Telegiornaliste anno XVII N. 23 (673) del
15 settembre 2021
Isabella
Ciotti, la tv è parola
di
Giuseppe Bosso
Incontriamo
Isabella Ciotti, della redazione economica del
Tg5, a cui ha fatto rientro dopo un’esperienza al programma
di La 7
L’aria che tira.
Come ti sei avvicinata al mondo del giornalismo?
«Sapevo di voler scrivere, ma che questo potesse diventare il mio lavoro
l’ho capito solo quando mi è stata messa in mano, prima che una penna,
una telecamera. Avevo 22 anni e stavo ‘imparando il mestiere’ in una
televisione e radio della mia città, Rimini. Come in molte realtà
locali, giravamo e montavamo da soli i nostri servizi. Così ho iniziato
a ‘pensare per immagini’, e da allora non sono più riuscita a smettere.
Col tempo ho anche imparato che la tv è parola, prima ancora che
scrittura. Forse la forma di giornalismo più vicina alla gente».
Andare "sul campo" in veste di inviata cosa ti ha insegnato, non solo
dal punto di vista della professione?
«Ad ascoltare sempre tutte le campane, e in generale più voci possibili.
A essere il più possibile trasparente e diretta, ad avere cura dei
rapporti, delle persone. I ritmi televisivi ci impongono una sintesi a
volte estrema, spesso interpretata come mancanza di attenzione: dietro a
quei minuti c’è in realtà un grande lavoro, che pure richiede una certa
freddezza, ma che finisce per coinvolgerti profondamente. Ci sono storie
e persone che ti porti a casa, quasi sempre insieme al dubbio di aver
detto abbastanza, di averle raccontate al meglio».
Come è cambiata la tua vita, sia personale che professionale, da
quanto abbiamo dovuto iniziare a confrontarci con questa pandemia?
«Sul lavoro si sono rese necessarie nuove regole - a
L’aria che tira,
ad esempio, una netta divisione tra inviati e redattori per ridurre al
minimo il rischio contagio -, e la comunicazione virtuale ha spesso
sostituito quella fisica, tra colleghi oltre che tra redazione e fonti.
Va detto però che il nostro lavoro, contrariamente ad altri, non si è
mai fermato, e questo ha alleggerito di molto l’impatto della pandemia
anche sulla mia vita personale. In questo anno e mezzo mi sono sentita
una privilegiata, soprattutto per la libertà negli spostamenti a molti
preclusa».
Raccontare l'Italia del 2021, tra green pass, vaccino sì o no e
rischi di nuove chiusure, è un qualcosa che in futuro potrebbe portarti
a scrivere un libro di "raccolta di interviste" che hai realizzato?
«Più che a scrivere un libro - idea che in effetti è venuta in mente a
tanti! - il materiale raccolto in questi mesi mi stimola ad approfondire
meglio alcuni singoli temi mai abbastanza analizzati. Penso ad esempio
al lavoro, una ferita che la pandemia ha allargato in modo quasi
insanabile: dal fallimento delle nostre piccole e medie imprese – un
tessuto da ricostruire – alle grandi crisi aziendali (Whirlpool, Gkn…)
frutto di scelte finanziarie prese sopra le teste di donne e uomini
senza colpe, messi di fronte a un vuoto nel momento peggiore».
Ti senti pronta per andare in conduzione?
«Mi fa ridere anche solo pensarci. Sono davvero agli inizi, mi sembra
una cosa lontanissima, così lontana che non riesco nemmeno a
immaginarla. Devo farne ancora di strada…!».
Hai modo di interagire con i tuoi colleghi?
«La pandemia ha certamente ridimensionato le nostre interazioni
quotidiane, ma fortunatamente non le ha annullate. La prima ondata è
stata la fase più dura, mentre negli ultimi mesi vedersi è stato in
generale più facile. Mi verrebbe da dire che dal punto di vista delle
restrizioni - anche nel nostro mestiere - il peggio è passato, ma ho
paura che ci porti sfortuna. Non vorrei commettere l’errore di certi
virologi!».