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Daniela VolpecinaTelegiornaliste anno X N. 3 (391) del 27 gennaio 2014

Daniela Volpecina: vicina alle battaglie del casertano
di Giuseppe Bosso

Casertana, giornalista dal 2001, iscritta all'albo dei professionisti dal 2008, Daniela Volpecina vanta esperienze sia sulla carta stampata che presso emittenti televisive. Attualmente lavora come freelance per il Mattino ed alcune tv campane.

Il 2013 si è concluso con un sisma che ha colpito anche la tua città: come hai vissuto l’evento e quali credi possano essere gli sviluppi futuri?
«Caserta città rispetto alla provincia e al napoletano ne ha risentito di meno. Non sono pochi quelli che non se ne sono nemmeno accorti. Piuttosto mi ha colpito di più quello che è accaduto dopo, su tutto il blocco dei telefoni per oltre un’ora; io mi sono sentita persa, ma il mio pensiero andava soprattutto a chi magari aveva bisogno di contattare il 118 per un’emergenza e non ci riusciva. La prima cosa che ho fatto è stata precipitarmi al comando dei vigili, da lì in ospedale e poi nei luoghi simbolo della città per verificare eventuali danni. Poi di corsa in redazione. Spero che l’attenzione su quanto accaduto nell’Alto Casertano resti alta, ho il timore invece che, come al solito, i riflettori vengano spenti troppo in fretta. Meno male che c’è la stampa locale. Per i media nazionali il sisma sembra essere infatti già un lontano ricordo».

Il casertano è uno dei territori coinvolti nello scandalo della Terra dei fuochi, nel quale stupiscono soprattutto i silenzi e le omissioni di esponenti politici ancora adesso nel pieno delle loro funzioni: quali credi siano le domande che i cittadini dovrebbero porre loro e quali risposte dovrebbero dare?
«Domanda da un milione di dollari… i cittadini devono sicuramente esigere verità e chiarezza, vanno valutate con la massima attenzione tutte le dichiarazioni, anche quelle di personaggi che in tanti bollano come discutibili, ma che – e questo è innegabile – hanno contribuito a fare luce su alcune situazioni chiave. Ora lo Stato non ha più alibi: se quelle dichiarazioni sono false la reazione deve essere forte, se al contrario quelle dichiarazioni sono vere la reazione deve essere ancora più forte. Avverto invece un immobilismo inconcepibile per l’una e per l’altra ipotesi, il nostro territorio non può subire ancora. Le carte dimostrano che dagli anni Ottanta subiamo l’impossibile, bisogna impedire che chi ha provocato questi disastri continui a lucrarci. Fanno bene i cittadini a scendere in piazza, forse avrebbero dovuto farlo molto tempo prima. E anche noi giornalisti non possiamo dire di essere esenti da colpe, avremmo dovuto essere maggiormente ‘ficcanaso’ anche a costo di essere tacciati di allarmismo. Anche chi ha creato il danno corre rischi di cui probabilmente non si rende ancora conto».

La tua giornata tipo?
«Non c’è una giornata tipo, ogni giorno è una storia a sé; è la cosa probabilmente più affascinante del nostro lavoro; la costante è il contatto quotidiano con tante persone, da cui puoi sempre imparare qualcosa; ascoltare, confrontarsi, discernere. Tutto è importante».

Ti sta stretta la dimensione provinciale?
«Al contrario, mi piace tantissimo perché sento con il mio lavoro di essere vicina alle battaglie del territorio e se riesco a dare il mio contributo non posso che esserne felice. Certo non mi dispiacerebbe confrontarmi anche con altre realtà, con problematiche che vanno oltre la dimensione locale».

Dal block notes e bic ai moderni mezzi di comunicazione: lo spirito del giornalista è lo stesso?
«Quello non cambia mai, a prescindere dai mezzi dei quali disponi, per quanto possano facilitarti le cose e trasmettere notizie con una maggiore rapidità».

Insieme ad una collega hai realizzato un documentario su Peppino Impastato: ritieni sia una presenza ancora sentita nella nostra società?
«Credo di sì; lo dimostra anche la polemica degli ultimi giorni che ha riguardato l’uso della sua immagine per una campagna pubblicitaria, criticata dal fratello che ha sottolineato come Peppino fosse esattamente contrario al consumismo dilagante; ma il fatto stesso che un’azienda abbia ritenuto di associare le sue parole a un prodotto di uso corrente è la prova di quanto il suo insegnamento sia ancora vivo e attuale, nonostante troppo poche siano le persone che hanno dimostrato un coraggio uguale al suo, soprattutto sostenute da una famiglia come la sua, con una madre – per quanto donna di altri tempo – e un fratello che hanno avuto la capacità di affrontare delle battaglie importanti, e il film di Marco Tullio Giordana, pur con qualche inevitabile amplificazione, ne ha saputo fornire una valida ricostruzione».

Fai anche incontri con i giovani: cosa cerchi di trasmettere loro?
«Quello che i miei ‘maestri’ hanno trasmesso a me; oggi le modalità di accesso alla nostra professione sono molto cambiate, vivere una redazione è diventato un lusso per pochi, io ho avuto la fortuna di lavorare all’interno di una redazione per molti anni, di viverla giorno per giorno con chi c’era già da tempo, con tutto quello che comportava ovviamente, nel bene e nel male. Ricordo, per esempio, che all’inizio (era il 1997) mi mandavano in tutti i Comuni della provincia a chiedere copia delle pubblicazioni di matrimonio. All’inizio non capivo quale fosse l’utilità, poi però mi sono resa conto di quanto sia stato importante anche quel passaggio, perché mi ha permesso di instaurare una rete di rapporti che mi è stata di aiuto anche in seguito, contatti che non avrei potuto sviluppare se non con una presenza continua e costante. Entrare in una redazione oggi è praticamente impossibile, per cui cerco sempre di trasmettere ai ragazzi delle scuole che incontro quello che è stato il mio percorso».

Un giornalista che lavora al sud si può definire alla stregua di un inviato di guerra?
«Per fortuna da noi le condizioni di vita non sono quelle che mi sono ritrovata a raccontare in Kosovo o in Libano ma, per certi versi, credo di sì. La nostra è una terra difficile, che ci vede spesso in prima linea per documentare situazioni drammatiche ed alto rischio, penso per esempio a tutti quei colleghi che si occupano di nera e giudiziaria».

C’è spazio per gli affetti?
«Difficile avere una vita privata, ma ci proviamo. Credo che questo lavoro sia in debito con me, ho sacrificato tante cose, spero un giorno di poter riscuotere...».

Come vedi Daniela Volpecina nel 2024?
«Non so cosa farò domani, figurati tra dieci anni! Battute a parte, spero di essere ancora in prima linea con la mia fidata telecamera, a documentare ciò che accade, ovunque accada».

Ti senti a prova di bavaglio?
«Direi proprio di sì... lo testimoniano tutte le battaglie portate avanti in questi anni…».

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