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Intervista a Susanna Schimperna (3)   Tutte le interviste tutte le interviste
Susanna SchimpernaTelegiornaliste anno XIII N. 20 (530) del 7 giugno 2017

Susanna Schimperna, le mie Coincidenze d’amore
di Alessandra Paparelli

Incontriamo nuovamente Susanna Schimperna, che stavolta ci parla del suo amore per la scrittura e del suo ultimo libro.

Come nasce la tua passione per la scrittura, quali sono gli autori e le autrici donne alle quali ti sei ispirata?
«A me piaceva proprio scrivere, in senso tecnico. Scrivevo col pennino intinto nell’inchiostro nero o blu del calamaio, facendo pasticci terribili, oppure con la stilografica. Copiavo pagine e pagine di enciclopedie, per ricerche che nessuno mi aveva chiesto. È strano perché il primo giorno di scuola non ero riuscita a fare nemmeno la “a”, per cui la maestra prima mi diede da riempire la paginetta di puntini e asticelle, poi rinunciò pure alle asticelle, vista la mia assoluta mancanza di manualità. E la bambina davanti a me si girò e acidissima, crudele, disse: «Questa qui non imparerà mai a scrivere». Invece a cinque anni già i miei pensierini erano particolari, a dieci i miei temi erano “issimi” (fantasiosissimi, lunghissimi), e dal ginnasio in poi invece del voto mi davano degli “n.c.”, non classificato: mi piaceva un sacco, ero veramente una provocatrice. Scrivevo per me, invece, brevi racconti e poesie, la prima poesia credo a sette anni. Ma è dagli undici che ho cominciato a scrivere ogni giorno: partecipavo a tutti i concorsi di poesia possibili, andavo a bussare alla porta di gente che non c’entrava nulla con la poesia (scelte cervellotiche, le mie, incomprensibili) perché volevo che tutti leggessero il mio malloppo. Così il giornalista Ettore della Giovanna e la pittrice Anna Salvatore, che conducevano un programma in radio, mi invitarono come piccola poetessa prodigio, e lo stesso fece Gianni Boncompagni che con Franco Moccagatta aveva il famoso Chiamate Roma 3131, un’esperienza stupenda, lì in radio dal vivo dietro ai microfoni, e più di una volta. Non c’era che la Rai allora, e quella trasmissione la sentivano tutti. Gli ascoltatori potevano intervenire al telefono: una rivoluzione; riguardo a cosa leggessi, di tutto; senza altra logica che quella dei titoli e delle copertine. A casa mia c’erano almeno tremila libri, già solo scegliere era così eccitante, un’avventura. Dopo i libri per ragazzi che i miei mi compravano subito Sartre e poi Oscar Wilde, Nietzsche e subito dopo Eugene O’Neill. Avrei tanto voluto scrivere come Dickens ma col pathos di Dostoevskij e l’ironia di Muriel Spark e di Penelope Fitzgerald, a proposito di autrici… ma non mi sono mai ispirata a loro, non sono così presuntuosa».

Cosa leggevi da bambina, che ricordi hai delle tue prime letture e quale libro conservi con particolare amore?
«Leggevo moltissimi libri d’avventure e di fantascienza, quelli considerati allora “per maschi”, ma anche i libri “per signorine”, come i romanzi rosa di Delly e la saga di Piccole Donne. Conservarli? Tutti! Sono ancora legatissima ai libri di Mary Poppins, ai libroni illustrati di Walt Disney con storie che non hanno smesso di sembrarmi magiche e le filastrocche inglesi di Mother Goose tradotte, in rima, in italiano; Gian Burrasca, poi… ecco, lui lo imitavo davvero, a proposito di ispirarmi, ma nella vita, ho rischiato di diventare una teddy girl, grazie a Gian Burrasca».

Che tipo di scrittrice sei? Attingi a storie personali, tue, è un percorso anche di vita?
«Tutte e due le cose: quattro dei miei libri, infatti, hanno una parte saggistica molto “schimpernica”, in cui non solo non pretendo di essere obiettiva, ma mi metto volontariamente in gioco con le mie esperienze personali, le mie idiosincrasie e le mie passioni, e una parte di testimonianze di altre persone. Il libro invece in cui meno racconto di me, Cattivi Pensieri – appunti e metodi per lo studio della felicità, e che è una specie di manifesto filosofico-anarchico, è in realtà quello in cui parlo di me dall’inizio alla fine. Per questo è stato bellissimo che così tanti lettori ci si siano riconosciuti, non importa a quale parte politica appartenessero».

Si crea più con il dolore o con la gioia?
«Nel dolore mai, con il dolore sì, ma soltanto in un momento di tregua, quando il dolore si è preso una pausa o, ancora meglio, è alle spalle, superato magari (ti prospetto l’ideale) dalla gioia».

Come nasce la tua passione per l'oroscopo? Sei grande esperta dei segni zodiacali, ci puoi dire quale sarà il segno fortunato in amore per l'estate 2017 e per il lavoro?
«Sapevo qualcosa dei segni zodiacali per quello che sentivo dirne in casa (ma i miei erano allegramente scettici, come più o meno tutti a quel tempo; non era faccenda su cui si facessero dibattiti o si avessero posizioni radicali). Poi un giorno nella libreria che frequentavo misero in vetrina il trattato astrologico di Sementovsky. Avevo sedici anni, me lo comprai subito: imparai il metodo e cominciai a fare temi natali a tutti gli amici dei miei genitori, facendomi pagare, tremila lire. Quest’estate non è male, perché tutti i segni avranno, a fasi alterne, creatività, energia e occasioni. Soprattutto, per l’amore, mi piacciono Leone, Bilancia, Sagittario. Per il lavoro, Ariete, Toro, Gemelli, Cancro, Acquario... poi, da ottobre, inizia la grande riscossa di Vergine, Scorpione, Capricorno e Pesci».

Che ricordi hai delle tue esperienze giornalistiche e di scrittrice? Cosa ti chiedono di più le persone che incontri? Esperienze di vita, di cronaca?
«Che mi conoscano come astrologa o come giornalista e scrittrice, ho l’impressione che mi considerino un po’ una maestra di vita. Magari cattiva maestra, ma comunque una persona con cui andare subito nel profondo, e che forse… potrebbe dire qualcosa di risolutivo per la loro vita. E poi tanti si ricordano cosa ho detto in radio dieci anni fa, cosa ho scritto in quell’articolo quindici anni fa, oppure quella volta in cui ho raccontato un episodio privato. Evidentemente, nel bene o nel male, ottimamente o pessimamente, dico cose che colpiscono: è bello; è il vero motivo per cui scrivo… e parlo: incidere sulla realtà».

Che cos'è per te la lettura? È una domanda che ho fatto ad Erri De Luca la settimana scorsa, al Teatro Ramarini di Monterotondo, presenti anche il sindaco e l'assessore alla cultura: per te la lettura è un percorso, una sosta, un rifugio, un'esigenza?
«Ti rispondo più che volentieri perché questa domanda mi dà modo di dire una cosa a cui tengo molto e di cui sono assolutamente convinta: finché andremo avanti con la lagna accusatoria e ricattatoria de In Italia si legge poco!, leggere sarà considerato ancora più noioso della scuola, una robaccia imposta da cui stare alla larga; invece leggere può dare tanti stimoli, porre infinite domande e anche regalare altrettante risposte, ma soprattutto leggere è, deve essere, per me è sempre stato e sarà, un grande piacere».

Ti piace la poesia e cosa? E poi, quale musica ascolti e se ascolti musica quando scrivi.
«Ammetto di aver scritto da ragazzina e ragazza 600 poesie e un poema, e non contenta ho scritto un altro poema, a quattro mani e due voci, qualche anno fa (da non credersi: sono totalmente anacronistica). Ma non leggo molta poesia, e sono anche incontentabile, estremamente selettiva: direi Marlowe, Shakespeare, Keats, Shelley, Montale... più qualcosa di Gregory Corso e di Garcia Lorca; più Bob Dylan e Claudio Rocchi. Musica: cominciamo col dire che sono stata un’aspirante musicista, poi essendo di una pigrizia assoluta e certamente non avendo un gran talento, oggi sono una musicista mancata invece che fallita. Ho ascoltato e amato di tutto, a ondate, in maniera maniacale, iperfagica. Continua a piacermi il rock (ma per esempio mi annoiano i Pink Floyd, a parte Atom Heart Mother), la musica classica barocca e romantica (per anni ho inseguito musica concreta, dodecafonica, elettronica, aleatoria… ma era solo un interesse cerebrale, quel mio stare giorni interi con Berg e Nono; mi sono resa conto che ho gusti molto banali, che Beethoven è il mio mito), la musica irlandese e brasiliana. Ho studiato e scritto per molto tempo sentendo musica perché la musica era il sottofondo delle mie intere giornate, ma adesso no. Sono diventata perversa: lavoro guardando la televisione, dai film ai documentari a tutti quei programmi pop che nessuno osa confessare di vedere».

Il tuo ultimo libro?
«Narra quattordici storie d’amore e di coincidenze che potremmo certo chiamare significative. Il libro si chiama appunto Coincidenze d’amore – quando un incontro cambia una vita (ed. Cairo), e dentro ci sono il bandito, il principe, l’anarchico, il romanziere, la musicista, il poeta, la giornalista, il filosofo, l’attore, l’alpinista, il presidente, il romanziere, il pilota… personaggi come Bonnie & Clyde, Anthony Perkins, Lincoln, Charlie Chaplin, che hanno vissuto legami d’amore segnati da eventi molto particolari; non importa se crediamo al fato o siamo convinti che esista solo il caso: di fronte a certi curiosi incastri della vita tutti ci fermiamo, col fiato sospeso, e per un attimo, anche solo per un attimo, non possiamo fare a meno di pensare che è troppo strano, che forse dietro a certi eventi ci potrebbero essere un disegno, una regia».

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