Telegiornaliste anno XV N. 17 (599)
del 22 maggio 2019
Catia
Barone, valorizzare la realtà
di
Giuseppe Bosso
Abbiamo il piacere di intervistare questa settimana
Catia Barone,
conduttrice di
Protestantesimo su Raidue.
Come sei arrivata alla conduzione di Protestantesimo e, se
posso chiederti, è stata una scelta che hai preso per tue convinzioni
religiose?
«Sapevo che c'era una posizione aperta e come altri giornalisti ho
inviato il mio Cv e fatto il colloquio. Il credo di ognuno di noi non è
mai stato affrontato né in fase di selezione, né durante le riunioni di
redazione. Poi, certo, devi conoscere in modo approfondito le tematiche
che vai a trattare, così come i giornalisti economici sono esperti di
economia. Il board di Protestantesimo valuta i professionisti per quello
che sono e per le competenze che hanno. Nel mio caso specifico, sono
cresciuta in una famiglia credente. Essere di nuovo in contatto con il
pensiero protestante ha sicuramente riacceso in me la fede e
l'approfondimento di tutti gli aspetti legati ad essa».
Tra gli ospiti e gli argomenti trattati quali sono quelli che ti
hanno maggiormente coinvolta?
«Prima di tutto il ruolo della responsabilità sociale di ognuno di noi.
Ed è incredibile quanto il mondo protestante sia estremamente attivo su
questo fronte, a tutti i livelli: dai singoli volontari ai pastori. Poi,
certo, alcune immagini sono state più forti di altre. Penso ai corridoi
umanitari (il progetto della Federazione delle chiese evangeliche in
Italia portato avanti con la Tavola valdese e la Comunità di
Sant’Egidio). Ma penso anche ai migranti che hanno affrontato la neve e
attraversato il confine con la Francia indossando una maglietta, un
jeans e delle scarpe da ginnastica nei mesi più freddi dell’anno. Alla
fine, Protestantesimo ci consente di essere una lente di ingrandimento
per mettere a fuoco tante tematiche sociali (come la povertà, il
sostegno alimentare, il diritto all'istruzione, la parità di genere).
Sono tutte importanti e, se ci pensiamo bene, rappresentano gli
obiettivi prioritari dello sviluppo sostenibile dell’agenda 2030 (GOALS
1.2.4.5) troppo spesso messi da parte a favore di mode giornalistiche».
La fascia oraria e la programmazione non sono penalizzanti?
«Sono entrata in una fascia oraria già definita, con un pubblico di
tutto rispetto che riconosce la qualità del programma e ci segue.
Secondo gli esperti della nostra redazione l’ultima modifica di
palinsesto è un cambiamento estremamente positivo. Da poco vivo questa
realtà e quindi non la posso valutare. Le dico, però, che i feedback dei
nostri telespettatori su
Facebook non sono cambiati, anzi! Chi prima non riusciva a
vederci, perché la messa in onda era all'una di notte, può finalmente
seguirci di domenica mattina alle 8:10, magari prima di andare in
chiesa. E poi, per i “nottambuli” ci sono sempre le repliche dopo la
domenica sportiva e di lunedì sera. Insomma, ce n’è per tutti!».
In questi anni dove sembrano dominare trash e tv del dolore quale può
essere lo spazio della religione sul piccolo schermo?
«Noi dobbiamo essere l’antitesi della tv trash e del dolore. Ed è questa
la nostra missione e anche il nostro successo. Tante persone ci seguono
e ci ringraziano, indipendentemente dal loro credo, per come trattiamo i
temi più delicati e mettiamo al centro di tutto la dignità della vita e
l’umanità. Se pensiamo che stiamo andando verso una società sempre più
dipendente dall'intelligenza artificiale, è fondamentale concentrarsi e
valorizzare la vita reale, il rapporto con gli altri e la nostra anima».
Rispetto alle tue precedenti esperienze, in particolare alle
inchieste che hai avuto modo di seguire per la trasmissione Petrolio,
hai avvertito differenze dal punto di vista dell’impegno?
«Tutti i progetti che seguo sono estremamente importanti per me. Devo
ringraziare le redazioni per cui lavoro, perché ognuna di loro non si è
mai posta in modo esclusivo nei miei confronti, lasciandomi tutto lo
spazio per poter esprimere la mia professionalità con ruoli diversi
(inviata, autore e conduttrice) e il giusto impegno.
Petrolio è
un programma di approfondimento di Rai 1; il suo obiettivo è raccontare
le eccellenze italiane (il nostro vero “petrolio”). Il conduttore e capo
programma Duilio Giammaria mi ha fatto crescere molto negli anni, fino a
propormi di realizzare un documentario sulla rinascita contemporanea di
Palermo nel 2018. Era una produzione internazionale (
ARTE,
Rai
1 Petrolio e
RaiCom) e volevo a tutti i costi superare i
pregiudizi che si hanno spesso su questa città, soprattutto all’estero.
Ricordo ancora la tensione che ho provato durante il primo incontro con
la referente francese. Dovevamo mostrare le nostre scelte narrative: la
rinascita delle periferie, gli investimenti nell’arte, la nuova vita del
centro storico, la multiculturalità, i suoi personaggi più
rappresentativi. Alla fine è stato un successo! Vedere il carro della
Patrona di Palermo, Santa Rosalia, trainata dalle comunità di indù e
musulmani ha lasciato tutti a bocca aperta».
Quali sono i tuoi prossimi impegni?
«Impegni? Direi più che altro passioni! Ma non chiedetemi di
“spoilerare” i temi dei miei futuri documentari prima del tempo.
Hai mai dovuto accettare compromessi o condizionamenti?
«No onestamente mai. Non so se sono stata fortunata. Mi piace credere
che il modo di pormi con professionalità non abbia lasciato lo spazio ad
altro. Sicuramente non mi sono mai sentita penalizzata dall'essere una
donna in carriera rispetto ai colleghi uomini, perché ho risposto
lavorando sodo e cercando di non perdere tempo in aspetti che non siano
quelli di dare il massimo ai telespettatori».
Dal punto di vista del look segui qualche accorgimento, anche in
considerazione del fatto del particolare contesto in cui stai lavorando
a Protestantesimo?
«Me lo chiedi perché vesto troppo classica? Un po’ fa parte della mia
persona, sono così anche nel quotidiano. Mio marito dice sempre che mi
vesto come Audrey Hepburn! Scherzi a parte, no non ho avuto nessun
condizionamento da
Protestantesimo. La “difficoltà” sul fronte
“resa video” è riuscire ad “azzeccare” le luci giuste quando passo da
una parte all'altra dello studio, e il mio regista lo sa bene!».
C’è spazio per affetti e vita privata?
«Mi sono sposata nel 2016. Quindi sì c’è spazio per tutto! Ho la fortuna
di avere un marito con cui posso condividere anche il lavoro. Lui è un
senior sustainability consultant e insieme abbiamo scritto puntate di
grande successo dal ciclo della plastica, al mondo poco sostenibile
della moda fino alla gestione delle emergenze nei casi di catastrofi
naturali e terremoti».
Ti sei mai sentita imbavagliata?
«Mi sono occupata di ‘Ndragheta in Emilia Romagna, rifiuti, sostanze
chimiche pericolose nei vestiti dei bambini, ma anche del presunto
coinvolgimento di uomini di chiesa nell’omicidio di Willy Branchi. Il
conduttore di
Petrolio Duilio Giammaria mi ha sempre lasciato
tutta la libertà giornalistica di affrontare argomenti così delicati, e
quindi non posso fare altro che ringraziarlo, così come i direttori e i
capiredattori che ho avuto la fortuna di incontrare all’inizio della mia
carriera (da Silvia Sinibaldi del
Corriere a Adriatico, a Marco
Ferri di
Occhio alla Notizia/Fano Tv, fino a Eugenio Occorsio de
La Repubblica). Mi hanno fatto crescere, senza porre alcun
limite. Poi, certo, quando sei libero deve essere la tua etica
deontologica a guidarti. Ci sono dei temi che sicuramente vanno curati
con attenzione perché richiedono il rispetto e il trattamento obiettivo
di tutte le parti chiamate in causa. Sono “terreni” delicati. Quindi,
più che una pressione, c’è la spinta a fare una corretta informazione.
Dall’altra parte non voglio dire che non esistono i condizionamenti.
L'Italia in termini di libertà di stampa è al 46esimo posto al mondo.
Questo perché, in molti casi, un racconto superficiale e di parte è la
cosa più facile da fare. E mi sento di dirlo ancora di più, con l’amaro
in bocca, dopo la recente scomparsa della "voce" dell'informazione
libera Massimo Bordin di Radio Radicale. Un uomo, un professionista, un
esempio per tutti noi».