Telegiornaliste anno XV N. 21 (603) del 19 giugno 2019
Domitilla
Savignoni, viaggi e sport
di
Silvia Roberto
Tutto inizia in un giornale di quartiere e poi collaborazioni con
agenzie di stampa e quotidiani fino all’arrivo nella redazione del Tg5.
Domitilla Savignoni ci svela i
segreti del suo successo
L’arrivo nella redazione di Mediaset comincia con uno stage, durante
il periodo di gravidanza e l’attesa del piccolo Giulio. Che tipo di
giornalismo avevamo in quegli anni?
«Per me era tutto nuovo. Ero molto giovane e incinta del mio primo
figlio non avevo mai lavorato per una tv: è capitato tutto insieme , una
collaborazione con la Rai (per il programma
Donne al Bivio) e con
il tg5 di Mentana che aveva una redazione nuova e un progetto ambizioso,
sfidare il Tg1 ribaltando le regole del tg classico. Ho cominciato in
cronaca (giudiziaria) il giornalismo di quegli anni era tutto per
strada, a "consumare suole delle scarpe"».
Cosa le è rimasto di più di quella esperienza trasformatasi, poi, in
un vero e proprio lavoro?
«Di quella esperienza mi è rimasta l'emozione e l'orgoglio di far parte
di quella che a tutti gli effetti era la prima "start up" del
giornalismo televisivo, il Tg5, con una grande squadra di giornalisti».
La sua carriera inizia occupandosi di tematiche legate alla sicurezza
e alla Difesa. Nel suo
blog parla
di due passioni che, in quel periodo, stava portando avanti
contemporaneamente, ovvero quella per la danza jazz e la strategia
militare. Come mai questo interesse per il mondo militare?
«Mi piace la storia e la storia è fatta (ahimè) per lo più di guerre.
Forse il mio interesse nasce da lì. Da adolescente leggevo romanzi di
spionaggio e azione, e i reportage di Lucia Annunziata dal centro
America. Poi ho collaborato con il generale Luigi Caligaris, che mi ha
fatto capire quanto le tematiche della sicurezza e della difesa siano
importanti per uno Stato».
È stata autrice, co-autrice e curatrice di diverse pubblicazioni,
come Eurasia e Jihadismo. Guerre ibride sulla Nuova Via della Seta,
e ancora Siria. Il perché di una guerra, un libro scritto insieme
a Matteo Bressan, analista e componente del Comitato Scientifico del
NATO Defense College Foundation. Poi, nel 2018 è uscito il libro Le
nuove vie della Seta e il ruolo dell’Italia di cui Lei è stata
curatrice. Di cosa tratta quest’ultima pubblicazione?
«Il volume
Le nuove vie della seta e il ruolo dell' Italia è il
risultato di un viaggio in Cina nel maggio 2017 invitata dal governo
cinese e del lavoro durato 1 anno e mezzo per organizzare un forum a
Roma alla Sioi (Società Italiana Organizzazione Internazionale) per
presentare il progetto economico cinese di cui, in Italia, ancora non
parlava nessuno».
Nella sua carriera professionale ha viaggiato molto, visitando posti
diversi, alcuni dei quali definiti “pericolosi” dal punto di vista di
sicurezza, terrorismo e altro; è stata in Libia, Kosovo, Israele,
Egitto, Siria, Libano, Arabia Saudita, ma anche Budapest, Pechino,
Washington, Parigi, Cape Canaveral. Cosa le è rimasto più impresso nello
stare in luoghi così diversi dal nostro?
«Io ho sempre amato viaggiare verso l'est e il sud del mondo. Lì dove si
trovano persone molto diverse da noi e che vivono in perenne conflitto.
Del Medio oriente, nei periodi passati in Israele e nei territori
palestinesi, mi è rimasto impresso il mix di violenza e spiritualità che
si trova ad ogni angolo di quelle terre. Ho capito lì che cercare il
buono e il cattivo di una storia è spesso difficile , che l'equidistanza
non è sempre una qualità. Bisogna immergersi nelle situazioni il più
possibile per raccontarle al meglio. Cosa che per i giornalisti, oggi, è
sempre più raro perché si viaggia meno».
Quali sono gli aspetti positivi e negativi (se ci sono) di questa
professione?
«Aspetti positivi del giornalismo sono tanti, oltre a quelli elencati
sopra, praticare il mestiere lontano dalla scrivania ti insegna molto:
impari a gestire l'ansia e il tempo, a capire cosa è superfluo, ad
adattarti a persone e situazioni differenti. Aspetti negativi: oggi si
lavora meno sul campo e sei bombardato di fonti e notizie, capire quelle
attendibili è sempre più difficile».
Qual è, secondo lei, l’ingrediente principale per essere un bravo
giornalista?
«Non uniformarsi mai al senso comune».
Ha alle spalle anche una brillante carriera sportiva. Ce ne vuole
parlare?
«I miei dieci anni di agonismo nella ginnastica sono stati difficili ma
entusiasmanti. La ginnastica ritmica mi ha dato disciplina, rigore,
responsabilità e costanza nel coltivare una passione. Ma mi ha anche
insegnato come si lavora in una squadra, nonostante la competizione tra
i membri l'affiatamento alla fine è fondamentale per raggiungere
risultati».
Se tornasse indietro nel tempo, c’è qualcosa che cambierebbe del suo
percorso professionale?
«Farei un'esperienza in una tv straniera per almeno un anno».
Un aggettivo per definire il suo lavoro?
«Frenetico».
Un colore per definire la sua personalità?
«Azzurro mare, quello senza alghe e non profondo».