Telegiornaliste anno XVIII N. 9 (693) del 9 marzo 2022
Angela
Iantosca, voce all'indicibile
di
Vivian Chiribiri
Angela Iantosca dà voce all'indicibile e ce lo racconta nel
suo ultimo saggio,
La scimmia sulla culla.
Angela, partiamo subito con il parlare del punto cruciale
del tuo ultimo libro. Donne che hanno un passato ed un
presente di dipendenza da sostanze stupefacenti e che si
ritrovano a dover portare avanti una gravidanza da
tossicodipendenti. Un tema profondo e di grande
contemporaneità. Cosa ti ha spinto a fare questa ricerca?
«La necessità di parlare di un argomento di cui non si
parla, che si preferisce ignorare. Le necessità di dar voce
all’indicibile, alle storie di queste donne, all’inferno nel
quale sono finite a causa della dipendenza dalle sostanze
stupefacenti per far comprendere quanto male fanno le
sostanze, a cosa si va incontro e come sono capaci di
rendere qualsiasi persona dis-umana, priva di emozioni tanto
da continuare ad usare sostanze anche dopo aver scoperto di
aspettare un figlio».
Avendo fatto ricerche e raccolto dati, ti sei imbattuta
in qualche storia particolare che ti ha segnata in qualche
modo? Vorresti parlarcene?
«Le storie raccolte, dal Nord al Sud, sono tutte storie
sulle quali bisognerebbe riflettere e che inevitabilmente mi
hanno segnata. Colpisce sentire una donna che afferma di
aver fatto di tutto per eliminare il bimbo che stava
crescendo in grembo, aumentando l’uso di sostanze. Colpisce
osservare il loro smarrimento, la necessità di trovare una
spiegazione ora che da quell’inferno sono uscite. Colpisce
cogliere il senso di colpa e l’impossibilità di recuperare
quanto fatto. Ci sono donne che hanno fatto molto male a sé
e al loro piccolo, basti pensare che il 60-80% dei bambini
nati da mamme tossicodipendenti viene al mondo in SAN,
Sindrome da Astinenza Neonatale. Sono tutte donne sofferenti
che portano con se adolescenze complesse, drammi irrisolti,
a volte anche violenze».
Spesso nel mondo contemporaneo ci troviamo ad affrontare
argomenti che vanno a spezzare quelle catene che tengono
legate le donne a un ruolo convenzionale, come per esempio
il ruolo di madre, con il fantomatico jingles "my body my
rules". Davanti a una realtà del genere, che non solo
distrugge il corpo e la mente di una mamma, ma che lede
anche i bambini che nascono quale messaggio vorresti
lanciare a tutte le ragazze e alle donne che ti leggono?
«Non aprite la porta delle dipendenze, chiedete aiuto,
lavorate su voi stesse, sull’autostima, non rimanete in
silenzio, non cercate nella fuga dalla realtà la soluzione
ai problemi. Non siete sole: esistono associazioni pronte a
tendervi una mano, a fare rete, a trovare con voi soluzioni.
E ricordate che, qualsiasi cosa sia successa, se ne può
uscire insieme, più forti. Si può tornare sui propri passi,
assumersi ogni responsabilità e cominciare a ricostruire
passo dopo passo una vita normale, fatta di cose semplici.
Datevi sempre una possibilità, non è mai tutto perduto.
Cercate di amarvi e non buttate via tutto per paura della
solitudine o della sofferenza».
La scimmia sulla culla, uscito a novembre 2021,
non è il tuo primo saggio. Ne hai scritti diversi e in molti
di questi affronti temi caldi, a sfondo sociale. Quando si
pubblicano testi del genere lo si fa non solo per offrire un
reportage, ma spesso per voler cambiare una situazione
logorante o almeno di contribuire a portarla alla luce. Qual
è stato, in senso strettamente sociale, il testo che ti ha
dato più soddisfazione? O quello che il pubblico ha
apprezzato di più, che ha smosso le coscienze forse cieche o
semplicemente inconsapevoli?
«Ogni saggio ha svolto una funzione, che è stata quella di
dar voce a chi voce non ne ha, a chi non ha la forza di
parlare, di far emergere ciò che vive nell’oscurità e che
nel buio rischia di diventare talmente enorme da essere
imbattibile. Ogni testo ha rappresentato un passaggio
importante per me, per le persone che ho raccontato.
Sicuramente le persone raccontate e incontrate per la
stesura dei saggi dedicati al mondo della tossicodipendenza
sono diventate parte della mia vita, sono diventate persone
da incontrare e contattare anche dopo la pubblicazione del
libro, sono diventate anche delle amicizie perché il libro e
il mi lavoro, in qualche modo, sono diventati parte di un
processo, parte di quel processo che vuol far comprendere la
necessità di chiedere aiuto e di fare rete, sono diventati
un pezzo del lavoro di comunicazione che da sempre si fa
nelle associazioni e nelle comunità per far sapere che
esistono, che ci si può salvare, che si può tornare a
vivere, basta volerlo. Le storie legate al mondo della
tossicodipendenza sono storie di forza e resilienza, storie
di persone che hanno capito profondamente il senso della
vita proprio perché più volte hanno rischiato di perderla,
sia perché direttamente coinvolti nella tossicodipendenza
sia in quanto genitori».
Infine, se potessi decidere di affidare La scimmia
sulla culla ad un musicista per renderlo suonato o
cantato, a chi chiederesti di interpretarlo?
«Einaudi che spesso mi ha accompagnato nelle fasi di
scrittura insieme a Beethoven, mio fedele compagno dagli
anni del Liceo».