Telegiornaliste anno XVII N.
31 (681) del
17 novembre 2021
Monica Arcadio, non mi sono mai arresa
di
Giuseppe Bosso
Abbiamo il piacere di incontrare
Monica
Arcadio. Dagli esordi nella tv locale della natia Puglia
approdata da poco a
La vita in diretta, storica trasmissione di Raiuno,
dopo esperienze anche a Telenorba, Mediaset, Blustar e Rtl 102.5.
Cosa rappresenta per te l’approdo a La vita in diretta?
«Rai e
La vita in diretta rappresentano per me un nuovo inizio
nella mia carriera professionale e allo stesso tempo un sogno che si è
avverato e che ho inseguito da tempo, un importante traguardo raggiunto
in tantissimi anni di gavetta e di sacrifici. Anni in cui ci sono stati
alti e bassi, in cui diverse volte ho pensato di mollare un lavoro che
purtroppo non è più lo stesso da anni. Eppure non mi sono arresa mai. Mi
sono rialzata sempre, spesso anche con le lacrime agli occhi. Oggi il
mio ringraziamento va a chi ha sempre creduto in me, a chi mi ha
sostenuto, a chi mi ha incoraggiato e parlo sia in ambito professionale
che familiare.
La vita in diretta è una nuova scommessa. Una
grande scommessa per me e oggi la mia gratitudine è per Alberto Matano
che mi ha offerto questa importante opportunità».
Tu e la cronaca giudiziaria, un legame che ha accompagnato il tuo
percorso fin dall’inizio: com’è nato e come si è sviluppato nel tempo?
«Amo la cronaca nera e la giudiziaria. È un amore viscerale. In realtà
avrei voluto fare il poliziotto/investigatore, ma all’epoca non superai
il concorso. La cocente delusione mi fece buttare nel mondo del
giornalismo (una delle mie grandi passioni è stata la scrittura oltre
che la cronaca). Nel 1993 cominciai in una emittente locale di Taranto e
cominciai subito proprio con un caso di cronaca nera. Terribile. Ero
spaventata ma i colleghi “anziani” mi dettero sin da subito tanto aiuto.
Di là non ho fatto altro che appassionarmi ancora di più, studiare
tanto, stare sempre in giro alla ricerca di notizie. Ciò che preferisco
è l’analisi della criminalità sul territorio sotto diverse
sfaccettature. Ciò a cui mai mi “abituerò” sono i casi che coinvolgono i
bambini e i ragazzi».
Hai vissuto un momento di grande visibilità, sicuramente, quando hai
ricevuto anni fa una lettera da Michele Misseri dal carcere. Come hai
cercato di porti in quell’occasione e nei confronti di quel caso che
ancora oggi è ricordato tra i più efferati?
«Il caso di Sarah resterà sempre nel mio cuore per tanti motivi. C’è un
legame speciale con lei. Un legame sempre forte il giorno del funerale
piansi in diretta e qualcuno mi “accuso’” di voler fare clamore
mediatico anche in questo modo. Nessuna forse si è mai chiesto
dall’altra parte cosa provino i giornalisti seguendo questo caso.
Ritengo che Michele abbia delle grandi debolezze e quella lettera non mi
lasciò indifferente. Misseri continua a proclamare la sua colpevolezza
e, nonostante ormai lui, Sabrina e Cosima stiano scontando la pena
definitiva, spera sempre che il processo possa riaprirsi e avere un
epilogo diverso. Continuiamo a scriverci di tanto in tanto. Penso però
che ormai sia inutile continuare a parlare o a esprimere giudizi nei
salotti televisivi su quelle condanne. Bisognerebbe averlo vissuto quel
caso e soprattutto bisognerebbe leggere attentamente le carte per
capirlo davvero e per comprendere le condanne».
Cronaca giudiziaria purtroppo oggi molto spesso vuol dire delitti
contro le donne da parte di mariti, compagni o comunque persone da loro
conosciute. Perché, secondo te, assistiamo a questa escalation senza
fine?
«C’è ancora una cultura fortemente maschilista che ci stritola. Per
questo motivo ci sono uomini che pensano di poter affermare il loro
potere con la violenza. Dovremmo educare tutti i nostri figli a non fare
delle differenze tra uomo e donna. Mi spiego. Se insegniamo ai nostri
figli che la donna deve occuparsi dei servizi domestici anche quando
rientra dall’ansia giornata lavorativa mentre l’uomo può stare
tranquillamente seduto in poltrona, allora restiamo ancor ancorati a una
mentalità patriarcale. Il ruolo della donna nella società nei secoli è
cambiato. La donna non è più solo colei che si occupa della casa, della
famiglia e dei figli. La donna si occupa di questo come del suo lavoro
alla pari di un uomo. Prima lo capiamo tutti è meglio è. Le violenze
fisiche e psicologiche sulle donne ci sono sempre state e anche tante.
La differenza è che oggi finalmente se ne parla. Ne veniamo a conoscenza
e ce ne occupiamo».
Si potrebbe anche pensare che questa attenzione da parte dei media
sia in qualche modo tra le cause scatenanti di questi delitti?
«Importante è parlarne perché solo così ci aiutiamo tutti insieme ad
abbattere il muro del silenzio. Non sono certamente le attenzioni dei
media a solleticare gli istinti omicidi di uomini che evidentemente
hanno solo problemi con loro stessi. Non sono pazzi. Non sono folli. Non
sono presi da raptus. Parlarne aiuta anche le donne che hanno paura e si
nascondono».
Da inviata sempre in giro per l’Italia in che modo hai cercato di
adeguarti alle restrizioni che la pandemia ha comportato a tutti noi?
«Il covid ci ha cambiato tutti. All’inizio non è stato facile. Temevo
anche nell’utilizzare i mezzi pubblici. Eppure non ho avuto remore di
alcun tipo nel “gettarmi” ovunque per testimoniare ciò che stavamo
vivendo in quel momento, anche entrando nelle terapie intensive covid
degli ospedali. Anzi. Proprio allora ho toccato con mano e ho provato a
far capire all’esterno cosa significa questa pandemia. Quanta sofferenza
e dolore porta con sé. Tutte le cautele erano e continuano a essere
necessarie. Anche con il vaccino».
Dagli inizi nelle emittenti pugliesi ai grandi network: com’è
cambiata Monica Arcadio da allora ad oggi?
«Sono sempre la stessa Monica. Più matura, più sicura di me stessa e
delle mie capacità e potenzialità. Sono cresciuta tanto
professionalmente ma ho imparato che - anche quando sei circondato dagli
avvoltoi e da una concorrenza spietata - non devi mai perdere l’umiltà,
il sorriso, la solarità. Ovviamente è necessaria anche una buona dose di
forza e determinazione. Sicuramente sono importanti anche per darti una
marcia in più nell’approccio con i protagonisti dei casi di cui vai a
occuparti. Io amo questo lavoro, ma voglio farlo sempre nello stesso
identico modo. Senza calpestare la dignità e la sensibilità di nessuno,
colleghi compresi. Quando torni a casa devi sempre fare i conti con te
stesso. E poi sono sempre la stessa Monica. Amo profondamente la mia
famiglia, mio marito, i miei amici di sempre, amo tornare a casa e
dedicarmi a ciò che davvero conta. Gli affetti».