anche la Costituzione parla di impresa consentita a patto che
non cagioni danni, anche all’ambiente come recentemente è stato aggiunto
al testo dell’articolo 41. Invece danni sociali ne ha fatti questo
modello di sviluppo, creando ingiustizie e disuguaglianze. Non penso si
potrebbe più parlare di capitalismo, se riusciremo a raggiungere questo
traguardo, ma di economia circolare, di comunità, economia civile…
proviamo a pensare che il capitalismo ha dimostrato in modo purtroppo
irrevocabile che non era il modello ideale. Purtroppo questo è stato
testimoniato anche da come, dopo pochi mesi dall’inizio della pandemia,
le grandi multinazionali riunitesi a Davos hanno fatto intendere come
per loro quei problemi fossero già finiti, mentre il resto del mondo era
ancora in pieno disastro. Ora bisogna invece muoversi verso forme di
economia che mettano in discussione la prevalenza del profitto e della
crescita come sono intese oggi. Se si fa attenzione alle persone, alla
natura, alla formazione, i bilanci non è vero che non crescono, anzi».
È un libro rivolto alle nuove generazioni?
«Me lo auguro; hanno interesse per queste tematiche, e penso sia un
libro facile da leggere. Sono contenuti che i giovani si trovano ad
affrontare quotidianamente a scuola, anche se magari non riescono sempre
a coglierli, come per esempio nel romanzo
L’amante di Lady
Chatterley dove erano affrontate le problematiche del mondo
operaio. Ma le cose che questi autori sostenevano non hanno mai avuto
riscontro dalla politica, magari avevano successo nel mondo scientifico,
o in quello accademico, ma non si arrivava ad avere delle leggi che
raccogliessero quegli insegnamenti. Darwin, ad esempio, ci ha spiegato
che non può esistere una crescita infinita, e il suo libro “L’origine
delle specie” ha segnato un prima e un dopo nel mondo scientifico,
filosofico, culturale. Ma nel mondo della politica le sue idee non sono
passate, il senso della complessità della rete dei viventi è stato e in
parte viene ancora ignorato».
Quali riscontri ha avuto dalle persone che hanno letto il suo libro e
con cui ha avuto modo di interagire?
«La cosa che più mi ha fatto piacere è che molti lettori, lungi dal
considerarlo un elenco di disgrazie e sventure – ride, ndr – hanno
trovato una parte propositiva che rende ottimisti, ed era quello il mio
scopo, far capire che una volta individuato il problema si può lavorare
per trovare la soluzione. Un’altra parte del libro a cui tengo molto, e
che mi sembra abbia colpito, è quella relativa al fatto che non
osserviamo la natura, che passiamo per gli ambienti senza vederli, senza
conoscere il nome delle piante e delle specie che vivono nella natura
come noi. Già non conoscere quei nomi è sintono di non curanza ed
inevitabilmente la conseguenza è che non ce ne curiamo sotto ogni punto
di vista. Infine c’è la parte sulle questioni di genere, sul ruolo
minimale che le donne hanno avuto in quest’era di sviluppo, guidata
dalla cultura maschile; è importante che sia integrata dalla visione del
mondo delle donne, e lo squilibrio che è sotto gli occhi di tutti è
anche povertà di diversità. Un mondo guidato economicamente e
politicamente soltanto dagli uomini, è un mondo necessariamente
portatore di squilibrio. Le voci e le menti che possono decidere del
nostro sviluppo non possono essere soltanto maschili, ma su questo siamo
molto molto indietro, come dimostrano i dibattiti di questi giorni sulle
questioni essenziali legate al conflitto in cui sono sempre in
maggioranza le voi maschili, come se le donne non potessero capire i
problemi derivati da una guerra o da una carestia o non avessero
riflessioni da fare in merito. Non ci si deve assuefare a questo,
bisogna continuare a pretendere che non ci sia sempre e soltanto un tipo
di visione del mondo».
Dopo la pandemia il conflitto in Ucraina: riesce ancora ad avere
fiducia nel domani nonostante tutto ciò?
«Pandemia e conflitto sono due contesti diversi, anche riguardo la
fiducia nel domani. Se devo parlare della pandemia, sì, spunti di
fiducia nel futuro ne ho trovati nel fatto che siamo riusciti ad
affrontare questa esperienza anche prendendo coscienza di come buona
parte del danno che ha creato il virus deriva da preesistenti squilibri
ambientali, e abbiamo trovato la forza di reagire in maniera positiva.
La guerra in Ucraina, invece, sta minando la mia fiducia dell’umanità,
non in generale ma relativa all’umanità che governa il mondo: anche qui
vedo solo uomini all’opera, nessun tavolo o incontro bilaterale vede
donne protagoniste. Attraversare una pandemia tragica per molte zone del
nostro Paese e del nostro pianeta è un elemento a sé, che ha tolto molto
ma ha dato anche in termini di comprensione dei meccanismi. La perdita
di fiducia nell’umanità derivata dal conflitto mi deriva soprattutto
dalla mancanza di atteggiamenti radicali di fronte alla barbarie che
riemerge, e di consapevolezza sul fatto che la guerra coinvolge tutti e
che solo tutti insieme si può venirne fuori, anche attraverso sacrifici
che tutti possiamo fare. Ad esempio: la maggioranza dei Paesi europei
non sta risentendo della questione legata al grano perché l’importazione
da quell’area è molto limitata, mentre i Paesi poveri ne stanno
risentendo di più, nella totale indifferenza da parte nostra. Questo è
davvero demoralizzante, se pensiamo a momenti come il terremoto del
Friuli in cui abbiamo avuto un commissario che ha preso in mano la
situazione, avocando anzitutto a sé i poteri per tenere sotto controllo
persino il prezzo dell’acqua minerale nella consapevolezza che prima o
poi qualcuno avrebbe approfittato di quella situazione tragica per far
aumentare a dismisura i prezzi. Oggi invece si assiste alle speculazioni
sul prezzo del grano come se fosse una cosa normale. Oppure: la
solidarietà verso questi profughi che arrivano dall’Ucraina va benissimo
e va difesa, in passato non è successo lo stesso verso quelli che
arrivavano sui barconi, o scappavano dall’Afghanistan, o dalla Siria. Si
tradisce quel principio sancito nella dichiarazione dei diritti
dell’uomo che tutti gli esseri umani sono uguali senza distinzioni di
alcun tipo, ma non ce lo ricordiamo se non ci fa comodo, e questo è
demoralizzante. Io la fiducia nell’umanità la mantengo perché mantengo
forte il desiderio di cambiamento, e chi potrà cambiare il mondo, se non
noi? E’ il nostro pezzo di mondo che va cambiato, quello che riguarda
gli umani. E per farlo le parole di chi ha studiato, pensato, scritto e
agito prima di noi sono uno strumento prezioso».