
Telegiornaliste anno XIV N. 1 (548) del
10 gennaio 2018
Simone
Toscano, è il giornalismo che ha scelto me
di
Silvia Roberto
Un giovane giornalista, una carriera brillante. La passione
per il giornalismo e per l’informazione, unitamente alla
professionalità, lo hanno fatto approdare in un programma di
punta quale è
Quarto Grado, in onda in prima serata
ogni venerdì sera. Telegiornalista per il canale televisivo
italiano all news Mediaset
Tgcom24. Abbiamo incontrato Simone Toscano che ci
ha svelato segreti, consigli e curiosità del suo lavoro ma
anche della sua vita privata.
Simone perché hai scelto il giornalismo?
«Più che altro è il giornalismo che ha scelto me, perché
sono stato realmente folgorato da questa passione che è poi
divenuta un mestiere, fatto di lento e continuo desiderio di
apprendimento».
Quali sono stati i tuoi primi passi da giornalista?
«Mi viene da dire che sono stati al liceo, con il giornalino
scolastico
Macondo. E poi all’università, dove ho
fondato con altri amici
A”iko, una piccola testata
che ancora esiste e che a noi sembrava già da sola il
coronamento di un sogno. È in quegli anni che ho iniziato le
prime collaborazioni esterne, praticamente con tutto quello
che mi capitava a tiro, dai siti internet ai settimanali e
ai mensili più vari. Mi sono proposto a chiunque. Sono stato
alcuni mesi alla
Gazzetta di Reggio, poi ad una
televisione locale romana che purtroppo non esiste più, Roma
Uno, davvero di qualità. Poi ho frequentato la Scuola di
Giornalismo Lumsanews, un’esperienza fantastica che
consiglio a tutti e che mi ha permesso di diventare
professionista. Tra uno stage e l’altro ho avuto la fortuna
di collaborare con l’attuale società di produzione tv
Freemantle, per cui ho lavorato per la Rai, per La7 e anche
per Mtv, divertendomi e cercando di imparare differenti
linguaggi televisivi. E poi altre collaborazioni sparse qua
e là, con l’inserto cultura de
Il Foglio, con
Tuttoscuola. Scrivere è bellissimo, lo si può fare di
qualsiasi argomento».
In quale momento hai capito di voler fare il giornalista?
«La lampadina si è accesa quando ho visto la prima edizione
del Tg5 di Mentana: una vera e propria rivoluzione all’epoca
(era il 1992, ero un bambino) perché era fatto da giovani e
di giovane (ma al tempo stesso autorevole) aveva anche il
linguaggio. Anni luce dall’informazione Rai, che poi infatti
si è rimessa in gioco ed ha cambiato passo, modernizzandosi.
È nato tutto da lì».
Carta stampata, televisione o radio. Quale delle tre
senti più tua?
«Ripeto, scrivere è sempre appassionante. Nella tv mi
ritrovo perché ti permette di arrivare più nel profondo, di
toccare corde a cui difficilmente la carta stampata può
arrivare, soprattutto considerando la lunghezza media di un
articolo. Per quanto riguarda la radio devo dire che mi
piacerebbe provare e ho qualche idea che mi piacerebbe
approfondire, ma poi direi che nell’elenco manca internet,
che sta diventando sempre più la summa dei primi tre punti:
un po’tv, un po’articolo di carta stampata, un po’radio. Mi
diverto a scrivere le storie che incrocio sul mio blog
Un giornalista nella rete, che è anche il
mio “nick” sul web. E poi per
Huffington Post lascio le mie opinioni e qualche
riflessione più approfondita».
Come sei approdato a Mediaset?
«Sono entrato in Mediaset grazie ad uno stage, tramite la
Scuola di Giornalismo. Non dimenticherò mai la prima volta
che sono entrato in redazione, la gioia. Ci penso ogni volta
che entro nel Centro Palatino, giuro. E ogni volta sono
felice: non importa se ho problemi, mi sento felice di
quello che faccio, ho rotto le scatole all’ufficio stage
della mia università per aprire una convenzione con
Mediaset, convenzione che prima non c’era. Ho insistito
davanti ad una prima occasione sfumata e poi appena c’è
stata la possibilità ho cercato di mettere tutto me stesso
in quello stage. Che per fortuna è andato bene e quindi ne è
seguito un altro. E dopo qualche mese un primo contratto,
poi un secondo e così via».
Sei riuscito a farti conoscere ed apprezzare per la tua
grande professionalità dimostrata nella trasmissione
televisiva Quarto Grado. Cosa ha significato per te
entrare a far parte di questa redazione?
«Ha un significato enorme, perché sono qui dalla prima
puntata e ho imparato tantissimo, davvero. Ho imparato un
metodo e ogni giorno, ogni mese ne imparo un altro
pezzettino. Ho la fortuna di avere come “guida” in questo
percorso
Siria Magri, la
curatrice del programma, che è dedita al lavoro come e più
di ciascuno dei suoi collaboratori, il che si traduce nello
studiare tutti assieme le carte processuali fino a notte
fonda, se serve. Ecco,
Quarto Grado mi ha insegnato
l’importanza dei “documenti”, ovvero che prima di dare una
notizia bisogna cercare sempre (per quanto possibile, ovvio)
di avere una “pezza di appoggio”, una prova insomma.
Altrimenti si fa gossip. E il gossip, quando si parla di
processi e di presunti colpevoli o innocenti, può ferire e
rimanere indelebile».
Sei anche uno dei volti di Tgcom24, conducendo il
programma Prima serata così come il Telegiornale e la
Rassegna Stampa…
«Sono stato a Tgcom24 dal 2012 al 2014, alternando le
settimane di conduzione all’impegno nelle altre testate (e a
Quarto Grado, appunto) e dopo una full immersion
“quartogradesca” sono tornato per la conduzione domenicale,
da circa un anno oramai. Anche qui: esperienza bellissima,
che mi ha fatto crescere e mi ha dato maggiore sicurezza
davanti alla telecamera. L’inizio di un percorso che spero
potrà continuare e crescere ancora. In ogni caso, una
opportunità».
Fare il giornalista, di questi tempi è diventata una
professione “pericolosa”, sia dal punto di vista della
propria sicurezza che della censura. Perché secondo te?
«Perché non si ha più rispetto di questo mestiere. In un’era
in cui sono saltati tutti gli “intermediari”, in un momento
storico in cui tutti si possono autodefinire giornalista,
ecco che chi lo fa davvero, come mestiere, non viene
rispettato. In questo probabilmente ha contribuito anche un
decadimento della serietà professionale della categoria,
soprattutto a cavallo degli anni Duemila. E di sicuro gli
insulti di una certa politica contro i “giornalisti
venduti”, tutti e senza distinzione di sorta, ci ha causato
non pochi problemi, fomentando il risentimento e la violenza
nei nostri confronti. Per una fascia della popolazione
oramai i nemici sono i politici e i giornalisti.
Personalmente mi è capitato di ricevere minacce ma erano
sempre legate a qualche inchiesta “scomoda” e quindi l’avevo
messo in conto. Per quanto riguarda la “censura”, credo che
l’esplosione della precarietà non abbia sicuramente fatto
bene all’intera società, ma è un dato di fatto che su un
settore sensibile come quello della Comunicazione, possa
avere delle ricadute pesantissime. Ci sono intere aziende,
soprattutto in alcuni contesti locali, che si reggono solo
sul lavoro dei precari: un precario è ricattabile, non è
libero. E un giornalista che non è libero è un campanello
d’allarme da non ignorare».
Qual è l’elemento fondamentale da possedere per essere un
buon giornalista?
«Non lo so, ognuno probabilmente ha il proprio “segreto”. Io
credo che si debba mettere in primo piano il rispetto e la
trasparenza. Cerchiamo sempre di metterci nei panni dei
protagonisti delle storie che raccontiamo, dalla Cronaca
alla Politica, e pensiamo quali ricadute possono avere le
nostre parole su tante vite. Rispetto, onestà e caparbietà».
Se potessi tornare indietro cambieresti qualcosa nel tuo
percorso giornalistico e formativo?
«Credimi, sono davvero felice di quello che faccio, non
potrei chiedere di più, soprattutto considerando la
difficile situazione economico-professionale che c’è in
Italia. Sono fortunato. E se c’è qualcosa di diverso che
vorrei fare, penso sempre che ho tutta una vita davanti per
nuove sfide, per nuovi sogni. Ne ho tanti, e tanta voglia di
realizzarli. Senza sogni cosa saremmo?».
Nel 2015 è stato pubblicato il tuo libro Il Creasogni.
Cosa hai voluto raccontare e quale è il messaggio che hai
voluto trasmettere ai lettori?
«Proprio quello di cui ti parlavo: l’importanza dei sogni.
Non importa che siano grandi o piccoli. Un sogno non
corrisponde necessariamente ad una impresa insormontabile:
si sognano anche le piccole cose. Anche una carezza dalla
persona che amiamo, un sorriso, un complimento. Una giornata
serena. Ecco, il
Creasogni è un uomo che ha il dono
stupendo di saper creare sogni per chi ha perso questa
capacità. E nel romanzo – il mio personalissimo
Piccolo
Principe – si riscopre quello che da bambini sappiamo
fare ma che diventando adulti perdiamo: l’importanza delle
piccole cose, degli affetti. E, appunto, dei sogni.
Personalmente spero non mi mancheranno mai».
Nella vita extraprofessionale chi è Simone Toscano?
«Gli argomenti di cui parlo nel lavoro sono così seri che
nella vita privata sono un “battutaro” patologico. Per anni
ho avuto un gruppo musicale (da un po’ in “pausa”) e poi
assieme ad altri amici ho una associazione culturale che
gestisce un portale dedicato alle culture giovanili. Sono un
fan sfegatato di
Star Wars, a cui ho dedicato anche
un racconto intitolato
Yoda mi ha detto, pubblicato
nell’antologia
Reflusso Crossmediale. Ah, mi
piacciono i viaggi, da impazzire».
Come ti definiresti attraverso un aggettivo?
«Spero di potermi definire tendenzialmente onesto. Quanto
meno è un punto verso cui tendere, ecco».
Consigli per gli aspiranti giornalisti?
«Non ascoltate chi vi dice di cambiare mestiere. Non
ascoltate chi vi dice che senza una raccomandazione non
andrete da nessuna parte. Puntate sulla serietà, sullo
studio e sul (tanto) lavoro. È un mestiere fatto di impegno
e di passione. Non peccate di presunzione e ascoltate i
consigli».