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Valeria SaggeseTelegiornaliste anno XVI N. 3 (620) del 29 gennaio 2020

Valeria Saggese, viaggiare in musica
di Giuseppe Bosso

Conduttrice radiofonica, presentatrice di eventi, incontriamo Valeria Saggese.

Cosa ti aspetti dal Festival di Sanremo?
«Se posso essere colei che ‘bastona’, non ho problemi a dire che Sanremo non è il più importante scenario dal punto di vista musicale italiano; partiamo dalla premessa che è una kermesse, un evento televisivo intorno al quale ruotano molte cose che devono attirare l’attenzione. Quindi non va preso come punto di riferimento esclusivo per la musica italiana. Ci sono artisti e musicisti di talento che per quanto bravi saranno sempre tenuti fuori da quel contesto. I canali della musica sono tanti e svariati ed è anche per questa ragione che cerco sempre di divulgare ciò che è fuori dal mainstream. In radio lo faccio con la rubrica Visti Da Disclan, condotta insieme a Mario Maysse titolare dello storico negozio di dischi Disclan, eletto dal Rolling Stones magazine “il negozio di dischi più amato di tutti i tempi in Italia”. Mi chiamano “talebana”, ma la musica è arte e va rispettata. Sono del parere che se ne deve occupare chi è del settore, anche un presentatore deve conoscerla o perlomeno essere affiancato da una persona esperta».

In viaggio con Valeria, il titolo del tuo programma radiofonico, si può dire sia anche quello della tua vita?
«Posso dire che la mia casa è l'aeroporto – ride, ndr – è su un aereo che si svolge prevalentemente la mia vita. Il mondo per me è piccolo, non ho problemi a fare viaggi di 15 ore, ad esempio, per me l’importante è conoscere le diversità. Il viaggio avviene anche attraverso la musica che fa star bene, per la sua energia potentissima. Ascoltare il suono oltre le parole ci proietta in una dimensione diversa e di benessere assoluto».

Sei reduce da un grande evento, svoltosi al Teatro Augusteo di Salerno per una raccolta benefica: le tue sensazioni e le tue soddisfazioni a distanza di qualche giorno.
«Sono orgogliosa che si parli ancora di questo concerto dopo settimane. Un evento finalizzato alla raccolta fondi per la Open Onlus, associazione che aiuta i bambini e i ragazzi malati di cancro. Diciotto splendidi musicisti hanno suonato con il cuore a cominciare dal producer, pianista-compositore Matteo Saggese, che (tengo a precisarlo) non è mio parente, ma una persona con cui è nato un forte rapporto di amicizia – mi chiama soul sister, sorella dell’anima – con cui lavoro da cinque anni. Abbiamo la stessa visione della musica. Il concerto è stato organizzato da Tempi moderni, da Marco Russo, che ringrazio per avermi dato carta bianca nella conduzione. Più che una presentatrice, ho voluto essere parte del concerto, raccontando in modo diverso ciò che accadeva, improvvisando, andando a braccio, raccontando aneddoti e creando una vera e propria liason tra i vari momenti dello show, senza mai rompere l’osmosi. Fra gli ospiti anche Peppe Servillo, Danny Cummings, Phil Palmer accompagnati dai professori della scuola jazzistica Salernitana che tutta Europa ci invidia».

Salerno, il tuo territorio, ti sta stretta o hai trovato il tuo posto al sole?
«Voglio bene alla mia città, nonostante tante chiusure. Ma ho un senso di movimento continuo, porto la città nel mondo e il mondo a Salerno, creo collegamenti. Se ci apriamo, ogni posto può diventare il mondo».

Favorevole o contraria ai talent?
«Il primo vero talent, se non erro, lo creò Pippo Baudo, si chiamava Gran Premio, ma era una cosa diversa. C’era un direttore artistico competente che ha saputo valorizzare grandissimi talenti diventati oggi artisti di fama. Oggi l’aspetto artistico è sacrificato rispetto allo show, e lo vediamo con giudici che sono lì solo per fare ascolti, molti di loro non hanno le dovute competenze del settore. Inoltre, trovo deplorevole ascoltare talvolta dalle loro bocche critiche e offese gratuite nei confronti di ragazzi che ripongono in quella loro partecipazione una speranza. Tutto questo non ha niente a che vedere con la musica. Inoltre, chi va avanti, tranne rare eccezioni, ha carriera brevissima. I ragazzi vengono buttati su grandi palchi e scompaiono nel giro di uno anno o due. Negli anni 70 sarebbe stato impensabile produrre un album a persone sprovviste di talento, che non avessero fatto almeno la gavetta».

Tra gli artisti che hai ospitato qualcuno ha beneficiato del tuo “tocco magico”?
«Sta a loro dirlo, preferisco non esprimermi, mi sembrerebbe presuntuoso. Ma mi piace certamente dare una mano a chi merita».

Riguardando indietro il tuo percorso c’è qualcosa che rimpiangi di non aver fatto o che rifaresti in modo diverso?
«Prima pensavo di sì, quando ho lasciato la danza (per motivi che non sto qui a specificare) pensavo di aver commesso un grande errore, per esempio. Oggi, invece, penso alle parole di Tiziano Terzani, c’è una strada nella vita e te ne accorgi solo quando è finita.... Tutto quello che facciamo è collegato e il libero arbitrio c’entra ben poco. Quindi seguo l’onda. Quel filo invisibile che collega ogni mia azione».

Un aggettivo per descriverti?
«Libera!».

Cosa ti aspetti dal domani?
«Più che aspettarmi qualcosa, desidero serenità, non mia, ma del mondo. Vedo che stiamo andando sempre più verso la bruttezza, intesa soprattutto in senso interiore, individualismo e narcisismo estremo che portano all’autodistruzione. La parola chiave è “armonia”. Come vedi la musica c’entra sempre».

I tuoi prossimi impegni?
«C’è una mostra fotografica a Salerno dedicata a David Bowie. Sono gli scatti del fotografo giapponese Masayoshi Sukita. Il 21 febbraio terrò un incontro proprio a Palazzo Fruscione, dal titolo Bowie e gli altri mondi. Poi ci sono altri progetti, sono sempre molto “work in progress”».

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