Telegiornaliste anno XIV N. 4 (551) del 31 gennaio 2018
Leonardo
Panetta, dalla cronaca nera a Bruxelles
di
Lisa Pinto
Questa settimana su Telegiornaliste incontriamo nuovamente
il giornalista
Leonardo Panetta, ad oggi corrispondente Mediaset
da Bruxelles.
Come si svolge una sua giornata tipo come corrispondente?
«Ho iniziato il mio lavoro da inviato da Bruxelles a
settembre del 2016. Non c’è una vera e propria giornata
tipica poiché il mio ruolo qui è sia da corrispondente che
da inviato, mi divido tra giornate cadenzate ad altre in cui
il ritmo è più frenetico e spesso a spostarmi anche per
tanto tempo; è capitato a settembre, quando ho seguito le
primissime fasi del referendum in Catalogna, dove sono
rimasto per quasi due mesi oppure l’anno scorso quando sono
stato in Siria per un’intervista al Presidente Assad. Ho
cercato comunque di evitare una routine consueta , Bruxelles
è al centro dell’Europa ed essere corrispondente consente
una conoscenza approfondita di tanti temi».
L’Europa, come la segue lei da Bruxelles, non è
propriamente unita, e lei può raccontarlo avendo seguito
anche le proteste in Catalogna, con la richiesta si
indipendenza dalla Spagna.
«L’Europa si divide su tanti temi, in quanto istituzione
cerca di esprimere, con il lavoro della Commissione europea
e del Parlamento, una posizione condivisa, però sul
Consiglio europeo i singoli governi incidono tanto. Per la
questione della richiesta di indipendenza della Catalogna,
l’Europa ha trovato una forma di compattezza, sottolineando
l’ importanza, soprattutto in questo momento, di non perdere
pezzi per strada ed una richiesta come quella formulata
dalla Catalogna avrebbe potuto indebolire la Spagna che è
uno dei paesi più grandi d’Europa. Ho avuto modo di notare
quanto l’Europa, con la Brexit prima ed il referendum della
Catalogna poi, di fronte alla minaccia reale di disunione,
si sia dimostrata più compatta rispetto ad altre
situazioni».
Facciamo un passo indietro, nel 2006 è entrato a far
parte della redazione di
Studio Aperto, tg di Italia 1: le manca il
giornalismo fatto tra la gente?
«Bisogna dire che tutto quello che impari sul campo, alcune
astuzie giornalistiche o il contatto con le persone lo
ritrovi anche se cambi città o ‘settore’: credo che il
seguire la cronaca nera, e la cronaca in generale, sia una
vera e propria scuola che fornisce strumenti ed insegnamenti
che non abbandoni più. Non mi manca perché in tante cose che
ho affrontato in questo ultimo anno, tutto ciò che ho
imparato trattando di cronaca nera, mi è rimasto. Secondo me
nel giornalismo è un metodo che declini a seconda delle
situazioni, ho sempre amato di questa professione l’aspetto
‘umano’, il rapporto con le persone, la conoscenza delle
storie. Rispetto a quando mi occupavo dei casi di cronaca,
adesso, quando torno in Italia, c’è meno “curiosità”
rispetto al mio quotidiano, le notizie di cronaca, si sa,
hanno sempre una cassa di risonanza ed interesse maggiore e
mi rendo conto che quello attuale è un percorso diverso».
Internet ed i social network hanno cambiato il modo di
fare notizia, che ripercussioni ha avuto ciò nel mondo del
giornalismo tv?
«In un primo momento l’avvento di Internet nell’ambito
giornalistico veniva visto con timore, quasi come un
antagonista, mentre ora, il mondo dei social in particolare
non può essere totalmente distaccato ma ha integrato la
comunicazione e si è iniziato a cavalcare questo aspetto. Da
giornalista, pur non aggiornando spesso i miei canali
social, trovo molto utile Twitter per la sua immediatezza ed
è molto più utile di un classico biglietto da visita, in
ambito europeo per esempio è molto utilizzato. I social
network hanno consentito di arrivare più facilmente alle
notizie ed alle persone, un veloce strumento di lavoro.
Internet non sostituisce l’informazione ma integra ed
arricchisce con vari contenuti le notizie. Per la carta
stampata il discorso è differente, i giornali si leggono
sempre meno, da qui a vent’anni si venderanno sempre meno
giornali, ma l’editoria va sostenuta ed è necessario trovare
un modo di modificare questa tendenza. L’Italia ha una
popolazione più anziana della media, siamo in una fase di
transizione ed in questo momento non è completamente
possibile sostituire i giornali con internet. Sono due
modelli complementari».
Dopo la laurea in comunicazione ha frequentato la scuola
di giornalismo dell’Università IULM di Milano, quali
consigli si sente di dare ai giovani che vogliono
avvicinarsi a questa professione?
«Non sono disfattista in merito, è un mestiere che è
cambiato tanto negli anni ma continuo a pensare che,
rispetto all’Italia, in questo momento è difficili fare
qualunque lavoro, l’importante è fare ciò che piace, perché
i sacrifici e le difficoltà non mancano, tanto vale farlo
per il lavoro che si ama e sogna fare. Io ho frequentato la
scuola di giornalismo e di sicuro mi ha consentito di
riuscire a stabilire contatti che con le mie forze sarebbe
stato difficile raggiungere. La gavetta è fondamentale ma è
importante oggi, per come è concepito attualmente la
professione di giornalista: costruirsi il personaggio,
iniziare a scrivere e crearsi un seguito e cercare di farsi
notare e creare attenzione ed i social network ad esempio,
danno un valido aiuto. Paradossalmente, mai come in questo
momento storico, il settore della comunicazione è molto
versatile ed essere elastici in questo ambito dà possibilità
maggiori ma ha acquisito col tempo più potere e strumenti,
che non aveva fino a dieci anni fa. L’importante, qualunque sia
la propria passione è provarci!».