Telegiornaliste anno XIII N. 37 (547) del
20 dicembre 2017
L’emozione ha due voci:
Alessandro Budroni e Valeria Vidali
di
Daniela D’Angelo
Quando due voci unite plasmano la sinfonia e la passione dei
sentimenti, l'ascoltatore riesce a nuotare nel mondo da loro
creato, dimenticando le fatiche del quotidiano e lasciandosi
sommergere da questa magia. Questo è il mondo del doppiaggio
e a svelarcelo sono due grandi artisti, attori e doppiatori,
Valeria Vidali e
Alessandro Budroni, una coppia affiatata sia nel
lavoro che lontano dai microfoni, che ha saputo donare le
proprie voci ai personaggi che tanto hanno fatto sognare
grandi e piccini.
Essere doppiatore significa immedesimazione nel
personaggio, quindi riuscire a trasmettere con la sola voce
gli stati d'animo da lui provati. Secondo la vostra
esperienza quanto è determinante la voce per la
caratterizzazione del personaggio?
ALESSANDRO. «In linea teorica, sicuramente la
vocalità di un personaggio è molto importante per la sua
determinazione, anche se non fondamentale. La cosa che credo
sia più importante è l'aderenza recitativa. Il nostro lavoro
è quello di seguire il lavoro fatto dall'attore in
originale, dobbiamo cercare di "tradurre" in italiano lo
studio che l'interprete ha fatto sul suo personaggio.
Praticamente parlando devo dire che quando vengo assegnato a
un ruolo, cerco di seguire il più possibile la voce
originale. Tra i compiti di un attore c'è anche quello di
scegliere il modo di parlare del proprio personaggio, quindi
io cerco di rispettare al massimo le sue scelte, cercando di
avvicinarmi il più possibile al suo timbro e alla sua pasta
vocale. Mia moglie dice che sono un "maledetto camaleonte".
Spero che sia un complimento».
VALERIA. «La voce è uno strumento, ogni voce suona in
modo diverso ed è molto personale, quindi è ovviamente
importante, anche se, a mio parere nel nostro caso, è molto
importante come si recita. Ognuno di noi cerca di capire
come quell'attore ha sviluppato il personaggio e il
"sentimento" che sta recitando per ricrearlo il più
fedelmente possibile, quindi si cerca sempre, laddove è
possibile di seguire anche la vocalità».
Quando viene affidato un lavoro di doppiaggio, la scelta
della "voce" ricade sulla decisione di renderla quanto meno
vicina all'originale oppure su altri criteri?
A. «Dipende. A volte i ruoli vengono assegnati dopo
aver sostenuto un provino. In questo caso i criteri di
giudizio sono principalmente due: l'aderenza vocale a quella
dell'originale e la capacità interpretativa. Altre volte
invece l'assegnazione va per "categorie vocali", ovvero si
cerca di affidare un personaggio a una voce che renda al
meglio le sue caratteristiche fisiche o morali. La mia voce
per esempio non è certo pulita, rotonda, bensì abbastanza
"graffiata", per cui si abbinerà meglio a un cattivo o a un
personaggio ruvido, come Jim Hopper di
Stranger Things,
piuttosto che a un lord inglese. Poi c'è un altro criterio,
che è quello che tende a prediligere le inclinazioni
attoriali: ci sono alcuni doppiatori che rendono meglio sui
ruoli da eroe, altri su quelli da antagonista. Io preferisco
doppiare quelli sporchi e cattivi, anche perché,
diciamocelo, tra Lex Luthor e Superman, sicuramente il primo
ha più sfaccettature; per un attore è molto più
divertente!».
V. «Questa è una scelta che viene fatta dal direttore
di doppiaggio, sarà lui a decidere se ci sono attori con
vocalità simili a quelle dell'originale e se richiesto si
faranno dei provini, se non richiesto il direttore sceglierà
l'attore più adatto a rendere quel ruolo più simile
all'originale. Il direttore è un ruolo molto importante per
la riuscita del doppiaggio di un film e le scelte da dover
fare sono molte e importanti».
Quando vi viene affidato un personaggio, quanto tempo
dedicate allo studio della sua caratterizzazione vocale?
A. «Purtroppo non c'è tempo per studiare la
caratterizzazione vocale. Quando veniamo convocati, ci viene
detto al massimo il titolo di quello che doppiamo doppiare o
il nome del personaggio, ma non vediamo mai niente prima di
entrare in sala. Quando si arriva al turno, il direttore ci
spiega il ruolo e ci presenta le sue peculiarità. A quel
punto ci si adegua al lavoro fatto dall'attore in originale.
Per quanto mi riguarda, io cerco di avvicinarmi sempre il
più possibile alla vocalità dell'attore, ma non è sempre
necessario. Quello che è più importante è restituire al
pubblico lo spirito del personaggio, la sua "anima", le sue
sfaccettature emotive».
V. «Non abbiamo molto tempo, nel momento che si entra
in sala il direttore di doppiaggio ci spiega il film o la
serie e ci spiega il personaggio che andremo ad
interpretare. Spesso i primi anelli sono di studio. Magari
cerchiamo di legare più anelli per studiare il personaggio
in toto, per capire come l'attore in originale si muove in
quel ruolo, per osservarlo».
Qual è il personaggio a cui siete maggiormente legati
nell'avergli prestato la voce e perché?
A. «Sicuramente Jim Hopper di
Stranger Things
o Oleg di
2Broke Girls, sono i due personaggi che mi
hanno dato più soddisfazioni. Il primo per la sua umanità
vera, piena di sfumature: è duro, a tratti sgradevole, ma
nasconde una sensibilità autentica che spesso fatica a far
emergere. Il secondo è semplicemente divertentissimo. Anche
Raul de la Riva di
Velvet mi ha molto divertito, ma
la lavorazione che ho amato di più è senza dubbio
Castaway on the moon, un meraviglioso film coreano di
cui ho avuto la fortuna di curare anche gli adattamenti. Io
sono il protagonista maschile, Valeria è la protagonista
femminile e i dialoghi sono i miei: praticamente la versione
italiana di quel film per me è come un figlio. E comunque, a
prescindere dal doppiaggio, è un film delizioso, una
commedia surreale e delicata che consiglio a tutti di
vedere».
V. «Domanda complicata, io mi affeziono molto ai
personaggi che interpreto. Ognuno ha qualcosa di
particolare, qualcosa di unico. Santana della serie
Glee
è sicuramente uno di quelli a cui mi sono legata molto. Una
ragazza dal carattere forte (apparentemente), sfacciata,
molto spesso cattiva, ma fondamentalmente debole,
problematica e bisognosa di amore. Un'altra è Megan Walker
del film
Unstable una donna/moglie alla quale viene
fatto credere di essere impazzita dal marito e dalla
sorella. Tantissime sfaccettature, tantissimi attimi di
panico, sensibilità borderline, dubbi e paure. Bellissimo
davvero, non nascondo che ho pianto con lei ho avuto paura
con lei. Ma ripeto in ogni lavorazione mi lego al
personaggio, ora mi viene in mente la Fata Nera di
Once
upon a time, meravigliosa, cattiva, disperata,
sofferente... che dirvi!».
Cosa consigliate a chi vuole intraprendere la strada del
doppiaggio?
A. «Studiate, ragazzi, studiate. E non parlo solo di
corsi di doppiaggio. Per essere dei buoni doppiatori bisogna
essere prima di tutto dei buoni attori. Il mestiere di
doppiatore è solo una delle tante sfaccettature del mestiere
di attore. Per cui fate corsi di recitazione seri, fate
teatro, insomma, dedicatevi alla recitazione sotto ogni
aspetto. Quando sentirete di potervi definire attori, allora
potrete approcciare anche il mestiere di doppiatore. E
quando arriverete in uno stabilimento di doppiaggio per
chiedere di assistere o per chiedere un provino, ricordatevi
sempre che state entrando in un luogo di lavoro, piacevole e
divertente, ma pur sempre un lavoro. Quindi siate educati e
rispettosi, non "spalancate le porte", ma "bussate".
Un'ultima cosa: abbiate pazienza! Ci vogliono anni per
affinare la tecnica. Non crediate di arrivare e di essere
subito convocati per doppiare un protagonista. Si parte dai
brusii, poi, se si hanno le capacità si passa ai piccoli
ruoli e così via. Non cercate di bruciare le tappe. La
fretta non è mai amica di nessuno».
V. «Ci sono varie cose da dire ma quella che mi preme
di più dire è che bisogna arrivare preparati, di non pensare
"ho una bella voce"; sì, per carità può essere un punto a
favore, ma se non c'è professionalità e per professionalità
intendo una preparazione attoriale forte, ci farete ben poco
solo con la bella voce. Per fare questo lavoro bisogna
essere attori, siamo attori specializzati, ogni tre ore
dobbiamo interpretare ruoli differenti e se non si è attori
come si può pensare di essere doppiatori?
Un'altra cosa sulla quale ritengo importante mettere il
punto è il fatto di entrare in punta di piedi, con rispetto
dei colleghi che stanno lavorando, dei direttori che stanno
lavorando. Io personalmente ho seguito per 3 anni in
silenzio, perché gli attori al leggio potevano distrarsi se
entravo e uscivo dalla sala. Al giorno d'oggi i ragazzi
pensano che dopo qualche turno di brusio sia il momento di
fare dei personaggi, è sbagliato!!!! Il brusio e i
piccolissimi ruoli sono fondamentali per la formazione. Si
prende dimestichezza con le emozioni, con noi stessi, con il
microfono, con le piccole sfumature, con i direttori, con
gli assistenti, con tutto».