Telegiornaliste anno XI N.
5 (436) del 9 febbraio 2015
Sandra Colbacchin:
rivolgersi al pubblico con spontaneità
di
Giuseppe Bosso
Incontriamo
Sandra
Colbacchin, volto dell’emittente
Rete Veneta.
Com’è la sua giornata tipo?
«La mia giornata lavorativa inizia alle dieci con la riunione di
redazione per decidere i temi da seguire per il telegiornale della sera.
Successivamente, telecamera e microfono alla mano, esco per raccogliere
il materiale utile alla realizzazione dei servizi. Il pomeriggio è
dedicato all’ascolto delle interviste, alla selezione delle immagini e
alla scrittura degli articoli per il montaggio. Terminata anche questa
fase, si definisce la scaletta, si inseriscono eventuali notizie
dell’ultima ora ed ecco che il telegiornale è pronto per la diretta».
Le sta stretta la provincia?
«Diciamo che oggi come oggi sento meno i confini della provincia. Mi
spiego: nei primi anni a Rete Veneta seguivo solo il bassanese, ma di
recente mi capita molto spesso di lavorare nelle altre redazioni
dell’emittente, soprattutto Padova e Treviso, mettendomi ogni giorno in
contatto con nuove realtà e nuove storie da raccontare».
Visionando la
discussione a lei dedicata nel nostro forum noterà che i nostri
capsatori la seguono da diversi anni: rivedendo le immagini del passato
in cosa pensa di essere cambiata?
«Sicuramente sono cresciuta, visto che sono passati circa dieci anni dal
mio primo lavoro come giornalista, a Triveneta. Crescere significa anche
fare nuove esperienze, migliorarsi, conoscere persone e colleghi in
grado di arricchire il proprio bagaglio personale e professionale,
imparare ad affrontare situazioni spesso non facili, ma che fanno parte
del mestiere. Questo è ciò che io vedo in quelle immagini».
Come cerca di porsi nei confronti dei telespettatori che la seguono?
«Cerco di rivolgermi con spontaneità, trasmettendo affidabilità e
serietà. Spero sia ciò che colgono anche loro».
Qual è stata l’esperienza che l’ha messa a dura prova?
«Sicuramente una delle esperienze che mi ha segnato di più è stata
l’alluvione in Veneto del 2010. Vivere in prima persona e dover
raccontare i drammi delle famiglie vicentine rimaste praticamente senza
casa e costrette a dover ricominciare da capo è stato uno dei momenti
più impegnativi del mio lavoro, sia dal punto di vista professionale che
personale».
Riesce a trovare spazio per gli affetti?
«Certo, riuscirci è fondamentale. Il mestiere del giornalista è spesso
guidato da una grande passione che però talvolta fa dimenticare di avere
orari. Questo non vuol dire trascurare gli affetti e se stessi,
soprattutto per ricaricarsi dell’energia assorbita dal lavoro».
Cosa farà da grande?
«È strano sentirsi porre questa domanda a poco più di trent’anni! Da
grande spero di continuare a vivere il lavoro con la stessa passione e
lo stesso entusiasmo che già mi guidano oggi».