Telegiornaliste anno XVI N.
16 (633) del 13 maggio 2020
Ilaria Tuti, contaminare sensibilità
di
Tiziana Cazziero
Abbiamo il piacere di intervistare nuovamente la scrittrice
Ilaria Tuti.
Ciao Ilaria e grazie per il tuo tempo. Come nasce la passione per la
scrittura e in particolare per un genere particolare come il thriller?
«Ciao, grazie per l’invito. La mia prima passione è stata la pittura.
Fin da piccolissima ho iniziato a disegnare e a dipingere e non ho mai
smesso. Solo dopo molto tempo, ho capito che questo è stato un percorso,
lento e mediato, per arrivare alla scrittura. Amavo i ritratti e i
paesaggi naturali: erano i personaggi e le ambientazioni delle storie
che già mi stavo raccontando. Credo che questo si senta molto nel mio
modo di scrivere, nell’importanza che hanno per me le immagini, i
colori, le luci e le ombre. Amo il thriller perché l’indagine non è solo
quella che procede in superficie, ma soprattutto quella che scorre
sottopelle alla storia: una vera e propria discesa nella mente umana,
per affrontare ciò che non vorremmo mai essere, ma che a volte
diventiamo».
Quali sono le difficoltà maggiori che incontri durante la stesura di
una storia?
«La parte che trovo più impegnativa è la stesura della scaletta, la
struttura della storia che delineo prima di dedicarmi alla vera e
propria scrittura. È una fase che richiede molto tempo e un grande
lavoro di documentazione. In genere, impiego dai tre ai sei mesi per
completarla, ma per me è molto importante».
Parliamo di Fiori sopra l’inferno, il romanzo con il quale il
grande pubblico dei lettori ti ha conosciuto. Ti aspettavi questo
successo e secondo te cosa è piaciuto di questa storia?
«Non ero preparata al successo del romanzo. Tendo a essere concreta e ad
aspettarmi sempre il peggio, in modo da prepararmi a fronteggiarlo.
Quindi non fantasticavo molto, ero già felicissima del fatto che il
romanzo fosse stato scelto da Longanesi. Solo dopo qualche tempo, mi
sono resa conto dei grandi risultati raggiunti. Sono profondamente grata
ai lettori che lo hanno reso possibile. Credo abbiano amato il
personaggio di Teresa Battaglia e le ambientazioni naturali. Le montagne
del Friuli sono molto suggestive».
Un romanzo dall’aspetto psicologico importante, cosa ti ha ispirato?
«Un fatto reale, uno studio sulla deprivazione affettiva condotto tra il
1945 e il 1946 negli Stati Uniti su bambini ospedalizzati o accolti in
orfanotrofio. Avevo già delineato il personaggio di Teresa Battaglia ed
ero alla ricerca di un antagonista che fosse forte tanto quanto lei. Ho
trovato lo spunto per la mente “aliena” dell’assassino proprio in questi
studi psicologici».
Teresa Battaglia è stata molto amata e ha appassionato i lettori.
Perché secondo te e che cosa è stato apprezzato di lei?
«In Teresa ci sono mille donne diverse e tutte reali. Credo non sia
difficile riconoscere in lei qualcosa di una persona che conosciamo, o
addirittura di noi stessi. Non è l’eroina che ti aspetti di trovare in
un thriller, non è avvenente, né seduttiva, ha quasi sessant’anni ed è
acciaccata. Mi piaceva l’idea di dare voce a un tipo di donna che di
norma ne ha poca, almeno nella nostra società. Teresa non è una vittima
delle circostanze, anzi, è una leader naturale, ma lo è con tutti i
difetti e le fragilità di una persona normale. È amata per questo,
credo».
Ninfa Dormiente ripropone la stessa mente investigativa. Avevi
previsto fin dall’inizio un seguito per Teresa Battaglia?
«Sì, ma in modo abbastanza istintivo, senza premeditazione. Quando
scrivevo
Fiori sopra l’inferno, sentivo che Teresa aveva ancora
molto da dire, mi stavo affezionando a lei e alla sua spalla, Massimo
Marini, e sentivo già che avrei voluto incontrarli in qualche altra
avventura».
Dalla pittura alla scrittura, qual è tra i due il vero amore?
«In questo momento della mia vita, la scrittura. Entrambe, però, faranno
sempre parte di me e si influenzeranno a vicenda».
In passato hai lavorato per una piccola casa editrice come
illustratrice, com’è avvenuto il passaggio alla scrittura?
«Fare l’illustratrice non era comunque il mio lavoro principale, in quel
momento sperimentavo e imparavo a ritagliare sempre più tempo da
dedicare a ciò che mi faceva sentire bene. Il passaggio alla scrittura,
poi, non è stato netto. Parlerei di contaminazione: un mescolarsi di
sensibilità e creatività, di tentativi, di sperimentazioni. Mi divertivo
e intanto esploravo nuovi scenari per la mia vita futura, fino a quando
ho capito che scrivere era ciò che mi dava maggiore soddisfazione».
Com’è cambiata la tua vita dal 2018 a oggi, anno di esordio che ha
decretato esordio e successo con la scrittura?
«La quotidianità è cambiata moltissimo. Scrivo ogni giorno, viaggio
molto per la promozione, mi rapporto con i professionisti del settore,
devo rispettare scadenze che prima non c’erano, organizzare il tempo in
relazione a tanti nuovi impegni. La scrittura, che prima era un momento
intimo e solitario, è diventata anche un lavoro di squadra che implica
precisione e professionalità. Tutto questo non sempre è facile da
gestire, a volte l’ansia si affaccia».
Posso chiederti se hai altri progetti e a che cosa stai lavorando?
«Il mio prossimo romanzo in uscita si intitola
Fiore di roccia e
non è un thriller. Si tratta di un romanzo storico e parla delle
Portatrici carniche, le donne che durante la Prima guerra mondiale
aiutarono i soldati italiani a sopravvivere sulle trincee della Zona
Carnia, a quasi duemila metri di altitudine. Seguendo le vicende della
protagonista, Agata Primus, conosceremo queste donne di montagna, aduse
alla fatica ma con lo spirito coraggioso e indomito di guerriere.
L’uscita, prevista per fine aprile, è stata purtroppo spostata per causa
dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo».
Dobbiamo aspettarci ancora Teresa Battaglia oppure pensi di cambiare
e gettarti su altro?
«Adesso sto scrivendo il terzo romanzo con protagonista Teresa. Ho idee
chiare sul suo futuro e non prevedono una lunga serie di romanzi. Teresa
è affaticata, è malata: devo rispettare il personaggio. I progetti sul
“dopo-Teresa” già ci sono, con un protagonista di cui non vedo l’ora di
scrivere».
Posso chiederti cosa pensi del self publishing?
«Credo che ognuno debba fare ciò che ritiene meglio per se stesso.
Autopubblicarsi può essere un’esperienza divertente, anche
soddisfacente, per certi punti di vista. Tuttavia, se si vuole scrivere
in modo professionale, l’unico modo è quello di affidarsi a un editore
serio, perché solo lavorare quotidianamente con professionisti del
settore può far imparare il mestiere».
Grazie per il tuo tempo.
«Grazie a te, è stato un piacere».