Telegiornaliste anno XII N. 18 (491) del 25 maggio 2016
Maria
Antonietta Spadorcia.
La lettera di Montanelli e i giudizi di Folli tra
le mie cose più care
di
Giuseppe Bosso
Originaria di Sulmona, nota località abruzzese, incontriamo
Maria
Antonietta Spadorcia del
Tg2.
Dalla provincia abruzzese a Montecitorio: ripensando al tuo percorso
cosa ti gratifica maggiormente?
«Sono arrivata a Roma nel ’92 per studiare alla Luiss; ho conseguito due
lauree e una specializzazione in giornalismo; da sempre, fin dal 1986 al
1992 con
Il Tempo d’Abruzzo, mi sentivo giornalista, e dopo aver
lavorato anche per testate come
Il Giornale,
Il Giornale
d’Italia, l’Adnkronos e per l’agenzia Zenit ho capito che quello che
inizialmente poteva essere vissuto come un gioco era la mia passione;
arrivata Roma inviai alcuni dei miei pezzi a Indro Montanelli, che mi
rispose con una bellissima lettera che conservo gelosamente in cui mi
diceva che sì, potevo fare questo mestiere; arrivai in Rai molti anni
dopo, inizialmente a Rai Parlamento e poi sei anni e mezzo fa al Tg2;
diciamo che è stato un percorso di crescita continua, fatto
principalmente nell’ambito della politica».
Da tanti anni cronista parlamentare: c’è un aneddoto o un episodio
che ti sono rimasti particolarmente impressi?
«Ho molti ricordi negli anni passati soprattutto al Senato; non c’è un
aneddoto particolare, ho vissuto varie fasi di cambiamento e avuto
ottimi maestri, persone che mi hanno incitata a ‘chiedere spiegazioni’
ai politici e a capire perché venivano presi determinati provvedimenti,
questo perché la Rai è il servizio pubblico, questo dovrebbe fare».
Avendo ‘sperimentato’ varie maggioranze e vari governi in questi
dieci anni da chi hai avvertito maggiore disponibilità, nel rapporto con
i media?
«Credo che nel momento in cui stai nei palazzi riesci a stabilire un
rapporto con tutti; dal 2006 al 2008 vissi una fase del Senato piuttosto
tormentata che noi giornalisti vivevamo ancora più a contatto con la
politica per capire quello che stava accadendo; non c’è un personaggio
che è disponibile di più o di meno nei nostri confronti, ognuno va preso
per le sue caratteristiche; l’importante è andare a capire come ti
dicevo il perché vengono prese determinate decisioni».
Secondo te per una giovane aspirante giornalista il settore politico
è un tabù o una strada da poter intraprendere?
«Una strada complicata, che deve percorrere chi davvero vuole fare il
giornalista politico; ricordo il periodo delle analisi politiche e dei
pastoni che Stefano Folli ci faceva fare come esercitazioni alla scuola
di giornalismo, cercando di vedere chi noi era più portato a capire le
dinamiche della politica dando un giudizio, e tra le cose che conservo
oltre alla lettera di Montanelli ci sono anche questi pezzi, in cui
capivo che la politica deve piacere, il confronto… a me piace, a un
giovane giornalista direi questo, anche se capisco che oggi ‘tiri’ di
più la cronaca».
Difficile conciliare lavoro e affetti?
«Ho due bambini, è complicato ma loro sanno che la mamma fa il suo
lavoro, come mio marito; si può fare, lo dico a tutte le donne; i miei
figli riescono anche a riconoscere chi è il presidente del Consiglio e
il presidente della Repubblica attraverso quello che faccio».
Un tuo ricordo di
Maria Grazia Capulli.
«Mi fa strano parlare di lei al passato; per tutto il mondo del
giornalismo, non solo per noi che abbiamo lavorato con lei a stretto
contatto, ha rappresentato tutto il bello che c’è e ci può essere in una
persona anzitutto e poi in una giornalista».