
Telegiornaliste anno XV N. 13 (595) del 10 aprile 2019
		
		
Remo Croci e la sua battaglia 
					di 
Giuseppe Bosso
					
					Negli ultimi anni, purtroppo, parole come “
femminicidio” 
					sono tristemente diventate familiari sia per i telegiornali 
					che per i programmi di cronaca. Storie tragiche, delitti 
					terribili che quasi sempre si innescano tra vicende dolorose 
					alle spalle e che hanno, per i familiari delle vittime, 
					l’ulteriore amaro epilogo processuale che a causa di una 
					legislazione alquanto premiale anche nei confronti dei 
					responsabili di questi delitti, vede comminare pene in ogni 
					caso sproporzionate per il dolore che hanno lasciato. Lo sa 
					bene
					
					Remo Croci, giornalista Mediaset che ha avuto 
					modo di seguire moltissimi di questi fatti drammatici. E 
					proprio per questo ha deciso di prendere un’iniziativa molto 
					sentita, di cui ci racconta: abolizione del giudizio 
					abbreviato per gli autori di questi delitti. 
					
					
Come nasce questa tua iniziativa? 
					«Ho preso spunto dai fatti di cronaca che seguo da anni; è 
					una vera piaga quella che colpisce queste madri, questi 
					familiari che piangono le loro vittime e nel 90% i 
					responsabili, in sede processuale, scelgono il rito 
					abbreviato; è sicuramente una giusta concessione 
					dell’ordinamento all’imputato in generale, ma in questi casi 
					avviene in modo troppo elastico, non è possibile dare sconti 
					di pena a chi uccide in modo così efferato, specialmente 
					quando le vittime sono minorenni, bambini; non si può 
					accettare questo vero e proprio “premio” a chi toglie la 
					vita a un’altra persona!». 
					
					
In particolare c’è stato un caso che ti ha spinto ad 
					agire così, vero? 
					«Sì, l’omicidio di Noemi Durini, la ragazza pugliese 
					assassinata due anni fa; l’associazione fondata a suo nome 
					mi ha dato lo spunto per l’iniziativa che è partita dalla 
					raccolta di firme via social per chiedere l’abolizione del 
					rito abbreviato per l’omicidio volontario e i reati commessi 
					sui minori. Ma potrei dire che un po’tutti i delitti che ho 
					seguito hanno rappresentato il punto di partenza: il 
					contatto con i familiari, le loro sensazioni, le loro 
					storie… possiamo dire che nella maggior parte dei casi il 
					vero ergastolo, la pena massima, sono loro a subirla, per 
					paradossale che sia, mentre gli assassini beneficiano di 
					sconti di pena. È un aspetto che in un Paese civile e 
					democratico dovrebbe seriamente riflettere». 
					
					
Come intendi procedere? 
					«Anzitutto come ti ho detto con la raccolta di firme
					
					via social; le consegneremo poi alla signora Imma 
					Rizzo, la madre di Noemi, che ha istituito la fondazione in 
					memoria della figlia, a cui seguirà la presentazione agli 
					organi istituzionali preposti. La signora Izzo si sta dando 
					molto da fare, come altri movimenti che seguono questa 
					battaglia con attenzione. Da cittadino, prima ancora che da 
					giornalista e da personaggio pubblico, ho sentito il dovere 
					di agire». 
					
					
Ma ovviamente è sempre la politica che dovrà agire in 
					concreto sulla spinta di questa vostra iniziativa… 
					«È il guaio del nostro Paese. Ma nel momento che sarà la 
					politica a doversene occupare non credo che chi di dovere 
					potrà ignorare la voce che viene dal basso e chiede una 
					riforma. 
					
					
C’è molto della tua esperienza a Quarto Grado di 
					questi anni in tutto ciò? 
					«Sì, la trasmissione è da sempre sensibile alle politiche 
					contro la violenza sulle donne; faccio parte di una squadra 
					che da anni lavora quotidianamente nella consapevolezza che 
					il giornalista non è il “senza cuore” che si tende a 
					pensare, ma una persona che ha testa, che pensa, che ha 
					cuore, e aiuta, indipendentemente dal fatto che venga 
					pubblicizzato o meno. Il dietro le quinte c’è ed è 
					importante. Sono dieci anni che sono inviato in questo 
					programma, mi ha completato nel percorso professionale con i 
					fatti che ho seguito e i servizi che ho realizzato. Ho 
					cercato sempre di essere un giornalista che racconta il 
					fatto di cronaca anzitutto seguendo gli atti processuali, 
					attenendomi alla regola che ho appreso da
					
					Siria Magri, nostro direttore, una collega oltre 
					che amica che è stata importante per i valori che mi ha 
					trasmesso; non vado alla spasmodica ricerca dello scoop a 
					tutti i costi». 
					
					
Remo, come ti senti oggi? 
					«Oggi a 61 anni non mi sento arrivato, penso di dover ancora 
					arricchire il mio percorso, restando sempre nella cronaca».