Telegiornaliste anno XVI N.
27 (644) del 21 ottobre 2020
Ilaria Rossetti, le cose da salvare
di
Tiziana Cazziero
Le cose da salvare, edito da Neri Pozza, raccontare la tragedia
del crollo del Ponte Morandi attraverso l'opera di una giovane ma ormai
affermata scrittrice,
Ilaria Rossetti.
Ciao Ilaria e grazie per questa chiacchierata. Quando hai capito che
la passione per la scrittura poteva diventare qualcosa di concreto e
importante?
«Ho sempre scritto, fin da bambina, ma ho iniziato a farlo più
seriamente in tarda adolescenza. Nel mio caso c’è stato un momento
particolare, la vittoria al
Premio Campiello Giovani nel 2007,
che mi ha fatto capire di voler percorrere la strada della scrittura in
modo concreto».
Le cose da salvare è la tua ultima pubblicazione avvenuta con
Neri Pozza. Parlaci di questo libro e di come sei arrivata a questa
pubblicazione.
«Venivo da molti di anni di silenzio, il mio ultimo romanzo risaliva al
2011: ero allora molto giovane e sentivo di non avere ancora trovato la
mia voce. Avevo quindi deciso di prendermi una pausa dai progetti
letterari e leggere, soprattutto. Nel 2018, finalmente, arriva il
momento in cui mi sento di poter tornare a raccontare una storia. Avevo
in mente di raccontare di legami familiari, del rapporto che ci lega con
le cose e le persone che non appartengono più al nostro presente e del
modo in cui facciamo i conti con i crolli che accadono nella nostra
vita. Come spesso accade quando si comincia a scrivere, queste erano
idee ancora nebulose, poco concrete. Così, il 14 agosto 2018, vedendo
per la prima volta le immagini della devastazione del ponte Morandi, ho
intuito che in quella tragedia poteva esserci non solo la cronaca, ma
anche una potentissima metafora. Nel 2019 ho inviato il romanzo concluso
al Premio Neri Pozza e ho ottenuto la vittoria».
Come nasce Le cose da salvare? Leggendo la trama si evince la
vicinanza alla tragedia del ponte Morandi di Genova, com’è stato per te
scrivere questa storia?
«Ragionando sul crollo del ponte Morandi, mi sono posta una domanda
molto con-creta: se fossi stata tra gli inquilini dei palazzi sotto il
ponte genovese, che dovettero abbandonare in pochi minuti le loro
abitazioni, senza sapere se un giorno avrebbero potuto farvi ritorno,
quali oggetti mi sarei portata dietro? Quali cose avrei salvato? Però
non m'interessava scrivere un reportage sul Morandi o su Genova, perché
sarebbe stato un lavoro diverso, un lavoro giornalistico. Ho voluto
rendere quegli avvenimenti una sorte di archetipo letterario. Il crollo
del ponte è diventato una suggestione fortissima, mi sono chiesta che
cosa poteva rappresentare per un individuo e per una comunità: un ponte
che crolla cosa scatena, oltre a una dinamica di rottura? Mette in
discussione gli status quo? Che cosa collega davvero un ponte e che cosa
significa abitarne le due estremità? Per queste ragioni ho scelto di non
nominare mai il Morandi e di non nominare Genova. Volevo scrivere di un
mondo in cui tutti potessero riconoscersi, allontanarmi dalla cronaca e
dalla sua presa diretta».
Quali sono le tue cose da salvare? Ognuno di noi ha i suoi effetti
più cari, diversi per ciascuno, se fossi tu in quella situazione, quale
sarebbe il primo pensiero? Cosa salveresti?
«Indovina? Non lo so ancora. Nemmeno scrivendo questo libro mi sono data
una risposta, ma forse è meglio così, credo che in quel che ha detto
Javier Cercas una volta, e cioè che il romanzo è il genere che protegge
le domande dalle risposte. Spero solo di saper fare una scelta di cuore
e di pancia».
Parlaci di Petra, la protagonista, giornalista che si trova ad
affrontare il dilemma di un uomo che non vuole rinunciare alla sua casa,
anche se questo significa rischiare la vita in ogni istante.
«Petra è una giovane giornalista, da poco rientrata da Londra, che si
trova ad affrontare il lutto della perdita della madre e l’incarico di
intervistare Gabriele Maestrale. All’inizio non vorrebbe occuparsi di
questa storia, ma dopo le prime reticenze riesce a creare un legame con
Gabriele ed è l’unica che viene autorizzare a mettere piede
nell’appartamento pericolante. E così, Petra e Gabriele, dopo l’iniziale
diffidenza, trovano il modo di parlarsi e capirsi, e forse di trovare le
loro cose da salvare».
Gabriele, che uomo è? Ti sei ispirata a qualcuno in particolare che
conosci?
«Gabriele è un ex professore di scuola media, separato, che il giorno
del crollo del Ponte, mentre tutti gli altri inquilini del palazzo
scappano dagli appartamenti, non riesce a muoversi, perché non riesce a
capire quali siano le sue cose da salvare. È un uomo stanco, che in
realtà ha in serbo ancora delle sorprese: è soprattutto una persona
libera, che ragiona con la sua testa e si mantiene coerente con le sue
scelte. Ed è anche che è un uomo generoso, capace di un potente gesto di
solidarietà verso il prossimo».
Cosa si deve aspettare il lettore leggendo questo libro?
«Sicuramente non deve pensare che sia un libro su Genova e sul crollo
del ponte Morandi, perché – come dicevamo sopra – non lo è. È la storia
di più fragilità che si intrecciano, di persona che provano a stilare un
inventario emotivo della propria vita, iniziando proprio dagli oggetti
che hanno in casa. È la storia di una famiglia, di una città, e anche di
una forma di dissidenza verso lo status quo».
Ci altri personaggi di rilievo nella storia?
«C’è Alfio, il padre di Petra, appena rimasto vedovo, che si trova a
fare i conti con un antico amore riemerso improvvisamente dal passato, e
due donne misteriose che entreranno nella vita di Gabriele, determinando
le sue scelte finali. Ma di più non direi, per non rovinare la sorpresa
al lettore!».
A cosa stai lavorando in questo periodo, puoi accennarci qualcosa?
«Sto lavorando a un nuovo romanzo e ad alcuni racconti, ma ancora non
posso dire nulla...».
Grazie per il tuo tempo, se vuoi aggiungere qualcosa, questo spazio è
tuo.
«Grazie a voi per l’attenzione! Vi auguro un tempo denso di letture e
scoperte».