Telegiornaliste anno XIII N.
11 (521) del 22 marzo 2017
Barbara
Schiavulli una giornalista sul campo
di
Tiziana Cazziero
Barbara Schiavulli, inviata di guerra, ci racconta
una giornalista sul campo.
Salve e grazie per questa chiacchierata: giornalista inviata
di guerra, come e quando nasce la voglia di recarsi in luoghi
pericolosi a rischio della vita stessa? Cosa spinge una
giornalista seguire questo percorso?
«I miei compagni delle medie si ricordano che già allora dicevo
di voler fare la report di guerra, quindi direi che è una
passione nata presto. Poi nel 1997 mi trasferisco a Gerusalemme
dove resterò diversi anni e il conflitto israelo-palestinese, è
stata la mia scuola. La spinta a fare questo mestiere viene
dalla curiosità, dall’amore verso culture e posti diversi,
dalla voglia di raccontare la Storia mentre accade. E forse
anche un senso profondo di denuncia, di aver voglia di correre
dei rischi perché ci crede fortemente nel valore
dell’informazione come fondamento di una società civile reale».
La guerra dentro è l’ultimo dei tuoi libri pubblicati: cosa
dobbiamo aspettarci da questo libro, cosa racconta?
«Il mio ultimo libro è
Bulletproof Diaries, storie di
una reporter di guerra, una graphic novel disegnata da Emilio
Lecce: mi son trasformata in un fumetto per raccontare i miei
15 anni di Afghanistan, ma anche per parlare di giornalismo, di
quanto sia difficile raccontare grandi eventi come la morte di
Bin Laden dove nonostante tu sia sul posto vieni avvolto nella
manipolazione delle notizie. Ma un buon giornalista non si
accontenta delle dichiarazioni, scava, prende tempo, domanda,
da fastidio e a volte scopre.
La Guerra Dentro, invece è
un libro che parla delle conseguenze della guerra sui soldati:
si cambia dopo sei mesi di missione e come? Ho incontrato dieci
soldati con dei ruoli specifici e racconto le loro sensazioni,
le loro paure e in qualche modo condivido le mie. Un
esperimento perché preferisco raccontare chi la guerra la
subisce, i civili, le donne, gli intellettuali. Ma mi sembrava
mancasse qualcuno che aprisse uno spiraglio nelle vite di chi
la guerra la combatte».
Donna e giornalista coraggiosa, hai vinto e ricevuto diversi
riconoscimenti per aver affrontato situazioni rischiose: quali
sono state le difficoltà oggettive riscontrate in questi Paesi
ad alto rischio come Afghanistan?
«Le difficoltà sono le stesse che vivono le persone ogni
giorno, le autobombe, i colpi di mortaio, gli scontri a fuoco.
Negli ultimi anni per noi giornalisti è subentrato il rischio
di rapimento, che in parte ha modificato il nostro modo di
lavorare; ma tra giornalista maschio e femmina non c’è alcuna
differenza, forse i maschi vengono considerati più pericolosi
in una potenziale situazione a rischio. Le donne giornaliste
hanno un accesso più facile al mondo delle donne musulmane, un
po’ più chiuso soprattutto per chi ha subito violenza, ma in
linea di massima quando lavoro non mi sento particolarmente
donna o coraggiosa. Farei più una differenza monetaria tra gli
inviati assunti e i freelance, che fanno più o meno le stesse
cose sul campo, ma che quando tornano in Italia scoprono che la
guerra loro è qui per pubblicare ed essere pagati».
Qual è il luogo e il reportage che ti ha colpito in più in
tutti questi anni di giornalismo?
«Ce ne sono tantissimi, non c’è una storia più importante delle
altre. Sono lusingata di averle scritte tutte. Ho intervistato
presidenti, militanti, ma l’essenza di questo lavoro sono le
persone normali, quelle che lottano per sopravvivere, quelle
che creano una normalità intorno a sé, quando niente è normale.
Sono i piccoli eroi di tutti i giorni, dalla bambina che si
finge maschio per mantenere la famiglia, alla sopravvissuta
all’olocausto che sposa un palestinese e per cinquant’anni non
dice ai figli di essere ebrea per non metterli in difficoltà.
Al sunnita che viene salvato dal vicino sciita quando militanti
sciiti arrivano per ucciderlo, alla mamma che diventa una
prostituta per sfamare i propri figli».
Hai molti successi e una carriera importante alle spalle, ma
c’è ancora qualcosa che vorresti fare? Un luogo, un servizio
qualche personaggio che vorresti intervistare?
«Oggi la mia battaglia si svolge soprattutto qui cercando di
infondere passione per gli Esteri. Non ha senso che andiamo in
giro a rischiare la pelle, se qui la gente non ha voglia di
sapere e conoscere o se non trova degli spazi dove essere
sicuri che si faccia di tutto per i lettori non in nome degli
editori, o della pubblicità. Per questo abbiamo con dei
colleghi inventato una webradio che fa solo esteri
Radio
Bullets e cerchiamo di dare storie e notizie. In realtà
non ci sono posti nuovi dove vorrei andare per lavorare, ma
vorrei sempre ritornare nei posti dove son già stata, ritrovare
le persone, continuare a seguire le loro storie; partirei
domani se avessi i soldi».
Un’ultima domanda: come concili i tuoi impegni personali con
quelli lavorativi?
«Questo lavoro è una scelta e significa fare molti sacrifici, a
volte sacrificare i propri impegni personali. Ma va bene così.
E poi siamo donne e multitasking, quindi alla fine riusciamo a
fare tutto e bene!».