Telegiornaliste anno XIII N.
6 (516) del 15 febbraio 2017
Maria
Tinto, I bambini non nascono cattivi
di
Daniela D'Angelo
La Dott.ssa Maria Tinto è una psicologa clinica, consulente in
sessuologia e nelle relazioni affettive, educatrice
professional socio-pedagogica e giornalista.
Si occupa da anni di ricerca nell'ambito delle dinamiche
familiari e delle relazioni di coppia; di famiglie con
caratteristiche disfunzionali violente e delle ripercussioni
sullo sviluppo dei bambini; della violenza contro le donne e
del femminicidio. Appassionata di filosofia e di poesia, è
autrice di due volumi di poesie ed ha vinto numerosi premi
letterari.
È l’autrice del libro
I bambini non nascono cattivi.
I bambini non nascono cattivi: è un titolo che fa
riflettere.
«Certamente vuole far riflettere, ma è anche un titolo
provocatorio: i bambini non nascono cattivi, allora vuol dire
che lo diventano; ma chi o cosa può farli diventare
“cattivi”?».
Bene, partiamo dal capire a chi si rivolge il libro.
«
I bambini non nascono cattivi è un libro che parla
dell’infanzia, ma lo fa attraverso la coppia, a partire da come
nasce l’idea di avere un figlio; quindi c’è la coppia con i
propri sogni e le aspettative; aspettative anche rispetto agli
stereotipi legati al ruolo materno e paterno a cui la coppia
sente di dover sottostare. Il difficile cammino del genitore si
snoda lungo un excursus che riguarda la costruzione del ruolo
genitoriale che ciascuno intende assumere; è un libro quindi
che si rivolge a tutti coloro che hanno interesse all'infanzia,
perché il messaggio primario che vuole trasmettere è quello del
rispetto assoluto verso il bambino».
Tu parli anche delle difficoltà legate alla gravidanza, ma
concordo con te sul fatto che spesso la gravidanza non è
vissuta in modo positivo da una donna anzi…
«Proprio così, l’idea che una donna incinta debba per forza di
cose essere felice e assolutamente sentirsi appagata di questa
sua condizione, fa parte di quegli stereotipi sociali e
soprattutto culturali imbastiti attorno alla donna e al ruolo
materno; considera che la donna è stata storicamente valutata
unicamente per il compito di madre da assolvere. Solo
recentemente, a seguito della rivoluzione sociale riferibile
agli anni sessanta, la donna ha iniziato a farsi riconoscere
anche in un ruolo sociale. La storia dell’umanità è storia
scritta dagli uomini, che inevitabilmente ne hanno dato un
taglio al maschile; la figura femminile è stata mortificata,
perché non doveva esserle riconosciuto alcun merito di
rilevanza sociale, ma solo quello naturale, biologico. La donna
aveva il compito di mettere al mondo i figli, soddisfare i
desideri maschili e sottomettersi silenziosamente alla volontà
dell’uomo. Questo è purtroppo ciò che fa da sfondo alla nostra
storia di donne; da questo siamo partite, quindi è evidente
come ancora ci sia tanto da lavorare per veder riconosciuto
alla donna dignità e rispetto in senso assoluto; è difficile e
complesso scardinare un substrato ideologico radicato nella
nostra cultura da millenni. Purtroppo anche da parte delle
donne non è ancora forte il senso di identità femminile, le
donne fanno fatica ad affermarsi nel privato quanto nel
sociale».
Tu segui molto la questione del femminicidio e la violenza
familiare assistita da parte dei bambini: anche nel libro c’è
una parte dedicata a questi argomenti così importanti.
«Sono anni che mi occupo di violenza di genere, organizzo
convegni e conferenze per sensibilizzare soprattutto le donne.
Vedi Daniela, mi sono resa conto, dopo anni di studio e di
ricerca, che la violenza di genere bisogna scardinarla dalla
mente degli uomini, facendo un lavoro di cesello, partendo
proprio dalle donne, dal loro modo di essere madri e dal loro
modo di impostare il rapporto con un uomo. Usare un linguaggio
che non sia “di genere” è fondamentale, soprattutto da parte
delle madri con i figli. Quindi, quali parole usare con i
figli? Inoltre, sentirsi bene solo quando si ha un uomo
accanto, non aiuta l’indipendenza e il rispetto di sé. Un amore
e un uomo devono essere considerati valori aggiunti alla vita
di una donna, non valori in senso assoluto; bisogna cominciare
a ricostituire una nuova modalità di stare e di essere coppia.
Il rispetto verso se stessi è la cosa primaria quando si entra
in relazione con l’altro. È il rispetto verso se stessi, che
esige il rispetto per la coppia e per la famiglia».
E i figli?
«I figli, quando nella coppia manca il rispetto, sono vittime
inascoltate e rese invisibili da un sistema famiglia che non li
considera persone, e verso i quali non ha alcun riguardo né
attenzione. Questo è terribile per un bambino: io parlo di
“dissolvenza infantile” a definire proprio questo modo di non
considerare i bambini, di agire la violenza al loro cospetto,
senza rendersi nemmeno conto del male che in quel momento sta
arrivando al bambino».
Quali sono i danni emotivi che un bambino può riportare come
esito della violenza familiare a cui ha assistito?
«Innanzitutto c’è da dire che un bambino che assiste alla
violenza fatta ad una persona cara, madre, fratello o sorella
che sia, da parte di un congiunto, subisce una doppia violenza.
Per il fatto di essere agita da una persona di famiglia, e per
il fatto di non poter proteggere la persona cara, questo lo
pone in una condizione di sofferenza maggiore, anche perché un
bambino non ha al capacità di comprendere quello che sta
succedendo. Vive le situazioni di violenza atterrito e
sopraffatto. Ma va detto che la violenza non è solo quella
fisica, i cui segni sono visibili e anche quantificabili,
purtroppo esiste una violenza che non e visibile ma che, come
un veleno si insinua fino a toccare le pieghe più nascoste
dell’anima, è la violenza psicologica. Denigrazioni, offese,
gesti irriguardevoli, sguardi offensivi, sono solo alcuni
elementi che fanno parte del magma velenifero costituito dalla
violenza psicologica. Un bambino assiste impotente ed intanto
assorbe su di sé la negatività violenta che un modello distorto
familiare si impone al suo sguardo. Mi chiedi dei danni… i
danni sono enormi e non quantificabili, soprattutto perché
possono manifestarsi anche a distanza di anni e assumere varie
tipologie di disturbi. Nel libro sono riportati casi di vita
reale, che a distanza di anni dagli eventi violenti,
manifestano disturbi d’ansia legati al mal di vivere».
Che ruolo ha il padre in tutto questo?
«Questa è una domanda complessa; il ruolo paterno è cambiato. I
padri hanno bisogno di darsi una nuova connotazione all’interno
della coppia e rispetto ai figli. L’uomo ha abdicato alla
propria mascolinità e al proprio ruolo di autorevolezza
familiare, in favore di un’identità ancora da definire, che non
aiuta la crescita dei figli; nel libro c’è un intero capitolo
dedicato al ruolo paterno rispetto alle nuove tecnologie
informatiche, che ne hanno minato la stabilità».
Tu parli di alcune tipologie di madri che con il loro modo
di fare possono favorire l’insorgenza di disturbi nei figli.
«Purtroppo è così: i genitori perfetti non esistono, ma spesso
si esagera nel non considerare la funzione ed il ruolo che
bisogna assolvere quando si decide di mettere al mondo un
figlio. Ci sono madri che fanno male e genitori dannosi per la
crescita e lo sviluppo di un bambino, e poi c’è la questione
del tempo, un aspetto fondamentale su cui vale la pena
riflettere. La domanda che rivolgo ai genitori è: quanto del
tuo tempo sei disposto a rinunciare per tuo figlio?».
I bambini non nascono cattivi, dunque è un’opera
completa, che riguarda da vicino tutti noi e ci tocca l’anima,
perché siamo stati tutti bambini.
«Si, siamo stati tutti bambini, e portiamo addosso la traccia
genitoriale della nostra infanzia, che nel bene e nel male ci
caratterizza; il mio libro vuole offrire uno strumento per
riflettere sul mondo dell’infanzia e per entrare nel mondo del
bambino in punta di piedi, cercandone di capire e comprendere
le complessità, per imparare a rispettarlo».