Telegiornaliste anno XVII N.
16 (666) del 5 maggio 2021
Giada
Valdannini, raccontare per la strada
di
Giuseppe Bosso
Incontriamo
Giada Valdannini, inviata di
L’Aria che tira, trasmissione del mattino di La 7
condotta da
Myrta Merlino.
A L’Aria che tira ha avuto modo di raccontare nell’ultimo anno
l’Italia alle prese con il covid: con quali sensazioni e prospettive?
«Ho raccolto le testimonianze e fotografato i volti di un Paese prima
congelato da paure e incertezze, poi la rabbia e quindi lo sconforto con
bagliori di ripresa laddove se ne siano presentate le condizioni. Dal
canto mio, ho attraversato le difficoltà di tutti coloro che hanno
riposto in me fiducia dandomi modo di entrare nelle loro vite e l’ho
fatto non senza dolore e, talvolta, con un senso di impotenza nel veder
precipitare vite in precedenza del tutto normali o increspate, prima
della pandemia, da problemi comuni».
La storia o le persone intervistate che più le sono rimaste impresse?
«Sono tante e faccio torto a molte citandone solo una. Ma, senza dubbio,
sono molto legata alla storia di Elisa: rider e ragazza madre che, col
proprio lavoro, cresce da sola un figlio di dieci anni. Ogni notte è
fuori in bicicletta a far consegne così come in ogni singolo pranzo di
ogni settimana per pochissime centinaia di euro al mese. Non ha alcun
genere di tutele e lavorando ha anche subito un’aggressione. Nonostante
tutto, va avanti per la propria strada perché sa che, da quel lavoro,
dipende la sussistenza sua e di suo figlio».
Come abbiamo avuto modo di chiedere anche ad altre sue colleghe, come
Ludovica Ciriello ed
Emanuela Vernetti, per lei Myrta Merlino è….?
«Una professionista determinata ed esigente».
Le sta stretto questo ruolo da inviata in giro per l’Italia?
«Al contrario! La realtà è la mia passione e gli incontri, le strade, la
gente comune sono ciò di cui si nutre il mio racconto. Prima di iniziare
con La7, ho lavorato per undici anni a Radio Città Futura - una storica
emittente romana - dove ho condotto programmi di attualità e politica:
amo la diretta e la conduzione, ma essere a piede libero - per le strade
- è ciò che più intimamente mi anima. È lì che trovo il senso profondo
del mio mestiere».
Raccontare l’Italia alle prese con tante problematiche le ha mai
fatto venire voglia di provare un’esperienza all’estero?
«Certo, ma non con la voglia di fuggire. Ritengo un incredibile
privilegio poter entrare nella vita delle persone, tanto più se sono
persone con fragilità. Ma avrei la valigia già pronta e sarei disposta a
partire oggi stesso. Oltre all’italiano, parlo tre lingue e svolgere il
mio mestiere all’estero è un desiderio che tengo ben stretto e non perdo
mai di vista. E chissà che qualcosa non si muova anche in quella
direzione…».
Il primo servizio che vorrebbe realizzare una volta finita
l’emergenza Covid?
«Un lungo viaggio attraverso l’Italia per raccontare le esperienze dei
cosiddetti Workers buyout, le imprese rigenerate dai lavoratori. Aziende
a un passo dal fallimento, riscattate dall’impegno degli stessi operai.
Ce ne sono di interessanti in tutta Italia e vorrei concentrarmi sulle
storie al femminile».