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Intervista a Chiara Tortorelli   Tutte le interviste tutte le interviste
Chiara TortorelliTelegiornaliste anno XVIII N. 10 (694) del 16 marzo 2022

Chiara Tortorelli, altro da sé, liberi di sé
di Tiziana Cazziero

Incontriamo la scrittrice Chiara Tortorelli.

Ciao Chiara e ben arrivata. Racconta in breve ai lettori chi sei.
«Chi sono… difficile definirmi, amo il pensiero complesso e la definizione risulta per me spesso vicina alla limitazione. Potrei dire che convivono in me un avatar cioè la mia parte “pubblica”, abituata alle relazioni pubbliche e alla comunicazione, e una parte privata, molto riservata e schiva che ama la natura e la solitudine».

La scrittura appartiene al tuo mondo, come e quando hai capito che questa passione oltre a essere un sogno, poteva diventare qualcosa di reale?
«Quando ero a Milano e frequentavo il mio Master in Comunicazione pubblicitaria e volevo diventare Copywriter, il mio docente di Scrittura creativa di allora mi spronò e mi disse: “sei proprio sicura di voler fare la copy? Hai una visione diversa, molto più evoluta e complessa di un vero copy… è questa la tua strada?”. Da qui si aprì un mondo di opportunità e riuscii a dare seguito al mio sogno di sempre, scrivere».

Quali sono i generi che preferisci sia come scrittrice e lettrice?
«Mi piace andare oltre qualsiasi definizione. Non sono né autrice né lettrice di romanzi di genere».

Come hai affrontato la pandemia che ci ha colpito negli ultimi due anni?
«Nel modo come affronto in genere ogni situazione della vita, cercando di coglierne le aperture, le opportunità. Mi piace sempre vivere il limite come si vive nella scrittura creativa, cioè come generatore di nuove risorse e apripista per trovare strade inaspettate. Ho iniziato dallo stile di vita, per esempio. Durante questi due anni se non era possibile la vita sociale era il momento giusto per scoprire le passeggiate nella natura, e la dimensione più propriamente creativa».

Sono recenti gli avvenimenti che riguardano l’Ucraina e la Russia, da autrice di eventi storici, come nel libro Storia pettegola di Napoli, qual è la tua riflessione? La storia dovrebbe essere una testimonianza importante degli eventi drammatici, cosa è sfuggito a tutti noi?
«Siamo a una giuntura particolare della storia umana. Un bivio che può essere altamente evolutivo per la nostra generazione. La guerra prima che tra gli Stati si svolge nel cuore degli uomini e se per esempio proviamo a scorrere il nuovo specchio del reale, cioè il web, si resta esterrefatti dal clima fazioso, ispirato alla separazione, alla dicotomia e alla violenza. Sembra sia diventato impossibile dialogare con chi ha una visione diversa dalla propria e sembra che si sia stati risucchiati dal nuovo linguaggio virtuale rapido, fatto di una foto e di una emoticon. Come può avere spazio il confronto se tutto si è ridotto a un linguaggio mercantile da eterna propaganda? Se il codice linguistico procede per immagini ed è rapidissimo al punto da non permettere alcuna riflessione, resta spazio solo per la forbice stretta, la fazione da stadio, buoni e cattivi, alti e bassi, o stai con me o stai contro di me… da qui nasce la guerra su piccola e grande scala. È tempo di comprendere le logiche sottostanti che reggono le dinamiche manifeste, è tempo di scegliere chi essere e a quale mondo dare seguito e soprattutto è tempo di diventare coscienti e auto responsabili di ciò che si vive e smettere di essere vittime che subiscono la Storia».

Tornando al tuo libro Storia pettegola di Napoli, cosa ci racconti, perché un lettore dovrebbero sceglierlo?
«È un affresco dell’animo umano prima di tutto. Chi lo legge può specchiarsi e ritrovarsi. È la storia di uomini famosi, ma dietro quelle singole storie ci sono vicende che riguardano tutti, gli stessi moti del cuore, gli stessi dolori, lo stesso bivio tra una strada e un’altra. La storia dei personaggi diventa poi storia viva della città che raccoglie ogni spasimo, ogni sorriso».

Tra le tue innumerevoli attività, ho letto che ti diletti anche con il teatro, raccontaci come vivi questa esperienza.
«Ho scritto per il teatro, e più giovane ho anche recitato. Amavo molto la recitazione, come amo la maschera. Trovo che attraverso l’interpretazione di “altro da sé”, ci si liberi di sé, di quel peso greve e a volte fastidioso che ci portiamo addosso, fatto di ciò che pensiamo di essere, agglomerati spesso di vicende antiche e luoghi comuni».

Giornalista, autrice di romanzi e di storie teatrali, come metteresti in ordine d’importanza questi elementi?
«Autrice di romanzi. Autrice di storie teatrali. Giornalista. Li metterei in quest’ordine ma non per importanza, per pura e semplice inclinazione».

C’è un evento o una ricorrenza particolare legata al mondo della scrittura che ti è rimasto particolarmente impresso? Vuoi condividerlo con noi?
«Credo la presentazione del mio primo libro più corposo. Si chiamava Tabù, era il 2014 e ricordo ancora l’emozione del teatro dove presentavo il libro, gremito di gente. Erano lì per ascoltare me. Provavo uno strano scollamento… cosa dovevo dire? Era così importante dire? Che ci faceva tutta quella gente lì? Sicuro che non mi trovavo in un multiverso?».

Progetti per il futuro? Puoi accennarci qualcosa?
«Sto scrivendo un romanzo, la storia di tre donne eretiche incapaci di vivere un copione che non sia a tinte forti. A un passo da amori distruttivi, passioni devastanti e follia vivono escluse, dalla vita, o perché si auto escludono, in un periodo che abbraccia tutto l’arco di storia del Novecento».

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