Telegiornaliste anno XVIII N.
3 (687) del
26 gennaio 2022
Anna Deutsch ci racconta l'Olocausto
di
Vivian Chiribiri
In occasione della
Giornata della Memoria e delle vittime della Shoah,
abbiamo incontrato Anna Deutsch. Figlia di sopravvissuti all’Olocausto,
ci racconta come le diverse generazioni hanno vissuto la barbarie
nazista. Il romanzo da lei scritto insieme al marito, descrive la storia
familiare intrecciata con gli eventi geopolitici che si snoda oltre i
confini europei; a est verso lontani territori dell’Unione Sovietica, a
sud verso lo Stato d’Israele, paese d’approdo dopo gli orrori nazisti e
staliniani. L’incontro tra le due famiglie avviene in Europa, in Italia,
dove Anna e Arie si sono sposati e dove sono nati i loro due figli».
Anna nel suo libro Una storia ebraica edito da Giuntina e
scritto a quattro mani con suo marito Arie, lei ha la forza di
raccontare della deportazione a Auschwitz e poi a Mauthausen di buona
parte della sua famiglia, delle atrocità naziste subite da tutti loro,
perfino del numero di matricola assegnato a suo padre. E quindi le
chiedo, quanto coraggio ci vuole per raccontare tutto questo e da che
stato d’animo è stata accompagnata mentre dava forma a questa
narrazione?
«Per tanti anni sono vissuta in un ambiente dove regnava… il silenzio. I
miei genitori raccontavano poco del loro passato. Ho cominciato a
rendermi conto della storia atroce che hanno vissuto, a partire dal
processo ad Adolf Eichmann, celebrato a Gerusalemme nel 1961. Avevo 14
anni e cominciai a porre delle domande ai miei genitori e ai parenti. Le
risposte erano spesso molto vaghe. La cruda verità è stata scoperta
tanti anni dopo, quando ero già sposata con un figlio nato da poco, alla
morte di mia madre. Solo allora ho potuto vedere e cominciare a leggere
dei documenti riguardanti il loro passato nei campi di concentramento.
Ci sono voluti tanti anni per assorbire ed assimilare tali informazioni.
Non è stato facile, e ho dovuto affrontare il tutto con tanto coraggio,
che con l’aiuto dei miei familiari, mi ha permesso di comprendere ciò
che è stata la sofferenza dei miei genitori e il loro comportamento da
sopravvissuti. Con gli anni il mio dolore non si è affievolito, ma sono
riuscita a trovare le forze spirituali a raccontare il passato».
Il tema della “memoria” così forte e predominante nel suo libro è
spesso un tema controverso perché molti, tanti, ebrei pensano che
continuare a ricordare o a tramandare storie di atrocità, lutti e
deportazioni in un qualche modo finisca per cristallizzare una
condizione che invece deve essere superata per costruire una nuova
identità e anche una nuova speranza. Il suo pensiero su questo argomento
invece qual è?
«La memoria non può ridursi a un mero momento di commemorazione. La
memoria è un processo continuo di ricostruzione del passato, avente
principalmente due obiettivi: l’educazione di tutti noi e di monito
affinché non si ripetano più le atrocità accadute. Una società senza
memoria non ha un futuro. La Shoah è stata e rimane un unicum. È
avvenuta a seguito di un disegno, pianificato scientificamente, di
annientamento del Popolo ebraico. Nei primi anni dopo la Shoah, la
memoria era “viva” e rappresentata dagli stessi sopravvissuti. Col
passare del tempo la memoria rischiava di affievolirsi. A mio parere
dobbiamo studiare e ricordare la Shoah! Noi, figli della Shoah, siamo
chiamati a ricordare non per celebrare, bensì, essere portatori di
speranza per una vita migliore per le future generazioni».
Attraverso il racconto delle famiglie Deutsch e Gottfried lei e suo
marito raccontate anche avvenimenti storici e geopolitici che hanno
riguardato l’Europa dalla metà dell’Ottocento fin quasi ai nostri
giorni. Quanto è stato complicato questo lavoro di ricerca e per quanto
tempo vi ha impegnati?
«All’inizio pensavamo di scrivere un libro ad uso “familiare”.
Catalogando ed analizzando centinaia di documenti di famiglia, ci siamo
resi conto che le nostre famiglie sono state “ attrici attive “ sul
palcoscenico geopolitico europeo ed oltre. Abbiamo deciso, quindi, di
allargare gli orizzonti del libro. I documenti delle nostre famiglie
sono stati rilasciati in più paesi e scritti in più lingue. Per
approfondire gli eventi storici e geopolitici, ci siamo rivolti agli
archivi di Yad Vashem a Gerusalemme, di Beit HaTefutsot (Casa delle
Diaspore) a Tel Aviv e alla lettura di libri e fonti storiche online. I
documenti sono stati tradotti, da noi due, in italiano. Questo immenso
lavoro è durato tre anni».
Anna, Una storia ebraica in copertina riporta una foto
originale dell’epoca che ritrae i suoi nonni nel giorno del loro
matrimonio a Budapest. Ecco, il tema della famiglia ma soprattutto il
tema dell’amore, dell’incontro, della volontà di trascorrere la vita
insieme è un altro leit motiv dell’intera narrazione del libro. Può
essere questo un tema che ogni lettore può considerare una sorta di
volontà di chi scrive a lasciare sempre aperta una porta alla Speranza,
pur nelle mille vicissitudini della vita?
«Abbiamo scelto questa foto, che ritrae i miei nonni paterni nel giorno
del loro matrimonio, in quanto emblematica e significativa ai fini della
nostra storia familiare. Mio nonno Hugo, medico e ufficiale
dell’Esercito dell’Impero Austroungarico, era un ebreo completamente
integrato nella società in cui viveva, che sapeva conciliare la propria
identica ebraica con il contesto di quell’ ambiente. Abbiamo sempre
concepito la famiglia come luogo di aggregazione, di unione d’amore
anche nei momenti più bui della Storia. Nonostante i periodi di angoscia
e tristezza, avevamo sempre dalla nostra parte la Fede e quindi la
speranza di vivere momenti di gioia e tranquillità».
Nel libro, all’inizio, c’è una dedica particolare: a coloro il cui
viaggio è stato interrotto; se ipoteticamente lei potesse scrivere a
tutti loro e raccontare cosa è successo dopo la guerra e la sconfitta
definitiva del nazismo cosa racconterebbe?
«Nei vari periodi storici abbiamo subito dei pogrom, deportazioni e
massacri. A coloro il cui viaggio è stato interrotto avrei detto:
Grazie! Il vostro sacrificio non è stato invano. Dal seme di speranza
seminato da voi è nata una nuova generazione, libera e pronta a
contrastare le malvagità dell’uomo. Termino l’intervista citando un
motto ebraico: con il vostro sacrificio ci avete donato la vita».