Telegiornaliste anno XIII N.
9 (519) del 8 marzo 2017
Elena Colombo.
A Quarto Grado siamo una squadra affiatata
di
Giuseppe Bosso
Incontriamo
Elena Colombo,
da sette anni nella squadra del programma del venerdì, in prima serata
su Rete 4,
Quarto Grado.
Dopo ormai 7 anni come è cambiato Quarto Grado?
«Siamo partiti soprattutto occupandoci di cold case, casi irrisolti, che
occupavano buona parte delle puntate; poi la svolta c’è stata con gli
sviluppi dell’omicidio di Sarah Scazzi, con il quale c’è stato un
cambiamento generale da parte dei media sul come affrontare questi
delitti, e ancor di più con Yara Gambirasio; così abbiamo iniziato a
incentrarci maggiormente sui casi dell’attualità, dando spazio e voce
alle famiglie che chiedono giustizia, che hanno capito come spesso anche
una domanda, un servizio dedicato ad aspetti fino a quel momento non
affrontati possano accendere una luce che favorisce l’attività
investigativa verso la soluzione del caso; ad esempio nel delitto
Macchi, dove proprio da una segnalazione di una telespettatrice che
aveva riconosciuto la calligrafia del presunto assassino si è potuto
ricostruire l’iter che ha portato all’arresto di Stefano Binda. Non
intendiamo certo sostituirci agli inquirenti, ma il nostro lavoro ha
sicuramente può svolgere un ruolo di utile supporto alle
investigazioni».
Da Salvo Sottile a Elena Tambini
negli anni si sono succeduti vari conduttori: chi ti è rimasto
maggiormente impresso?
«A Salvo sono legati i ricordi degli inizi di questa avventura, si è
creato da subito un buon rapporto così come con Gianluigi Nuzzi che da
quando ha preso le redini del programma ha portato un indiscusso taglio
nel modo di affrontare i casi che si è aggiunto a quello che avevamo
sviluppato all’inizio; anche con le ragazze c’è sempre stato un rapporto
cordiale, siamo una squadra molto unita;
Alessandra Viero come sapete è in maternità, ma tornerà
sicuramente appena possibile; Elena è preparatissima, si è subito
inserita bene, abbiamo creato un gruppo affiatato e collaborativo».
Buona parte del programma consiste anche nell’interazione con il
pubblico attraverso i commenti sui social network: questo interesse del
pubblico per questi eclatanti casi di cronaca come si spiega?
«Abbiamo uno zoccolo duro di spettatori che sono ormai stati battezzati
quartograders, attivi e partecipativi tutti i venerdì,
preparatissimi, che ormai si riconoscono come in un romanzo a puntate; è
un target composto non solo da amanti del crime, ma anche da persone che
progressivamente si sono appassionate alla materia e che vogliono
giustamente essere informate. Siamo letteralmente inondati dalle mail di
questi telespettatori, che come ti dicevo forniscono anche segnalazioni,
che gli stessi magistrati inquirenti, gli stessi investigatori hanno
imparato a utilizzare e per questo lanciano appelli in tal senso. E
anche noi a volte realizziamo i servizi giornalistici partendo proprio
da degli spunti che ci forniscono i telespettatori, è un’interazione
davvero bella, che può essere risolutiva in alcune situazioni».
Il cinema, tramite Maccio Capatonda, parodia l’eccessiva attenzione
per i casi di cronaca: pensi sia un monito anche per la vostra
trasmissione?
«Il problema dell’eccessivo accanimento mediatico esiste, non lo nego,
ma personalmente ritengo che non sia il caso del nostro programma; voi
da casa vedete le puntate in onda il venerdì, e da qualche tempo la
domenica, ma dovete sapere che c’è dietro tutto un lavoro quotidiano
fatto di riunioni di redazione in cui si discute, si valuta se dare o
non dare rilievo a determinati aspetti, non mandare in onda momenti o
coinvolgere persone che non hanno a che vedere con il caso specifico, ci
atteniamo al nostro codice che rispettiamo scrupolosamente. Queste
parodie rappresentano probabilmente il rovescio della medaglia, ma non
riguardano
Quarto Grado, che ha in
Siria Magri una responsabile e curatrice molto sensibile e
attenta su questi aspetti, che riesce a placare eventuali tentazioni a
trasgredire questo codice; non lo nego, a volte ci autocensuriamo, ma
nella consapevolezza di farlo proprio per rispettare i principi di
correttezza che ci siamo ripromessi di osservare. E ripeto, dove c’è
maggiore attenzione mediatica c’è sicuramente maggiore impegno da parte
degli inquirenti; per fortuna ho avuto sempre a che fare con magistrati
e esponenti delle forze di polizia scrupolosi che sono coscienti della
loro responsabilità e di come dal loro lavoro dipenda il funzionamento
della giustizia; lo sappiamo noi, lo sanno i familiari delle vittime».
Negli ultimi anni avete dedicato molta attenzione anche alla
sensibilizzazione contro la violenza sulle donne: cosa farete nelle
prossime puntate per questo?
«Andiamo avanti con la nostra campagna, con l’obiettivo di coinvolgere
anzitutto gli uomini, il rispetto è dovuto nei confronti di tutti, non
solo donne. Dove c’è rispetto non c’è violenza; anche con Barbara De
Rossi che conduce
Il terzo indizio prosegue questa campagna e che
con la sue esperienza personale si è dimostrata la persona adatta per
questo tema. Il Terzo Indizio è un programma che nasce come costola di
quarto grado e racconta come quello che a volte è un grande amore si
trasforma in violenza, in sofferenza; è anzitutto un ammonimento per chi
osserva dall’esterno, un invito alle donne a cogliere gli indizi di un
rapporto malato. Stiamo valutando, su richiesta espressa dei parenti
delle vittime, di impegnarci per l’abolizione del rito abbreviato per i
casi più gravi. Ce lo chiedono, ci stiamo pensando, consapevoli
dell’estrema delicatezza dell’argomento e del fatto che in ambito
processuale non è facile conciliare gli interessi dell’imputato con
quelli della vittima».