Telegiornaliste anno XIV N.
9 (556) del
7 marzo 2018
Angela
Caponnetto. Minacce e insulti non mi fermeranno
di
Giuseppe Bosso
Abbiamo il piacere di incontrare
Angela Caponnetto, giornalista di
Rainews.
Com’è arrivata in Rai?
«Dopo essermi laureata in Lingue straniere nella mia città, Palermo, ho
passato la selezione per entrare all'Istituto di Formazione al
Giornalismo di Urbino dove periodicamente si fanno stage in diverse
aziende e settori. Io li ho fatti in Rai. Mesi di gavetta senza
guadagnare un centesimo. Poi ho avuto diverse proposte di lavoro e ho
cominciato a lavorare per i programmi delle tre Reti Rai ma senza
regolare contratto giornalistico. Nonostante non fossi inquadrata come
giornalista, facevo l'inviata a
La Vita in Diretta,
Chi l'Ha
Visto?,
Agorà. Alla fine ho fatto causa e l'ho vinta. Negli
anni della causa, sono stata fuori dall'azienda e ho lavorato come
inviata per la rubrica economica di Skytg24
MiaEconomia. Dopo
oltre 15 anni di precariato e di incertezze, nel 2011 ho avuto il primo
contratto regolare in Rai e oggi sono a tutti gli effetti un'inviata di
RaiNews24».
Si è occupata spesso di temi “scomodi” come mafia e immigrazione,
ricevendo anche spesso minacce, come è capitato lo scorso anno in
occasione del venticinquesimo anniversario della strage di Capaci:
queste situazioni non le hanno mai fatto pensare di cambiare strada?
«No, non vedo perché dovrei. Credo che il nostro lavoro non debba essere
subordinato a minacce o intimidazioni. Ora per esempio arrivano minacce
e insulti di stampo razzista per il mio lavoro sull'immigrazione. Questo
vuol dire che sono sulla strada giusta: più mi attaccano più mi viene
voglia di andare avanti. Non si deve aver paura quando si è convinti
della funzione pubblica del lavoro svolto. Certo preferirei ci fossero
gli strumenti e le misure per proteggere gli operatori dell'informazione
a rischio. Devo dire che negli ultimi tempi la categoria sta facendo
cerchio attorno ai colleghi coinvolgendo anche le istituzioni che in
diversa misura sono sotto pressione e questo ci fa sentire tutti molto
più forti».
L’immigrazione è un tema che ha molto segnato la campagna elettorale:
ha avvertito volontà di affrontare la problematica nel modo più
corretto?
«La tematica dell'immigrazione viene usata in modo inappropriato da
molti politici. E spesso alcune testate giornalistiche hanno cavalcato
la speculazione di certa politica verso il fenomeno migratorio. Io ho
avuto la fortuna (o la sfortuna) di entrare dentro questo mondo, di
viverlo intensamente, dagli sbarchi ai salvataggi in mare sia con le Ong
che con le navi militari, e di andare anche nei luoghi da cui partono
migliaia di persone dall'Africa. Sono anni che studio il fenomeno
seguendone tutte le fasi e questo mi ha permesso di capire e di provare
a dare le informazioni più corrette. Spesso però la contro-informazione
annulla ogni tentativo di informare correttamente: quel genere di
"giornalismo" è estremamente pericoloso perché scatena la parte più
becera e oscura della gente. Basti pensare ai fatti di Macerata dove si
scatena la rappresaglia a colpi di pistola contro persone di colore solo
perché la vittima è bianca e i carnefici di pelle nera. È come se
qualcuno oggi decidesse di fare una rappresaglia contro tutti quelli che
portano una divisa da carabiniere per vendicare la donna di Cisterna di
Latina e le sue bambine. Pensiamo anche all'omicidio del giornalista
slovacco che indagava sulle infiltrazioni della 'ndrangheta nel suo
paese: sono stati arrestati sette italiani. Ora cosa dovrebbero fare gli
slovacchi? Prendersela con tutti gli immigrati italiani?
Quello che viene percepito nel nostro paese a causa di un' informazione
distorta ha scatenato un malessere ingiustificato nei confronti di chi
ha la pelle di un colore diverso senza mai affrontare la problematica,
seria e concreta, dell'accoglienza per chi è comunque già arrivato nel
nostro paese e non si può certo rimandare indietro, come vorrebbero
farci credere alcuni politici in cerca di voti. Dall'altra parte
raccontare le migrazioni con pietismo o con un messaggio "buonista"
prima di critica e di dovuti interrogativi è ugualmente sbagliato. Sento
perciò l'esigenza di trovare un nuovo linguaggio per spiegare le
migrazioni di questo secolo. Un linguaggio che ossa arrivare alla gente
ma anche alle istituzioni. Perché le soluzioni noi giornalisti le
possiamo individuare, suggerire ma poi l'operatività resta alle
istituzioni competenti».
Quali sono state le esperienze che hanno maggiormente segnato il suo
percorso?
«Tante, davvero tante. Non c'è un caso che non abbia segnato il mio
percorso professionale. Di sicuro, le stragi di mafia a Palermo quando
ero ancora ragazzina e che mi hanno fatto scegliere di fare questo
mestiere. Negli ultimi anni però ci sono delle storie che mi sono
rimaste nel cuore e altre che mi hanno fatto crescere. Dall'inchiesta
sul crack del Monte dei Paschi a Siena, al naufragio della Concordia che
ho seguito sia per la giudiziaria in tribunale a Grosseto, a Firenze e
in Cassazione a Roma, sia all'isola del Giglio in tutte le fasi del
recupero delle 32 vittime, il sollevamento e la rimozione della nave.
Un'esperienza davvero indimenticabile dal punto di vista professionale e
umano. La crescita più incisiva però è stata proprio nel settore
dell'immigrazione che racchiude tante di quelle sfaccettature che a
volte non si riesce a lasciare spazio ad altro. Seguendo il fenomeno
migratorio infatti ci si muove in diversi settori in Italia e all'Estero
dove operano organizzazioni criminali internazionali e nazionali. Dove
c'è un mondo solidale che può essere vero o di facciata. Ma c'è anche
un' umanità enorme che - se conosciuta - ti fa capire perché è giusto
parlarne e parlarne correttamente. Le esperienze umane fatte lavorando
sulle migrazioni mi hanno lasciato il segno. Ho incontrato decine di
persone eccezionali che lavorano per il bene comune a prescindere dal
colore della pelle e della religione. E ci sono loro, i migranti, i
profughi, i rifugiati e i richiedenti asilo. Un mondo dal quale si può
apprendere moltissimo: cominciando dalle loro singole storie per
comprendere poi anche le dinamiche che costringono molte persone a
fuggire da paesi che non risultano ufficialmente in guerra. E ho anche
trovato molti nuovi amici di ogni nazionalità e colore nel mio percorso
professionale».
Negli ultimi anni abbiamo visto spesso programmi come Le Iene
o Striscia la notizia affrontare inchieste “scomode”, con ciò
ponendosi quasi in competizione con il giornalismo “tradizionale”: non è
in qualche modo squalificante per il giornalismo il fatto che programmi
indirizzati all’intrattenimento si occupino anche di questi argomenti?
«Credo sia squalificante per chi fa giornalismo sensazionalistico non
per chi lo fa seriamente. È il pubblico, il cittadino che deve e può
scegliere. Io, come tanti altri, continuo a fare il mio lavoro come l'ho
sempre fatto, basandomi sull'etica professionale e di certo non mi sento
squalificata dalla presenza di colleghi che hanno scelto di fare altro.
A ciascuno il suo direbbe Pirandello e
ai posteri l'ardua
sentenza direbbe Manzoni».
Nei giovani e soprattutto nelle giovani ragazze che si stanno
avvicinando al giornalismo rivede il suo modo di affrontare la
professione ai suoi inizi?
«In qualcuno leggo la passione, il guizzo, la curiosità e quello che io
chiamo "il cuore". Elementi senza i quali il lavoro giornalistico rimane
in superficie. I tempi sono cambiati, oggi il mondo del giornalismo è
inflazionato, c'è tanta concorrenza e pochi posti di lavoro. Però sono
certa che chi possiede queste qualità ce la farà».
È molto apprezzata, come potrà vedere,
dai nostri lettori, anche per il suo look sobrio: è il suo modo di
essere anche nella vita quotidiana?
«Beh, gli argomenti che tratto sono piuttosto seri e sarebbe inopportuno
un abbigliamento frivolo. Penso che bisogna portare rispetto sia ai
protagonisti delle storie che raccontiamo sia al pubblico a casa.
Ordinati e di aspetto gradevole, secondo me, bisogna esserlo sempre:
però non siamo noi protagonisti perciò preferisco non eccedere con un
abbigliamento appariscente. Immaginate di trovarvi su una nave durante
un soccorso di un gommone in mezzo al mare: si pensa solo ad indossare
l'equipaggiamento di bordo non certo a truccarsi e a pettinarsi.
Nell'ultima trasferta ero preoccupatissima perché non avevo trovato
altro che una giacca a vento grigia con un cappuccio rosa elettrico:
trovavo il giacchino troppo vistoso ma non avevo alternative. O quello o
niente.... se si va ad un evento istituzionale risolvo con un blazer e
noi si sbaglia. Quando invece devo condurre uno speciale in studio, sono
supportata dai truccatori e dai parrucchieri Rai. L'abbigliamento
elegante ma sempre sobrio, adatto all'argomento e agli ospiti
intervistati. Per me ė una forma di rispetto. Nella vita privata io sono
solare e allegra: amo la vita, il buon cibo, un buon bicchiere di vino,
ridere, scherzare, ballare e... anche cantare. Ovviamente mi sento molto
più libera di vestire a seconda delle circostanze così come del mio
umore. Insomma, mio armadio è buono per ogni eventualità!».
Cosa si aspetta dal futuro?
«Bella domanda. Non lo so. Ho tanti progetti, tante idee. Chissà quali
riuscirò a portare a termine. Ancora non mi sento pronta per appenderle
scarpette al chiodo. Ho rinunciato tempo fa alla conduzione fissa perché
volevo fare l'inviato, volevo stare per strada in mezzo alla gente. E
ancora non riesco a smettere. Però mi piacerebbe un giorno condurre un
programma, magari una rubrica in cui si spiegano le migrazioni con un
linguaggio e una formula diverse dai soliti. In testa poi mi frulla da
tempo di scrivere un libro su un'esperienza vissuta in prima persona
proprio seguendo le migrazioni in questi ultimi anni. Un storia nata con
un bigliettino di carta con su scritto il mio nome: un "pizzino" che ha
cambiato la vita di un ragazzo africano minorenne conosciuto a bordo
della nave che lo ha salvato nel 2016. Una storia che ha
dell'incredibile i cui pochissimi sono al corrente. Solo che io cento ne
penso e due ne faccio. Vedremo. Oggi mi gira così, domani? Potrei già
aver cambiato idea....».