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Vera PaggiTelegiornaliste anno X N. 34 (422) del 20 ottobre 2014

Vera Paggi: agli aspiranti giornalisti dico di sfruttare le potenzialità di Internet
di Giuseppe Bosso

Volto del Tgr Lombardia, autrice di Vicolo degli Azzimi, in cui ha raccontato la vicenda della sua famiglia durante la persecuzione nazista contro gli ebrei, per dodici anni conduttrice di Consumi&Consumi, incontriamo Vera Paggi.

Quale riscontro ha avuto dalla pubblicazione del suo libro?
«Non sono un Pulitzer: quel libro era destinato a un circuito famigliare; poi il ritrovamento di documenti originali, lettere e diari, lo ha trasformato in una storia piccola, ma credo interessante del nostro ‘900: sono le microstorie che aiutano a conservare la memoria storica che questo Paese sembra avere tanta fretta di chiudere in un cassetto. Io il cassetto l’ho aperto e ho provato a raccontare; se vuole sapere quante copie ho venduto, pochissime – sorride, ndr - ma il passaparola si fa con le pagine culturali dei grandi quotidiani; è un libro che ho dedicato a mia madre e che ho scritto per i miei figli».

Vista la situazione attuale in Medio Oriente, possiamo dire che la lezione degli orrori descritti anche nel libro non è servita?
«Non è facile dare una risposta, la situazione in Medio Oriente è complessa; parlare di Shoà attualizzando il conflitto israelo-palestinese è un errore storico ed è frutto di quello che io chiamo pregiudizio antiebraico; l’antisemitismo è molto più strisciante di quanto non si immagini, ma i razzismi sono tanti, ancora troppi. Certo gli ebrei dalla Shoà hanno imparato, non a caso hanno fondato lo Stato di Israele, ma anche a Gerusalemme serve una forte spinta per dare forza a una strada di convivenza con i palestinesi disposti a isolare per sempre il fondamentalismo».

Programmi come quello che ha condotto per dodici anni possono formare dei consumatori più attenti e responsabili?
«Se li mandano in onda sì!».

Guardandosi indietro c’è qualche treno che pensa di aver perso o il percorso che ha compiuto finora ha rispettato le sue aspettative?
«Lavorare in televisione è stato un caso; in parte un ritorno, il mio primo contratto è stato in una tv locale negli anni 70; prima di passare alla Rai, lavoravo alla cronaca di Repubblica, come si dice a Roma, quella sarebbe stata la morte mia; è andata diversamente, penso di avere fatto bene comunque».

Rispetto ai suoi inizi trova che oggi per un giovane sia più difficile inserirsi nel mondo del giornalismo?
«Molto difficile, ma paradossalmente oggi Internet è una grande opportunità per chi vuole fare questo mestiere, e i giovani giornalisti non ne hanno compreso le potenzialità. Anche quando ho cominciato io guardavo ai grandi quotidiani, il mito del giornalismo era il Corriere della Sera; ma Saviano insegna, si può fare ottimo giornalismo anche con altri strumenti e farsi leggere da milioni di persone».

Segue qualche accorgimento dal punto di vista del look?
«No, e la mia amica e collega Laura Longo, ogni tanto mi guarda soprattutto le scarpe e scuote il capo…».

Come si vede tra 10 anni?
«Nell’ordine: vorrei fare l’editore digitale, la nonna e continuare a nuotare tre volte la settimana».

Le hanno mai messo il bavaglio?
«Le sembro una che si fa imbavagliare?».

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