Telegiornaliste anno XV N.
9 (591) del 13 marzo 2019
Nunzia
D’Aniello: eccomi Nero su bianco
di
Tiziana Cazziero
Incontriamo la scrittrice e giornalista Nunzia D’Aniello,
che ci parla della sua pubblicazione, da poco in libreria,
Nero su bianco.
Ciao Nunzia e grazie per il tuo tempo. Nero su bianco
è la tua prima opera, come nasce questo libro?
«Nasce dall’esigenza di mettere su carta idee e pensieri,
forse anche un vizio considerando la mia professione.
Nero su bianco è più, per quanto mi riguarda, un elogio
ai sentimenti si, ma soprattutto alla libertà di potersi
esprimere e di poter vivere la propria vita lontano da
quelli che possano essere i pregiudizi che purtroppo ci
condizionano da sempre».
Puoi raccontarci come il significato di questo titolo?
Cosa narra la storia?
«Come dicevo poc’anzi
Nero su bianco è una frase che
accomuna forse un po’ tutti i giornalisti. È quello che da
sempre fanno per mestiere e vocazione, la ricerca di una
verità che non possa essere più impugnabile una volta
trascritta su un foglio bianco con un tratto nero; è un
viaggio verso se e/o dentro se attraverso volti, storie e
ricordi, è la storia di 4 donne, ognuna così diversa
dall’altra eppure tutte così intrinseche l’una nell’altra.
Figlie di tempi diversi appartenenti però alla stessa
verità: essere donna cosa significava e cosa significa
oggi».
Quando è arrivata l’ispirazione?
«In realtà è un libro che nasce dieci anni fa, poi
ovviamente è stato ripreso nel tempo. Ogni tanto qualche
piccolo passo aggiunto oppure modificato anche in base poi
alle nuove esperienze fatte e le nuove conoscenze».
Una curiosità che riguarda la prima presentazione del
libro, come mai scegliere Gran Caffè Gambrinus?
«Gran Caffè Gambrinus, che ringrazio ancora per la
disponibilità dimostratami, soprattutto da parte del
direttore Antonio Sergio, è, come ben si sa, uno dei
principali Caffè Letterari di Napoli e forse potremmo dire
anche uno dei più importanti d’Italia. Di qui sono passati i
più grandi scrittori del ‘900, uno tra tutti D’Annunzio,
Oscar Wilde, Ernest Hemingway e ancora il filosofo Benedetto
Croce, Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo... insomma,
rappresenta la cultura, in tutto e per tutto. Non per ultimo
ma perché forse ciò che più mi accomuna a questo posto, è
che proprio lì tra quei tavolini, tra un caffè e l’altro,
Matilde Serao e Edoardo Scarfoglio diedero vita al
quotidiano il Mattino ed essendo una “pseudo giornalista” a
confronto di una delle più grandi scrittrici italiane, è
stato per me un qualcosa di unico. Non avrei mai potuto
immaginare di potermi accomodare a quei tavolini e
presentare una mia opera. Forse dovrei chiedere scusa ai
tanti che sono passati di lì perché davvero non c’è alcun
paragone. Al di là di questo, il mio è un libro che parla un
po’ anche di Napoli e dell’amore per la propria città. E
quando si parla di Napoli, si parla di caffè e per noi
napoletani rappresenta tutto. Fa parte della nostra vita,
della nostra cultura, un elemento fondamentale. Davanti ad
un caffè i suddetti scrittori hanno creato opere memorabili
e nel mio piccolo libro tante parti decisive hanno sullo
sfondo quella
tazzulella e cafè. La voglia, ma
soprattutto la possibilità di poter offrire un caffè, in uno
dei posti simboli della cultura napoletana e non solo,
presentando una mia idea, un progetto».
Sei autrice e giornalista, come e quando nasce la
passione per la scrittura?
«Io credo che nasce con te. Nel senso che ognuno di noi ha
una dote, chi magari più sviluppata, chi meno, chi la
coltiva di più e chi invece la fa morire. Anche quando
magari mi sono un po’ allontanata, non sono mai riuscita a
dirle addio:
è na passione cchiù forte e’ na catena, ca
te turmenta l’anime e nun te fa durmì. E infatti non mi
faceva dormire, io devo scrivere sempre qualsiasi cosa basta
che scrivo... quando non lo faccio, sento un prurito nella
mano, è più forte di me, è l’unica cosa che mi fa stare bene
sul serio. Poi non importa se viene letta oppure no, io devo
scrivere. L’ho sempre fatto e credo che difficilmente
riuscirò a non farlo che si tratti del mio mestiere o
comunque di elaborati, scritti, poesie... io devo mettere
nero su bianco sempre. Questa è la mia libertà».
Quando hai capito che nella vita volevi fare la
giornalista?
«Non lo so – sorride e riprende, ndr – credo che non l’ho
capito, l’ho sempre saputo. Raccontano di me che avevo
presso a poco quattro anni e non sapevo leggere ma mi sedevo
con un giornale in mano rigorosamente al contrario e fingevo
di leggere, inventavo, raccontavo storie».
La tua vita da giornalista come si svolge nella sua
quotidianità. Raccontaci di te.
«Nasco e sono prettamente una giornalista sportiva quindi
diciamo che la mia quotidianità si concentra molto nel
weekend, anche se faccio più cose, sono freelance e quindi
mi occupo anche di portali online. E’ un corri, corri...
sempre, ma non ne potrei fare a meno. A volte mi capita di
stare dinnanzi al pc per 12 ore di seguito, sono stanca
indubbiamente a fine serata, ma il giorno dopo se sono di
riposo, poi mi manca. Non è facile, è un mestiere e un mondo
complicato dove se ne dicono e se ne vedono tante, come si
suole dire o lo odi o lo ami... ed io credo proprio di
amarlo».
C’è qualche personaggio del passato o del presente che ha
ispirato la tua professione? Se sì, chi?
«No, non credo. Forse c’è chi mi ha trasmesso dei doni o
meglio delle passioni ovvero il riuscire in qualche modo a
mettere insieme delle frasi oltre che di senso compiuto che
siano anche gradevoli all’ascolto e poi la lettura, quella
voglia di sapere, conoscere... cose che devo forse molto ai
miei nonni materni. Mia nonna era una divoratrice di libri,
mio nonno invece si dilettava nella scrittura».
Oggi il mondo editoriale è molto complicato e più
difficile rispetto al passato, come vivi la tua esperienza e
cosa pensi dei cambiamenti avvenuti negli ultimi anni?
«Indubbiamente non è facile e soprattutto c’è il rischio e
la paura che questi tanti figli di carta prima o poi
andranno svanendo. C’è chi forse come me non riesce ad
immaginare di poter leggere un libro senza averlo tra le
mani; è impensabile soprattutto se si considera quanto per
un’amante della carta stampata sia di cruciale importanza
l’odore dell’inchiostro su carta riciclata, poterla tenere
tra le mani e toccare quelle lettere sul foglio che si
rincorrono ad una ad una sino a creare pagine e pagine di
libri, giornali e quant’altro. Viviamo nell’era del
consumismo e del dinamismo ma credo che dietro tutto e tutti
noi esistono comunque persone che facciano quel lavoro
primordiale del quale non si può fare a meno, altrimenti le
macchine che fanno? A parte questa filosofia spicciola e/o
qualche idea mia strampalata, posso dire di vivere sia una
che l’altra realtà e di essere a cavallo forse tra quello
che è il conservatorismo di un mondo cartaceo e il futuro di
un web sempre più immediato. Mi occupo sia di uno, che
dell’altro aspetto e sono due mondi seppur di informazione
entrambi ma totalmente diversi con regole e strutture
diverse dedicate a target di persone molto differenti tra
loro. Basta pensare che ho messo al mondo il mio figlio di
carta ma per farlo conoscere a più persone mi avvalgo dei
social e della loro informazione globale e immediata. Credo
quindi che uno non possa sostituire ne vivere senza
l’altro... c’è bisogno di entrambi per darsi forza e vita
insieme».
Digitale o carta stampata? Qual è secondo te il futuro
nel mondo editoriale?
«Non volendo ho anticipato la tua domanda e ti ho già
risposto – sorride e riprende - c’è bisogno di entrambi.
Bisogna crescere, maturare e confrontarsi con altre realtà,
ma non si può dimenticare da dove si proviene. L’origine del
digitale è senza alcun dubbio la carta stampata, il
progenitore di un mondo che ha tanto ancora da evolversi e
da imparare, ma non dimentichiamo che dietro ad un pc ci
sono comunque sempre delle persone che seppur non più a
penna ma su un foglio word mettono assieme parole, concetti,
pensieri...».