Telegiornaliste anno XIV N.
7 (554) del
21 febbraio 2018
Emanuele Ruzza, il mio esordio con Avati,
e su Cassel dico che...
di
Giuseppe Bosso
Apprezzato doppiatore e attore, incontriamo
Emanuele Ruzza, che ci parla della sua carriera e
dice la sua sulle recenti polemiche legate alla sua
professione dopo le affermazioni di Vincent Cassel a
Che
tempo che fa.
Ricordi il tuo primo doppiaggio?
«Certamente, era il 2004, Pupi Avati cercava dei ragazzi per
delle integrazioni di doppiaggio in un suo film. Ricordo
bene quanto mi sentissi un pesce fuor d’acqua, tutto quello
che stavo studiando in Accademia mi sembrava lontanissimo da
ciò che vedevo fare dagli attori doppiatori in sala.
Fortunatamente lo convinsi e iniziai a collaborare con lui,
presi parte anche come attore a un paio di suoi film».
Uno dei tuoi ultimi lavori è stato il reboot di una serie
cult degli anni’80-90, MacGyver: come hai vissuto
questa esperienza?
«È stato bellissimo,
MacGyver è un simbolo della mia
generazione, quando mi comunicarono di aver vinto il provino
per me è stata un’emozione indescrivibile. Il reboot
mantiene lo stile classico del franchise anni ‘80,
aggiungendo un pizzico di azione e frenesia in più, con la
giusta dose di umorismo e personaggi molto ben
caratterizzati».
Sei anche volto di popolari fiction come Un medico in
famiglia o Che Dio ci aiuti: passare dalla sala
doppiaggio al set che cambiamento comporta?
«Il cambiamento è netto, sono esperienze completamente
differenti.
Sul set sei il primo a dar vita a un personaggio, hai
studiato la parte, hai immaginato i movimenti, sei truccato,
hai i costumi di scena addosso e la scenografia a fare da
contorno. In sala doppiaggio vedi il copione per la prima
volta, hai qualche minuto per comprenderne il senso e
recitare in sincronia con la bocca di un altro attore che ha
già interpretato quel ruolo, sei limitato nei movimenti,
addosso hai i tuoi vestiti di sempre e sei al buio. È un
lavoro di immedesimazione pazzesco, unito alla mimesi vocale
e interpretativa».
Grande popolarità ha avuto in Italia la soap turca
Cherry Season di cui hai doppiato il protagonista Ayaz,
amatissimo dal pubblico femminile: ha portato popolarità
anche a te essere la voce italiana di questo personaggio?
«Altroché, devo moltissimo a Serkan Çayoğlu, ricordo ancora
l’estate del 2016, venni sommerso da richieste di amicizia e
follow su tutti i social, approfittai delle ferie per
rispondere a tutti. Sono ancora in contatto con la maggior
parte di queste persone, e tra una pausa e l’altra cerco di
soddisfare le richieste più disparate, dalle curiosità sul
doppiaggio della serie a piccole clip vocali. Ricordo col
sorriso una ragazza che mi chiese di registrarle un
messaggio che avrebbe impostato come suoneria per la
sveglia. Chissà se avrà imparato a odiarmi nel
frattempo...».
Il mondo del doppiaggio negli ultimi mesi è stato messo
duramente sotto accusa da Vincent Cassel: cosa ti ha
suscitato questa presa di posizione?
«Durante la trasmissione di Fabio Fazio
Che tempo che fa
Vincent Cassel ha parlato del doppiaggio in Italia
definendolo come un problema più che un abitudine: si
riferiva al fatto che non fosse possibile scegliere di
vedere un film in versione originale al cinema, e forse non
ha tutti i torti, come non li
aveva Italo Calvino già nei primi anni ‘80, che cito “
mi
piace vedere i film in versione originale, cosa impossibile
in Italia: è una prova di barbarie italiana credere che un
film doppiato equivalga a un film che parla la propria
lingua”; il doppiaggio, a mio parere, è e sarà sempre
“opera altra”, un’imitazione dell’originale, superlativa o
mediocre che sia. È un artificio, un servizio, un’eccellenza
del genio e dell’artigianato, talvolta industria, ma pur
sempre frutto del lavoro di migliaia di tecnici e
professionisti di altissimo livello, che non hanno alcuna
pretesa di sostituirsi al talento degli interpreti originali
di un’opera. Oggi è molto più semplice guardare contenuti
originali, possiamo cambiare lingua e aggiungere o meno i
sottotitoli persino sul digitale terrestre che non ha
bisogno di internet, per non parlare dei vari servizi di
streaming ormai alla portata di tutti. Il grande scoglio in
questa possibilità di scelta resta ancora il cinema, le sale
che proiettano in V.O. sono ancora troppo poche, soprattutto
al di fuori dei grandi centri. I distributori dovrebbero
fornire più copie in lingua originale, in modo tale da
sdoganare questo falso mito e permettere a tutti di
scegliere. Non bisogna commettere l’errore di pensare ai
film in lingua originale solo
come un
vezzo da intellettuali, pensate anche ai
milioni di turisti che ogni anno visitano il nostro paese,
agli studenti in Erasmus, a chi semplicemente è bilingue e
ha voglia di vedere un film con tutta la famiglia, o a chi
come Calvino pur non comprendendo la lingua straniera
vorrebbe soltanto godersi
quel più di potenzialità
musicale. Evitiamo di chiuderci in inutili campanilismi,
Italians do it better? Dimostriamolo! Magari il
doppiaggio verrà apprezzato anche di più».
Dove potremo “ascoltarti” prossimamente?
«L’8 febbraio è uscito in tutte le sale italiane l’ultimo
lavoro di Clint Eastwood,
The 15:17 to Paris (
Ore
15:17 - Attacco al treno) dove ho doppiato uno dei tre
protagonisti, Alek Skarlatos. È tratto da una storia vera,
molto intensa, e interpretata dagli stessi ragazzi che
rimasero coinvolti in un attentato su un treno per Parigi
nel 2015. Il 22 febbraio uscirà
The Disaster Artist,
il film, diretto, prodotto e
interpretato da James Franco, che è basato sul libro
The
Disaster Artist: My Life Inside The Room", e che ha
ottenuto una candidatura a Premi Oscar e vinto un Golden
Globe; ho avuto il piacere di essere stato scelto come voce
italiana di John Early, che avevo già doppiato in
Wet Hot
American Summer. In questo film molto particolare
interpreta il ruolo di un casting director di un’agenzia tra
le più famose di Hollywood diretta da Iris Burton,
interpretata da Sharon Stone».
Cosa farà Emanuele da grande?
«Mi auguro di continuare a divertirmi, amare il mio lavoro e
la mia vita. Magari con qualche responsabilità e qualche
ruga in più ».