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Intervista a Karen Sarlo   Tutte le interviste tutte le interviste
Karen SarloTelegiornaliste anno XII N. 29 (502) del 12 ottobre 2016

Karen Sarlo, raccontare la mia Calabria
di Giuseppe Bosso

Volto di Tgr Calabria, incontriamo Karen Sarlo.
Ricorda il suo primo servizio?
«Lavoravo da pochi mesi nella sede regionale della Rai calabrese: il caporedattore mi mandò a casa di una donna anziana, in un paese dell’entroterra vibonese, la signora aveva contattato la Tgr Rai Calabria e la rubrica Ditelo alla Tgr, aveva bisogno di aiuto: sola in casa, aveva perso da poco il marito, e spaventata, da sette giorni senza telefono, un fulmine aveva spezzato i cavi e la Telecom non rispondeva alle sue richieste; al mio microfono la signora chiese aiuto, aveva paura della sua solitudine, il telefono la sua unica ancora di salvezza; il giorno dopo l’intervento dei tecnici, che rimisero la signora in contatto con il mondo esterno, grazie all’appello lanciato al tg, nel mio servizio; e io mi emoziono se ci penso ancora oggi, è questo il servizio pubblico che la Rai ha il dovere di fare sul territorio, e io sono orgogliosa di lavorare per questa grande azienda».

Due anni fa le è stato assegnato il premio ‘Accoglienza’, parola più che mai attuale vista la continua emergenza immigrazione: lei cosa intende per accoglienza?
«Accogliere significa tendere la mano verso l’altro che ha bisogno di te: sento il mio lavoro come una missione, soprattutto se penso al problema dei migranti; guerre, povertà, conflitti portano ormai migliaia di profughi sulle nostre coste ogni giorno e noi giornalisti Rai abbiamo il dovere di trasmettere il messaggio che accogliere chi sta peggio di noi è un atto di umanità a cui non possiamo sottrarci; possiamo e dobbiamo anche pretendere che i nostri governanti ci mettano in condizione di convivere serenamente e in sicurezza».

Cosa significa essere donna e giornalista in una regione bella ma problematica come la Calabria?
«Sono donna, giornalista e prima di tutto mamma di Gianpaolo, di sei anni; questo significa che spesso guardo a questa regione con grande preoccupazione. Nella mia quotidianità, quando faccio la cronista per strada, vado ad intervistare genitori che hanno perso i loro figli su strade pericolose, strade che aspettano di essere riammodernate da anni, con fondi comunitari dispersi chissà come. Poi vado a raccontare la protesta dei tanti, troppi disoccupati, vittime di un’economia che non decolla e che oggi vive i riflessi di tanti anni di crisi globale e mi imbatto anche in padri di famiglia disperati, che trovano il coraggio di dire davanti ad un microfono che in Calabria lo Stato non c’è, che solo la ‘ndrangheta assicura uno stipendio e fa girare l’economia, seppure quella illegale e sommersa; poi mando in onda la voce del commerciante che ha trovato il coraggio di denunciare la malavita che lo costringeva a versare al pizzo una parte dei suoi onesti e sudati guadagni. E, finalmente, ho l’opportunità di raccontare anche delle Valli Cupe, uno dei posti più affascinanti e suggestivi che io abbia mai visto anche nei miei viaggi più belli; è la mia Calabria, quella che racconto nei miei servizi, la terra dalle grandi e profonde contraddizioni, ma la terra che amo».

Qual è stato, negli anni, l’evento o l’occasione che ha seguito che le è rimasto maggiormente impresso?
«La Calabria che ho appena raccontato vista con gli occhi di Francesco: il Papa degli ultimi e della misericordia è stato a Cassano, in provincia di Cosenza il 22 giugno del 2014, ho avuto il grande privilegio di raccontare con emozione ed entusiasmo il viaggio del più grande uomo vivente nella mia regione. Il suo incontro con i poveri, i detenuti, i bimbi malati e la gente normale che tanto ha bisogno di essere incoraggiata ad andare avanti».

È anche consigliere del direttivo del sindacato giornalisti della sua regione: quali sono le problematiche che affronta in questa veste?
«Sono una giornalista Rai e in quanto tale tutelata e al sicuro dalle tante ingiustizie che vivono colleghi precari da una vita; il sindacato ha un ruolo determinante e non bisogna mai abbassare la guardia, bisogna interagire e far rispettare diritti e doveri».

Cosa si aspetta dal futuro?
«Mi aspetto che questo lavoro, così come la mia vita, mi riservi tanto ancora; vorrei crescere professionalmente e non perdere mai l’entusiasmo di raccontare».

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