Telegiornaliste
anno XI N. 29 (460) del 21 settembre 2015
Giulia
Franceschetti, il bello dell'essere doppiatrice è…
di
Giuseppe Bosso
Intervistiamo
Giulia Franceschetti, apprezzata doppiatrice tra
le più emergenti dell’ultima generazione.
Ricorda il suo primo doppiaggio?
«Il primo doppiaggio in assoluto non lo ricordo con
precisione, anche perché ho iniziato, come tutti, con
piccolissime parti; il primo ricordo "nitido" è il
doppiaggio di
Lilo&Stich, una serie di cartoni
animati in cui prestavo la voce all'antagonista della
situazione. Avevo all'incirca 8 anni».
Si riconosce in qualcuna delle attrici che ha avuto modo
di doppiare, come Dakota Fanning e Anna Sophia Robb?
«Non so se potrò mai riconoscermi in un'attrice, non ho mai
avuto il piacere di conoscere, per esempio, nessuna delle
due attrici che lei mi ha menzionato, posso però sentirmi,
alle volte, molto vicina al personaggio che una di esse ha
interpretato. Stiamo parlando di attrici che hanno recitato
talmente parti differenti tra loro, che è impossibile non
ritrovarcisi qualche volta».
La sua giornata tipo.
«La mia giornata tipo è quella di una normale ragazza di 22
anni, che però, consapevole dell'immensa fortuna che ha
avuto, invece di andare la mattina in università (come la
maggior parte dei miei amici) va a lavoro sempre contenta!».
Le capita mai, ‘riascoltandosi’, di cogliere qualche
spunto o qualche imprecisione da non ripetere?
«Sono una persona altamente autocritica, spesso troppo, al
punto che i "miei lavori" li guardo controvoglia. Trovo
sempre qualcosa che mi fa pensare "questa battuta sarebbe
potuta venire meglio", allora immagazzino e cerco di farne
tesoro. Comunque riascoltarmi mi porta spesso a
riflessioni».
Per molti suoi colleghi l’esperienza da doppiatore è
stato un trampolino di lancio verso una brillante carriera
artistica: è una sua aspirazione?
«Mi piace il lavoro del doppiatore e non ho mai pensato a un
evoluzione o a un cambio per la mia "carriera". D'altronde
credo di avere ancora tanta strada da fare anche solo in
questo mondo: ho molto da imparare e non mi sento ancora del
tutto completa. Per ora vivo "nell'ombra" e ci sto bene».
Il bello e il brutto dell’essere doppiatrice?
«Il bello dell'essere doppiatrice credo sia semplicemente
fare un lavoro che ti permette di dare sfogo a un immenso
numero di sfaccettature del proprio carattere che altrimenti
rimarrebbero nascoste: quando ho la possibilità, per
esempio, di doppiare un personaggio fuori dalle righe, un
personaggio particolarmente "eccessivo", mi diverto
tantissimo; posso assumere dei toni, posso dire cose o
semplicemente dare sfumature alla voce che fuori dalla sala
di doppiaggio non potrei provare. Un bello sfogo! Al "brutto
dell'essere doppiatore" non ho mai pensato, a parte quando
si hanno degli alti ritmi lavorativi e nel corso di una
giornata magari ti ritrovi a correre per mezza Roma per vari
turni di lavoro; però devo dire che le soddisfazioni che
riesce a darti il doppiaggio (soprattutto a me che ancora
comunque mi sento un "pesce piccolo") ti ripagano qualsiasi
cosa; anche magari la fatica che si è fatta dividendosi,
dall'età di 8 anni, tra studio, amici e lavoro».
Prossimamente dove potremo ‘ascoltarla’?
«Quest'estate ho lavorato a due trailer per due film di
circuito che doppierò a settembre, uno di fantascienza e un
altro più leggero; ho terminato una serie molto bella:
Orange is the new black».
Cosa farà da grande?
«Questa domanda ho smesso di farmela: non ne ho idea. Quando
ero piccola volevo fare la veterinaria, poi si è aperta
questa strada più "artistica", e quindi ho capito che nella
vita non si sa mai. Per ora amo quello che faccio e spero
ogni volta di farlo al meglio. Ecco, forse questo mi auguro
di fare da grande: qualcosa che amo e che porti a impegnarmi
per amore di esso».