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Intervista a Annalisa Anastasi (2)   Tutte le interviste tutte le interviste
Annalisa AnastasiTelegiornaliste anno XVI N. 22 (639) del 16 settembre 2020

Annalisa Anastasi, una mamma per reporter
di Giuseppe Bosso

Ritroviamo con piacere Annalisa Anastasi, giornalista friulana che dopo una lunga esperienza televisiva negli ultimi anni ha deciso di mettere in rete, come vedremo, i cambiamenti che l’hanno coinvolta.

Annalisa anzitutto bentrovata. Ci siamo sentiti la prima volta undici anni fa e da allora la tua vita è cambiata non poco, direi…
«Eh, sì. Sono diventata mamma di uno splendido bimbo che oggi ha quattro anni e mezzo, e ho pubblicato da poco un libro dedicato a questo mio percorso, di donna che ama fare tante cose e mettersi continuamente alla prova».

Come nasce il tuo blog Una mamma per reporter e come hai portato avanti questo progetto?
«Tutto comincia in un periodo per me non facile, quando mi sono trovata senza lavoro, una situazione che molti colleghi giornalisti si trovano spesso a dover affrontare, soprattutto in questi tempi di crisi. Ho cercato attraverso il blog di recuperare molte di quelle storie che negli anni ho avuto modo di raccontare, soffermandomi soprattutto su quelle storie positive, di persone che non si sono lasciate abbattere».

Qual è il ritratto della mamma di oggi?
«Partiamo dalla premessa che è sbagliato schematizzare, pensare che ci possa essere una figura tipo di mamma: così facendo si corre il rischio di far sentire ‘sbagliata’, per così dire, chi in questa ipotetica figura non si riconosce; sul mio profilo instagram, lo scorso giugno, ho sperimentato un format chiamato pigiamaparty, in cui ho cercato di valorizzare i talenti che, con la loro creatività, danno un valore aggiunto alla rete e all’arte mettendosi in discussione, che possono spaziare dalla cucina utilizzando prodotti tipici alla creazione di gioielli e vestiti a mano. Quale che sia la forma o l’espressione, alla fine l’importante è che una mamma si senta realizzata, e una mamma realizzata è una mamma felice».

Quale riscontro hai avuto da chi ti ha seguito e in particolare, ovviamente, dal pubblico delle madri?
«Molta partecipazione e interesse. Io ho cercato soprattutto, come ti dicevo, di non schematizzare, di non seguire una scaletta standard nella scelta delle varie storie che ho raccolto, ma di far emergere sempre in ognuna delle mie “colleghe” gli aspetti originali delle loro storie. In particolare, sotto il profilo dell'entusiasmo e del loro talento e, quando mi sono capitate storie legate alla disabilità, di sfuggire al facile pietismo che potrebbe suscitare questa condizione, cosa che le stesse famiglie hanno sempre rifiutato, ma di far emergere la loro voglia di rinascita, di compiere, attraverso queste difficoltà, un percorso di crescita».

Hai anche da poco pubblicato un libro, di cosa parla?
«Come l’orchidea nel cemento – sopravvivere in un mondo che vuole cambiarti, edito da Dialoghi. Tutto è partito nel momento in cui mi sono accorta che il blog era seguito anche da persone sconosciute, che mi hanno scritto per raccontare quei loro momenti privati che non volevano, però, divulgare tramite i social. Il 20% della popolazione mondiale è formato da persone così, particolarmente sensibili, che hanno sviluppato soprattutto il lato destro del cervello e che sono quindi maggiormente empatiche e sensibili al dolore, proprio e altrui, rifiutando di seguire gli schemi e la competizione spietata che la società frenetica vorrebbe imporci. Ed io mi riconosco in questa categoria, alla quale ho voluto dare voce attraverso questo percorso, nella forma di un diario, un viaggio interiore. Camilleri diceva che le parole vere hanno un suono differente; ho da poco iniziato un giro di presentazioni, appena è stato possibile farlo dopo il lockdown che abbiamo vissuto, e sono stata felicissima di incontrare persone che mi hanno detto di essersi riviste, di essersi sentite meno sole leggendo le mie pagine, anche dopo questa dura esperienza che tutti abbiamo attraversato negli ultimi mesi. Ho avuto la fortuna di trovare una casa editrice che crede ancora negli autori emergenti, non necessariamente influencer seguiti da milioni di follower che spopolano così tanto oggi anche in libreria».

Con quali prospettive, da mamma, da donna e da giornalista, stai per affrontare l’autunno dove l’ombra del covid è tutt’altro che sparita?
«Noi giornalisti dovremo prestare particolare attenzione, nei prossimi mesi, a come veicolare le notizie legate al virus. La prevenzione è essenziale, ma non dobbiamo mai dimenticarci che ogni persona ha una sua particolare sensibilità, e che l’impatto di una notizia può essere differente, come del resto ci impone la deontologia».

Chiudiamo con una curiosità: negli ultimi giorni sulla tua pagina Facebook hai pubblicato un post con le foto dei dieci diversi tagli di capelli che hanno accompagnato i tuoi ultimi dieci anni: cosa hanno rappresentato, associati ai vari momenti che hai vissuto?
«Ho sempre amato andare dal parrucchiere, per me è una sorta di vacanza potersi prendere cura di sé in questa vita frenetica. Non amo la palestra, la ginnastica, sono un po' pigra da quel punto di vista, ma resto una buona forchetta. Non ho mai fatto una dieta e non rinuncio a pizza, pasta e gelato. Adoro la cioccolata e la crema al pistacchio. Ho un debole per i dolci. Mio marito mi ha conquistata portandomi una crostata (porzione abbondante). Mi piace cambiare colore e taglio di capelli. In allattamento li ho rasati a zero; ho impiegato anni per farli ricrescere, ma nelle scelte di questo tipo sono assolutamente impulsiva. Non seguo la moda, ma l'istinto. Non è voglia di andare contro modelli proposti a priori, ma di certo faccio fatica ad adeguarmi. Ho un carattere che mi fa compiere, in qualsiasi settore, scelte che non sono mai di convenienza. Faccio quello che sento, dico quello che sento, ignoro cosa significhi agire per interesse. È ciò che apprezza chi mi vuole bene, ma risulta poco consono in una società abituata alle lisciate di convenienza».

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