Telegiornaliste anno XIV N. 17 (564) del
23 maggio 2018
Vera
Gheno.
Ho avuto un'infanzia felice e la racconterò in un libro
di
Antonia Del Sambro
Di origine ungherese Vera Gheno può essere definita una vera e
propria cultrice della lingua e della parola. Sociolinguista,
docente universitaria, curatrice di piattaforme social e
traduttrice ama molto anche leggere per svagarsi.
Vera, leggendo il suo curriculum e tutte le attività in cui
è impegnata c’è solo da farle i complimenti. Ma a lei cos’è che
piace fare di più in assoluto?
«In generale, ho la fortuna di occuparmi prevalentemente di
cose che mi piacciono molto. La mia attività preferita, però,
rimane fare lezione su questioni di lingua. Quello è il momento
in cui mi sento davvero di poter aspirare ad apportare un
contributo a questo mondo, per dirla in maniera altisonante».
Lei gestisce la
pagina Twitter dell’Accademia della Crusca. Questo vuol
dire che anche una istituzione antica, importante e un po’
esclusiva ha ceduto all’universalità dei social?
«Non parlerei di cedimento: la Crusca è sempre stata al passo
con i tempi, da un punto di vista comunicativo, al di là della
percezione che le persone possano averne avuto o averne
tuttora. L'apertura dei profili social si inserisce in questa
prospettiva: usare tutti i canali possibili per dialogare con
le persone. E oggi è evidente: i social sono un contesto
imprescindibile della comunicazione; sta a noi utenti usarli in
maniera costruttiva».
Lei è una sociolinguista e una docente universitaria. A suo
parere come ha fatto il giornalismo italiano a scadere in
articoli approssimativi e scritti davvero male, con
terminologie sbagliate e in alcuni casi evidenti errori
grammaticali?
«Non mi piace fare generalizzazioni. Come in tutti gli
ambienti, anche in quello giornalistico ci sono persone che
curano molto la lingua che usano e persone che peccano di
sciatteria. Sicuramente possiamo notare una certa tendenza a
scrivere un po' come viene, anche da parte dei professionisti
della parola. Su queste capacità comunicative per iscritto
apparentemente ridotte influiscono, secondo me, fattori
diversi. Da una parte, l'enorme aumento nel numero di persone
che scrivono, anche sui giornali. Una volta, i giornalisti
erano davvero un'élite ristretta, superselezionata, mentre oggi
sono molti di più, per cui certi fenomeni diffusi in tutta la
popolazione sono divenuti più visibili. Dall'altra, conta anche
il complessivo arretramento culturale che in Italia è stato
osservato da linguisti come Tullio De Mauro, ma che è visibile
anche nelle statistiche sull'analfabetismo di ritorno che
circolano da anni. Insomma, io penso che le difficoltà a
scrivere siano trasversali alla nostra società attuale, solo
che non erano mai state visibili con chiarezza come oggigiorno.
I giornalisti, in fondo, sono esseri umani come tutti gli
altri!».
Ha scritto e pubblicato due importanti e interessanti saggi
di linguistica, ma se dovesse pensare a un romanzo in che
genere le piacerebbe cimentarsi, qual è il suo autore
preferito, cosa le piace leggere per svagarsi?
«Penso che scriverò un libro sui miei ricordi d'infanzia. Sono
stata una bambina felice e molto stimolata, e vorrei mettere su
carta tutto ciò che mi ricordo dei miei nonni, dei miei viaggi,
della mia vita in generale, anche per non dimenticarne i
particolari. Il mio autore preferito è Neil Gaiman, soprattutto
un romanzo che si chiama
American Gods, assieme a
Murakami Haruki, di cui ho letto più o meno tutto quello che
esiste in traduzione inglese o italiana. Per svagarmi, mi piace
leggere fantascienza; in particolare, amo le storie che
descrivono futuri distopici. Un romanzo geniale è
Seveneves,
di Neal Stephenson: mi sento di consigliarlo a tutti gli amanti
del genere».