Telegiornaliste anno XII N. 33 (506) del
16 novembre 2016
Paola
Nurnberg, le mie giornate a Rsi
di
Giuseppe Bosso
Incontriamo
Paola Nurnberg,
volto dell’emittente
Rsi.
La tua giornata tipo.
«A dispetto di quanti credono che la vita di noi giornalisti sia ricca
di avventure, la mia è una giornata essenzialmente d’ufficio, in cui mi
divido tra la conduzione del telegiornale, divisa in tre edizioni
(quella delle 12:30 e quelle flash, una per i non udenti) e il lavoro di
redazione, tra scalette e riunioni; questo quando non sono in giro come
inviata, che è il lavoro che mi piace di più».
Ti senti una giornalista di ‘frontiera’?
«Sì, anche per il fatto che ho vissuto molti anni all’estero;
dividendomi tra due Paesi vivo un’esperienza che ritengo allarghi la
mente e le vedute, ed è una gran fortuna».
L’attualità impone di parlare anche del problema
immigrazione-profughi molto sentito anche dalle tue parti: come lo sta
vivendo la tua emittente?
«Dal punto di vista professionale l’occhio è più critico, si cerca di
osservare le cose con più distacco per comprendere la portata
dell'avvenimento del quale si parla. Si cerca sempre di essere obiettivi
insomma. La Svizzera come nazione ha naturalmente le sue posizioni, che
non si discostano nemmeno troppo alla fine da quelle di altri Paesi».
Stati Uniti, Francia, Svizzera: tre Paesi che hai conosciuto, tre
realtà diverse anche dal punto di vista giornalistico messe a confronto
con l’Italia?
«Sì, devo dire che all’estero ho riscontrato maggiore ‘serietà’ sotto
molti punti di vista; con questo, attenzione, non voglio certo sminuire
il giornalismo italiano che, anzi, vanta professionalità eccellenti; il
mio è un discorso legato più al modus operandi: in Francia e in Svizzera
ho imparato a non avere quell’approccio sensazionalistico di voler
apparire a tutti i costi; in Italia si fa tanta cronaca nera, ci si
incentra su determinati fatti anche per mesi, e questo purtroppo
favorisce anche una certa speculazione; il giornalismo elvetico non è
così, segue delle politiche ben precise su fatti di cronaca come i
suicidi dei minorenni, di cui per scelta editoriale non si parla. Il
giornalista non deve cercare il titolone a tutti i costi, deve essere
così. In Francia, lavorando a Euronews, e in Svizzera, dove lavoro
adesso, ho apprezzato molto la precisione dei particolari, come la
pronuncia corretta dei nomi in altre lingue».
Sei molto popolare e seguita dai nostri lettori, tanto che sei anche
intervenuta spesso sul
forum: come ci hai scoperti e cosa ti è piaciuto (e cosa meno) di
noi?
«Vi ho scoperti cliccando il mio nome: come tutti – e chi lo nega non è
credibile – da quando c’è Internet c’è sempre la curiosità di vedere
cosa esce su Google digitando il proprio nome, anche se vi conoscevo già
da tempo; è stata una simpatica scoperta, vedere questo interesse nei
miei confronti, anche se il nostro è un lavoro che non esisterebbe se
non ci fosse anche quello di chi, come i tecnici e i registi, lavora
dietro le quinte».
In sintesi, le regole che segui nella scelta del look per andare in
onda.
«No a gioielli vistosi e ad accessori appariscenti che potrebbero
distrarre il telespettatore; sobrietà nell’abbigliamento. Ma in fondo,
sono elementari accorgimenti che un po’tutte le colleghe seguono, almeno
stando a quanto vedo, non mi sembra di aver mai visto qualcuna eccedere
in questo senso».
Cosa ti aspetti dal 2017?
«Ci si aspettano sempre grandi cose, anche se da pessimista – ride, ndr
– puntualmente non avvengono; battute a parte desidero cose belle e
spero si avverino, non solo nel lavoro ma anche in ambito privato
ovviamente, non si vive di solo giornalismo!».