Telegiornaliste anno XVIII N. 7 (691) del 23 febbraio 2022
Antonella
Gramone, lettrice di nuvole
di
Giuseppe Bosso
Antonella Enrica Gramone, life-coach e autrice, vissuta a
lungo in Gran Bretagna, per studio e per lavoro (dottorato a
Cambridge e lavorato anche al Foreign Office di Londra) con
una parentesi a Budapest, oggi si divide tra Milano e
Novara; appassionata di cani, di viaggi e di stelle, si
dedica alla scrittura in tutte le sue declinazioni. Scrive
per
Quattro Zampe, ha pubblicato nel 2021 il romanzo
La lettrice di Nuvole.
Ha vissuto a Londra e a Budapest prima di fare ritorno in
Italia: cosa ha rappresentato per la sua vita professionale
l’esperienza in due realtà come quella britannica e quella
ungherese, per molti aspetti mondi a parte rispetto al
nostro Paese?
«Ho trascorso moltissimi anni per studio e per lavoro nel
Regno Unito, in particolare a Cambridge dove ho svolto il
mio dottorato, il PhD, al Corpus Christi College, uno dei
più antichi dell'Università, e a Londra. Nei miei contatti
professionali con varie istituzioni britanniche ho sempre
ammirato il pragmatismo, l'orientamento a lavorare per
obiettivi con procedure spesso burocraticamente più snelle
di quello che avviene altrove. Ho apprezzato anche l'aspetto
meritocratico, il premiare la validità e il potenziale
innovativo di un progetto di ricerca, il dare fiducia a
collaboratori nuovi o dai profili non tradizionali (io
stessa ho ricevuto una prestigiosa borsa di studio a
Cambridge). Per quanto riguarda l'Ungheria ho avuto
l'opportunità di lavorare a un progetto editoriale a
Budapest nella metà degli anni Novanta, in una fase di
grande transizione sociale, economica e politica per quel
Paese. È stato sfidante vivere in prima persona un periodo
in cui l'Ungheria, come altri Paesi dell'Est europeo, stava
aprendosi a nuovi rapporti con i mercati esteri, ai concetti
di franchising e customer care, all'implementazione di nuovi
profili legislativi e amministrativi alla luce dei
numerosissimi cambiamenti in corso. Per molti giovani di
Budapest, lavorare in contesti internazionali, imparare
l'inglese (ma anche l'italiano) era allora qualcosa di molto
ambito».
E il viaggio, il confronto con altre realtà, è anche uno
dei temi che affronta La lettrice di Nuvole, il suo romanzo:
qual è la genesi dell’opera? A cosa o a chi si è ispirata e
a chi è maggiormente rivolta?
«La scrittura di questo libro mi ha accompagnata in momenti
e luoghi diversi. Come ispirazione
La lettrice di Nuvole
nasce da un mio soggiorno parigino. Ho abitato
effettivamente per alcuni mesi nella Rue Thérèse dove vive
uno dei personaggi, la 'zia' francese: il cielo della Ville
Lumière mi ha subito affascinata anche in senso metaforico,
come simbolo adatto a rappresentare il percorso evolutivo
personale e professionale che coinvolge la giovane
protagonista, speaker radiofonica di un'emittente milanese.
È un percorso che compie anche grazie ai consigli della zia,
lettrice di nuvole e appassionata viaggiatrice come me, che
le insegna a guardare la vita da prospettive diverse (come
nella vita reale ha fatto a sua volta una zia a me molto
cara). Pur contenendo una storia d'amore non è un romance
tradizionale: mi piace considerarlo un romanzo feel-good,
che faccia stare bene. Ci sono riferimenti al mondo
dell'arte, ai vini, c'è una playlist nuvolosa che punteggia
il ritmo narrativo, elementi che possono interessare una
readership abbastanza ampia».
Simbolicamente, cosa sono per lei le nuvole e cosa legge
in loro?
«Sono un simbolo di trasformazione e ispirazione. Da sempre
gli uomini scrutano il cielo, vi proiettano i loro timori e
fantasie. Di nuvole hanno parlato Aristofane, Shakespeare,
musicisti da Pino Daniele a De Andrè e Ludovico Einaudi. Da
un punto di vista meteorologico esistono dieci tipi di
nuvole: cirri, cumuli, strati, ecc. Io le racconto da un
punto di vista narrativo, ogni nuvola assomiglia un po' al
carattere di una persona, dal cumulonembo dal carattere
temporalesco all'elegante cirro. Nelle nuvole mi piace
cogliere la possibilità di un cambiamento in positivo: dopo
il temporale, ogni cielo si rasserena. Le nuvole sono un
invito alla creatività e ad avere fiducia nelle nostre
potenzialità: concediamoci qualche attimo con la testa fra
le nuvole, per dare spazio alla nostra fantasia (lo
consigliava anche Amleto al suo cortigiano Polonio), volando
alto con i nostri pensieri e i nostri progetti».
E il successo dei suoi racconti è dimostrato dal Premio
Chatwin e dal torneo Giallo Milanese, vinti l’anno scorso:
cosa ha rappresentato per lei ricevere questi
riconoscimenti?
«Il Premio Chatwin è una manifestazione dedicata dal 2001 al
grande scrittore di viaggi e fotografo Bruce Chatwin. Io ho
vinto la sezione narrativa del Premio con un mio racconto
ispirato a un mio viaggio in Kerala, nell'India del Sud.
Nella sezione fotografia è stato premiato il grande Maestro
Gianni Berengo Gardin. È stato un grandissimo onore, nel
corso della premiazione, sentire le motivazioni dalla
presidentessa di giuria Dacia Maraini (grande viaggiatrice,
fine conoscitrice del Giappone ma anche dell'India) che ha
apprezzato il senso di scoperta e immaginario racchiuso
nella mia storia, dove il viaggio è disponibilità a vedere
il nuovo, in un continuo movimento verso la conoscenza.
Giallo Milanese è stata un'esperienza anch'essa molto
coinvolgente, è infatti un torneo letterario a eliminazione
organizzato dalla casa editrice ExCogita: gli autori leggono
in diretta i loro racconti e vengono votati in tempo reale
sia dal pubblico dei social, che da una giuria popolare e da
una giuria tecnica costituita da editor, accademici e
professionisti del mondo editoriale. È stato sfidante
'mettersi in gioco' e leggere live il proprio testo in ogni
fase successiva della gara, chiamata 'calcisticamente' la
yellow league, attendendo via via 'televoto' e commenti dei
giurati. Un'esperienza molto formativa, non solo per la
trepidazione fino alla superfinalissima che si è svolta
nell'ambito di Bookcity Milano, la manifestazione dedicata
al libro e alla lettura, ma anche perché ho avuto modo di
confrontarmi con le diverse interpretazioni di lettori e
critici letterari. È molto stimolante vedere come un nostro
testo possa essere recepito e analizzato da angolature
diverse».
Il presente è anche il suo lavoro per Quattro Zampe:
come nasce il suo amore per gli animali e come è diventato
parte della sua attività giornalistica?
«È un amore che nasce dalla mia infanzia trascorsa in mezzo
alle campagne e al giardino di casa nella Bassa Padana. In
famiglia abbiamo sempre tenuto animali, cani, in
particolare, meticci-'cani fantasia' affettuosissimi, e
qualche micio. Mi piacciono molto le passeggiate a cavallo.
Ci sono poi stati dei viaggi che mi hanno messo in
particolare contatto con la natura, per esempio in alcuni
campi tendati in Kenya o in Namibia. In Namibia ho potuto
visitare la fondazione Jolie-Pitt sostenuta da Angelina
Jolie a tutela della fauna selvatica dell'area, un progetto
fortemente voluto dall'attrice, la cui figlia Shiloh è nata
in quel Paese. Vivendo ora prevalentemente in una realtà
urbana come Milano non posso ospitare tutti gli animali
domestici che vorrei, ma credo moltissimo nella pet therapy:
spesso sono i quattrozampe di casa a prendersi 'cura' di
noi, del nostro benessere emotivo, come anche il recente
lockdown ha mostrato. Per non parlare di tutti i cani 'eroi'
impegnati in operazioni di salvataggio o prevenzione insieme
con i loro fantastici istruttori. Ho preso parte qualche
anno fa al docu-reality 'Senti chi abbaia' andato in onda su
RAI2: le storie di binomi umani-animali coraggiosi sono
sempre moltissime».
Come ha inciso il Covid nella sua vita professionale in
questi due anni e come ha cercato di adeguarsi alle
restrizioni che la pandemia ci ha imposto da marzo 2020?
«Come tutti ho cercato di utilizzare al meglio il supporto
offerto dalla tecnologia e dalle varie piattaforme non solo
per lavorare ma anche per rimanere in contatto, in alcuni
casi ancor più di prima, con le persone, cercando di
sopperire per quanto possibile alla lontananza fisica. Ho
cercato di fare un uso più creativo ma anche consapevole dei
social e del telefono. Avendo amici e conoscenti in varie
parti del mondo, Cina e Sudamerica inclusi, ho avuto subito
tramite i mezzi online la percezione di come quanto stava
succedendo stesse impattando sulla vita di tutti a livello
globale e come si fosse tutti coinvolti in una svolta
epocale, per cui il lavoro in squadra è diventato ancora più
importante».
Da amante della scrittura in tutte le sue sfaccettature,
quale crede sia il ruolo della scrittura come forma di
comunicazione in quest’epoca dove sembra che gli esseri
umani facciano fatica a comunicare?
«Non penso che le persone in quest'epoca facciano più fatica
a comunicare, caso mai comunicano, scrivono e leggono in
modo diverso, con modalità più veloci e frammentate rispetto
al passato. Prima di un libro o dei giornali esisteva solo
la versione cartacea, oggi la gamma di fruibilità dei
contenuti è molto più ampia e in continua evoluzione: ebook,
podcast, piattaforme e social molto diversi, ma a mio avviso
complementari, ognuno con un suo pubblico di riferimento a
seconda del canale utilizzato (più visivo, o più orientato a
testi long-form, o a musica e filmati). Apprezzo molto il
mezzo sonoro, in forma di radio e podcast e personalmente
amo scrivere sia a mano che con computer. Scrivere a penna o
tastiera, come sottolineano vari studi di neuroscienza,
attivano delle aree cognitive differenti; scrivere a mano su
un foglio è una modalità meno meccanica e ripetitiva e più
tridimensionale del premere sui tasti, e stimola la
creatività. Mi piace pensare che scrivere a mano ci
sottragga almeno temporaneamente alla frenesia e urgenza di
tastiera e touch screen, e ci permetta di riappropriarci di
un tempo di scrittura che è anche un prezioso tempo di
riflessione».